L’oro, la mummia, la maledizione: in occasione dei cento anni dalla scoperta della tomba più famosa della storia dell’egittologia arriva a Castel dell’Ovo la mostra Tutankhamon. Viaggio verso l’eternità
Napoli è una città caratterizzata da una stratificazione culturale e materiale dovuta alle diverse popolazioni che nel corso dei secoli hanno dominato nel capoluogo campano: dalla civiltà greca a quella romana, dagli angioini agli aragonesi, ogni comunità ha lasciato delle testimonianze e alcune di esse sono state a loro volta influenzate da altre.
Basti pensare alle innumerevoli attestazioni della cultura egizia nel corso del II secolo a.C. con il culto di Iside a Neapolis, che fanno supporre con ampia ragionevolezza l’esistenza di un tempio dedicato alla dea all’interno delle mura urbiche. É provato che il culto delle divinità egizie sia penetrato in città assai precocemente, così come a Pozzuoli, a Pompei, a Santa Maria Capua Vetere e Benevento già alla fine del II secolo a.C..
La presenza stanziale a Napoli di una florida colonia di alessandrini è comprovata da fonti letterarie ed epigrafiche che la collocano nella regio Nilensis, l’attuale vico degli Alessandrini (piazzetta Nilo). Nei suoi pressi fu trovato il basamento del I secolo d.C. con iscrizione dedicatoria a Iside da parte di un personaggio di rango senatorio, tale Marco Opsio Navio, che conferma l’esistenza di un Iseo risultante dal sincretismo tra Apollo, che all’epoca era divinità patria cittadina ed Horus-Arpocrate. Inoltre, i cittadini napoletani sono ancora fortemente legati alla statua del dio Nilo, anche nota come “Corpo di Napoli”, collocata nella omonima piazzetta. Lo storico umanista Bartolommeo Capasso (1815-1900) la descriveva acefala già dal XV secolo e per tale motivo erroneamente associata alla sirena Partenope, per la presenza di lattanti sul ventre. Solo in seguito si è compreso che si trattava del dio Nilo, grazie all’identificazione degli elementi tipici della sua iconografia: la cornucopia, simbolo della piena del fiume, portatrice di abbondanza, la sfinge ed il coccodrillo, tipici del paesaggio nilotico, e i lattanti, simbolo degli affluenti del fiume. La statua poi fu integrata con la testa di un uomo barbuto, come si ipotizza fosse rappresentato il dio fluviale.
Al culto isiaco cittadino deve ricollegarsi la statua di Iside del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Inoltre, il ritrovamento di altre sue immagini (ad esempio Iside-Fortuna, custodita al MANN o la Iside-Pelagia da Posillipo) testimoniano la sua presenza capillare a Neapolis. Molte sono anche le attestazioni di materiale egizio di generica provenienza e di ritrovamenti sporadici, in particolare nella zona inquadrata tra via della Selleria, a sud-est della regio Nilensis, che potrebbero essere correlati ad un tempio dedicato ad Antinoo.
Tutte queste considerazioni mostrano un forte legame tra Napoli e l’Egitto che si consolida con la interessante mostra allestita nelle sale del Castel dell’Ovo, dal titolo Tutankhamon. Viaggio verso l’eternità, organizzata da Innovation, curata da Clarissa Decembri, fino all’8 maggio 2022. In vista dei cento anni dalla scoperta della tomba, è possibile immergersi in un’antica, affascinante e complessa cultura che, attraverso il mistero della vita oltre la morte, ha portato fino ai nostri giorni la conoscenza degli usi e costumi della civiltà egizia della XVIII dinastia.
E’ un percorso espositivo caratterizzato da oltre 100 riproduzioni dei reperti più importanti trovati nella sepoltura di Tutankhamon, realizzati a Il Cairo in collaborazione con il Ministero delle Antichità Egizie, tra cui il trono d’oro, il carro da guerra, i sarcofagi, i vasi canopi e la famosa maschera d’oro, ed oltre 60 reperti originali provenienti dalla collezione egizia del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, visibili nella sala superiore.
La prima parte dell’esposizione: il mondo di Tutankhamon tra riproduzioni e realtà virtuale
Ad accogliere i visitatori è la riproduzione della Stele di Rosetta, la lastra di granito nero ritrovata dall’esercito francese di Napoleone Bonaparte (1769-1821) nel 1799 e tradotta dallo studioso Jean-François Champollion (1790-1832), il quale capì che traducendo l’ultima parte della scrittura in greco antico, sarebbe riuscito a decifrare anche i geroglifici e il demotico relativi alla prima parte della stele: erano un unico testo in diverse lingue.
Un primo approccio con il mondo di Tutankhamon (che tradotto significa immagine vivente di Aten) è il contatto visivo con i busti della sua famiglia nella prima sala. Dall’unione di Yuya, figura non nobile, con Tuya, nobile che discendeva dalla famiglia reale, nacque la regina Tiye, nonna del celeberrimo faraone, che sposò Amenofi III e fu la madre di Amenofi IV, poi Akhenaton IV. Infine, l’ultimo busto in successione è quello della regina Nefertiti, moglie di Akhenaton IV e matrigna di Tutankhamon. Una delle sue figlie, Ankhesenamon, sposò il giovane faraone pur essendo la sorellastra.
La tomba di Tutankhamon non fu trovata intatta. I ladri entrarono almeno due volte al suo interno. Scoperta dall’archeologo Howard Carter (1874-1939), egli stimò che il 60% dei gioielli contenuti nei cofanetti venne rubato. Durante l’ottavo anno del regno di Horemheb, il sepolcro fu riordinato e nuovamente sigillato dallo scriba Thutmose. Circa 200 anni dopo, il suo ingresso venne coperto dalle case degli operai che lavorarono alla costruzione della tomba di Ramesse VI. Fu così che restò inviolata per oltre 3000 anni, fino al 4 novembre 1922.
Nella seconda sala dell’exihibit è ricostruita l’Anticamera che precede la Camera Funeraria. E’ il luogo che racchiude con delle riproduzioni gli oggetti legati alla vita del faraone: sgabelli, uno scrigno dorato e intarsiato, un poggiatesta, i ventagli, degli scudi da cerimonia, un carro da guerra, dei sandali, gli archi, un cofanetto dipinto, un trono d’oro, il gioco Senet, un trono bambino, la testa di legno del giovane faraone, il letto a forma di Ammit, il letto funebre della dea Mehet-Ueret, il letto a forma di leone, la barca e il bacino, il sistri, un cofanetto rotondo, i bastoni e due statue del Ka, restituiscono una visione esauriente della grande quantità di suppellettili che dovevano accompagnare il defunto nel suo lungo viaggio nell’aldilà. A chiusura di questa sezione vi è una descrizione di Ankhesenamon, regina e moglie di Tutankhamon. Le pitture e rilievi dell’epoca raccontano la sua vita: terza di sei sorelle, si sposò all’età di 13 anni. Dopo la morte del marito fu costretta a sposare il consigliere Ay, che divenne il nuovo faraone.
Proseguendo con il percorso espositivo si raggiunge la camera funeraria che ospita le riproduzioni del famoso tesoro, caratterizzato da oggetti unici e di grande ricchezza (gli originali si trovano al Grand Egyptian Museum a Il Cairo, in Egitto). Un primo approccio è con la ricostruzione in scala della sala che conteneva la mummia del faraone, circondata da pitture murali. Impattanti sono i tre sarcofagi, (realizzati con il sistema simile a quelle delle matrioske russe) che contenevano il suo corpo. Il primo era di legno dorato, lungo più di due metri. Il secondo era colorato ed avvolto in un telo di lino e ricoperto di fiori secchi. Il terzo pesava 110 kg di oro massiccio e dentro vi era la mummia di Tutankhamon con la famosa maschera d’oro in testa. Proprio quest’ultima è uno dei reperti più conosciuti al mondo. Realizzata in oro puro, formata da pietre molto preziose, pesa circa 10 kg. Sul copricapo sono visibili due animali sacri, l’avvoltoio e il serpente, simboli di protezione. La barba intrecciata è finta e veniva indossata perché era un segno tipico dei faraoni. Questa maschera subì molti danni causati dall’archeologo Carter quando cercò di staccarla dalla mummia, a cui era incollata da secoli.
Nella camera funeraria sono stati ritrovati tantissimi oggetti come: alcuni amuleti, un grande collare, un pugnale in ferro meteoritico, un pugnale d’oro, un vaso alabastro con leone, un diadema, dei sandali d’oro, ditali o guaine d’oro, un collare horus in pasta vitrea e uno in lamina d’oro, alcuni sarcofagi reliquiari, scrigni o santuari neri, la statua di Tutankhamon su una barca e un’altra su una pantera, la statua della dea Menkaret che trasporta il faraone, quelle del dio Anubi, del dio Harwer, del dio Ptah e della dea leonessa Sankhmet, una custodia per arco, anfore di vino, una barca di legno, un baule con cartiglio, due piccoli sarcofagi al cui interno vi erano i resti delle figlie del faraone, una lampada in alabastro, un bracciale e una collana con scarabeo, e, infine, un santuario dei canopi. Proprio quest’ultimo era una enorme struttura che conteneva i vasi con gli organi del faraone. Il monumento era formato da file di cobra con il disco solare sulla testa e quattro dee con le braccia aperte.
Nel corso degli anni sono state fatte diverse ipotesi relative alla morte di Tutankhamon. Agli inizi si pensava che fosse affetto dalla sindrome di Marfan o da dolicocefalia, ipotesi che vennero scartate. Nel 2009 la mummia fu sottoposta ad analisi che rivelarono problemi alle ossa: una necrosi del secondo e del terzo metatarso del piede sinistro (malattia di Kohle). Inoltre, sempre il sinistro presentava una malformazione nota come “piede equino”, che porta la punta ad essere rivolta verso il basso. Queste problematiche caricarono eccessivamente le articolazioni della gamba destra causando l’appiattimento dell’arco del piede. Nella tomba sono stati ritrovati diversi bastoni da passeggio. Le indagini rivelarono la presenza del parassita della “malaria tropica”, la forma più grave della patologia. Non è stato possibile determinare se questa infezione sia stata la causa della morte. Certamente il suo corpo già debilitato non resse a questa malattia.
Una particolare attenzione è rivolta alla famosa “maledizione di Tutankhamon”. Subito dopo l’apertura della tomba iniziò a circolare la voce su un possibile anatema che avrebbe colpito gli egittologi e gli operai, accusati di aver disturbato il riposo del faraone. Ad alimentare la storia contribuì il ritrovamento di un “mattone magico” all’ingresso della Stanza del Tesoro, su cui c’era una iscrizione che scoraggiava gli intrusi dal depredare gli oggetti custoditi. La morte di Lord Carnarvon (1866-1923), finanziatore della scoperta, avvenuta cinque mesi dopo il ritrovamento, creò il panico. Carter concesse l’esclusiva della tomba al giornale Times di Londra. Ciò trovò la disapprovazione degli altri media che “inventarono” di sana pianta la storia della maledizione. Howard Carter morì nel 1939 e Lady Evelyn Carnarvon, che fu tra le prime ad entrare nel luogo della sepoltura nel 1980.
Una maggiore comprensione della civiltà egizia in mostra è data dal contributo delle ricostruzioni scenografiche ed l’applicazione della realtà virtuale, con una sala dedicata a chiusura della prima parte. Qui il visitatore può rivivere l’emozione provata dall’archeologo Carter quando scoprì il primo gradino di accesso alla faraonica sepoltura nella Valle dei Re. Indossando un visore e manovrando i controller, si è catapultati nell’ambiente ricostruito della tomba di Tutankhamon e soffermarsi sui singoli oggetti del corredo funerario.
La seconda parte dell’esposizione: i reperti originali che arrivano da Firenze
Al secondo piano del Castel dell’Ovo è allestita la seconda parte della esposizione con 60 reperti originali provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Divisa in diverse sezioni, la prima sala è dedicata agli oggetti per il viaggio nell’aldilà: la stele per Heba, la statuetta di Ptah-Sokaris-Osiride e quella del dio Anubi, gli amuleti contro la malasorte, una coppia di sandali, le fasce di tessuto decorate, un poggiatesta, un cofanetto e un vasetto per toilette, le armi per la difesa e il vasetto per Kohl, sono tutti oggetti indispensabili per l’estinto e ci mostrano la cura dei dettagli di chi organizzava la sepoltura. Una prova molto importante che doveva affrontare l’estinto era la “pesatura del cuore”, che gli consentiva di accedere al regno di Osiride. Nel frammento di papiro in mostra vi è raffigurato Hunefer accompagnato dal dio Anubi nella sala della pesatura. Sul piatto sinistro della bilancia c’è il cuore del defunto, sull’altro la piuma della dea Maat, dea della giustizia. Il dio Anubi pesava il cuore mentre Thot registrava il risultato della prova. Ai piedi della bilancia vi è Ammut, la divoratrice, pronta a mangiare l’organo se la prova risultava negativa. Alla fine, il peso era leggero, quindi Horus accompagnava il morto da Osiride. Il dio sedeva su un trono che poggiava sulla rappresentazione del mito della creazione. Alle sue spalle, Iside e Nefti accoglievano Hunefer.
La seconda sala è incentrata sulla mummificazione, dove sono visibili una serie di maschere che coprivano il volto dell’estinto per accompagnarlo nella vita ultraterrena, in modo tale da essere riconosciuto per proseguire il suo viaggio: alcune sono datate 4000 a.C. e realizzate in ceramica. Nelle vetrine, le statuine ushabti facevano parte del corredo funerario. Essi erano una sorta di servitori/operai magici che si adoperavano a svolgere i lavori per il padrone. In base alla disponibilità economica, ogni faraone poteva avere un gran numero di questi collaboratori.
La terza sala è dedicata alle mummie. Sono esposti la cassa per l’imbalsamazione o reliquiario professionale per culto di Horus ed alcuni oggetti come vasi, spatole o bisturi. I vasi canopi contenevano gli organi del defunto, ed erano prelevati dal corpo durante il processo di mummificazione. I coperchi di questi contenitori hanno sembianze dei geni funerari ai quali era affidata la protezione degli stessi: Kebehsenuf a testa di falco per l’intestino, Hapi a testa di babbuino per i polmoni, Imseti a testa umana per il fegato, e Duamutef a testa di sciacallo per lo stomaco.
Atmosfera spettrale e al tempo stesso affascinante è l’ultima sala, che ospita il sarcofago di Padihorpakhered, la mummia di un coccodrillo e quelle della bambina Giupra, di circa 7 anni, il cui corpo avvolto in bende con le braccia lungo i fianchi si conserva in buone condizioni nonostante le sfilacciature dei tessuti. Altro reperto è quello della mummia di Telesforo, il cui corpo non è stato sottoposto allo sfondamento dell’etmoide (osso all’interno del naso) per rimuovere il cervello. Nelle iscrizioni presenti sul suo sarcofago (non presente nella sala) è riportato il nome del defunto, morto a 32 anni nell’anno venti degli imperatori Marco Aurelio Antonino e Lucio Aurelio Commodo, ovvero nel 179-180 d.C..
Tutankhamon. Viaggio verso l’eternità
Castel dell’Ovo
Via Eldorado, 3,
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