Tra due mondi, al cinema dal 7 aprile il nuovo film di Emmanuel Carrére con Juliette Binoche
Nel 2010, la giornalista francese Florence Aubenas pubblicò Le quai de Ouistreham, un libro-inchiesta incentrato sulle condizioni del lavoro precario e basato sull’esperienza di prima mano dell’autrice. Aubenas era andata a vivere a Caen per alcuni mesi, lavorando in incognito come donna delle pulizie nei traghetti in partenza dal porto di Ouistreham. Questo lavoro è la base su cui poggia Tra due mondi, terza opera cinematografica dello scrittore Emmanuel Carrére, che si colloca circa a metà strada rispetto alle sue precedenti fatiche cinematografiche. Il primo film dell’autore, Ritorno a Kotelnich (2003), era un documentario sul legame tra grande Storia e storie personali. Il secondo, L’amore sospetto (2005), era l’adattamento di un suo stesso romanzo, I baffi. Tra due mondi deve molto al genere del documentario, soprattutto in virtù del testo di partenza, ma se Le quai de Ouistreham è un’opera documentaristica, non si può dire lo stesso del film di Carrère.
Il principale intervento dell’autore riguarda il personaggio centrale, Marianne, liberamente ispirato ad Aubenas. Sia il personaggio che il referente reale sono scrittrici in incognito decise a denunciare il precariato e lo sfruttamento. Ma se Aubenas ha mantenuto per tutto l’esperimento un discreto e professionale distacco, la Marianne del film stringe rapporti di amicizia con le sue colleghe, avvicinandosi soprattutto a Christèle, madre single dal carattere difficile ma un cuore d’oro. Marianne si trova così in una posizione sempre più difficile: quando rivelerà di essere una scrittrice, loro si sentiranno tradite e ingannate? La capiranno, la perdoneranno, oppure no?
L’inserimento, da parte di Carrère, di questo elemento personale e privato è tutt’altro che stucchevole, non un semplice espediente per dare allo spettatore un appiglio emotivo, al contrario, è una scelta che suscita riflessioni non sollevate dal testo di partenza, mettendo in discussione la legittimità degli artisti di parlare di esperienze che non li riguardano.
Il casting di Juliette Binoche nella parte di Marianne è una scelta significativa già di per sé. La sua facile riconoscibilità la pone immediatamente su un piano diverso rispetto agli altri attori del film, tutti rigorosamente non professionisti, tra cui spicca la meravigliosa Hélène Lambert nei panni di Christèle. È un escamotage che ribadisce agli occhi dello spettatore l’estraneità di Marianne rispetto al mondo di cui vuole parlare e che vuole conoscere.
Tra due mondi non è un film dei Dardenne, non vuole costruire l’illusione di una mancanza di mediazione: al contrario, è un film che tematizza quella mediazione che è presente anche nel più naturalistico dei film e che è incarnata proprio dalla protagonista. Marianne, con il suo occhio sempre attento e indagatore, è in parte un surrogato dello spettatore, ma è anche, e soprattutto, un surrogato di Carrère. Entrambi sono autori spinti dal desiderio di verità e giustizia sociale, ma le buone intenzioni sono davvero sufficienti? Si può parlare di precariato e instabilità economica da una posizione socialmente ed economicamente privilegiata? L’arte può dare un contributo concreto nella lotta contro l’ingiustizia, può davvero cambiare le cose? O film come questo sono destinati a un pubblico che già ne condivide le istanze di partenza, pronto a compiacersi della propria empatia e del proprio progressismo? Sono domande a cui Carrère non sa dare una risposta definitiva. Ed è proprio questa tensione costante tra sincero impegno sociale e lucida autocritica a rendere Tra due mondi un’opera che lascia il segno.