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Gli intrecci tra pittura e fotografia, gli “errori” e la pratica del glitch. Intervista a Jaspal Birdi

Detail of: 14h47m (diptych) Oil paint and photo-transfer on parchment 50 x 80 cm (each) Jaspal Birdi, 2019
11h04m Oil paint and photo-transfer on mirror 13 x 18 x 4 cm Jaspal Birdi, 2020
11h04m
Oil paint and photo-transfer on mirror
13 x 18 x 4 cm
Jaspal Birdi, 2020

L’artista canadese Jaspal Birdi (Toronto, 1988) è la recente vincitrice del premio Martini International Award attribuito nell’ambito del Premio San Fedele a Milano. La conversazione è incentrata sul nuovo corpus di opere dell’artista riflettendo sul rapporto tra la tecnologia e i diversi supporti utilizzati, dallo specchio alla pergamena fino alla coperta termica, in un intreccio tra pittura e fotografia dove la pratica del glitch riveste un ruolo centrale. 

Elena Coco: A prima vista, le tue opere appaiono come un dipinto astratto o un’immagine incompleta. Anzi, credo possa esserci un interessante riferimento alla tecnica dell’affresco. Tuttavia, la fotografia svolge un ruolo importante nel processo creativo. Come nascono i tuoi lavori? 

Jaspal Birdi: L’idea di intrecciare la fotografia con la pittura nelle mie opere è guidata dal mio rapporto in continua evoluzione con la creazione di immagini e la tecnologia di produzione. Si tratta di una tecnica che ho ammirato nelle opere di molti artisti della storia dell’arte come Georges Braque, Pablo Picasso, Robert Rauschenberg e Sigmar Polke. Tuttavia, per creare le mie opere anziché lavorare su immagini preesistenti, utilizzo le fotografie presenti nella galleria del mio cellulare. 

In effetti, nel mio lavoro mi ispiro molto agli affreschi che mi è capitato di vedere viaggiando in Italia. Durante la nostra vita, con il passare del tempo, vediamo le loro superfici man mano deteriorarsi, graffiarsi, essere soggette alle intemperie e presentare delle parti mancanti. Inoltre, sono attratta anche dalla molteplicità dei modi in cui è stata utilizzata la tecnica dell’affresco: dalle superfici meramente decorative a rappresentazioni più comuni come viste panoramiche o narrazioni figurative più complesse.

Detail of:
14h47m (diptych)
Oil paint and photo-transfer on parchment
50 x 80 cm (each)
Jaspal Birdi, 2019

EC: La fase del trasferimento della fotografia sul supporto rappresenta un aspetto focale nel tuo lavoro. Potresti spiegare come avviene?

JB: Dopo un’accurata selezione dalle mie “osservazioni quotidiane”, realizzo le fotografie con una stampante laser che ho precedentemente programmato manualmente in modo che questa continui a stampare nonostante la scarsità di inchiostro e quindi forzando i suoi limiti. Le immagini convertite dalla stampante manomessa risultano inaspettate, spesso ricordano dei disegni a matita o ad acquerello. 

Dopo aver scansionato e ingrandito una stampa fotografica trasferisco l’immagine, frammento dopo frammento, sul supporto. Il risultato di questa procedura può sembrare un’immagine stampata direttamente sulla superficie, anche se nel mio caso questo avviene tramite un processo che ricorda la tecnica dello strappo di un affresco. Trasferendo le immagini a mano, viene conferita alla superficie fotografica una consistenza fisica precaria che viene poi sistemata e ripristinata attraverso un intervento pittorico. Mi interessa l’aspetto dell’imprevedibilità causato dalle imperfezioni.

EC: I tuoi ultimi lavori presentano una novità rispetto alla tua precedente produzione. Se prima trasferirvi le immagini su tele o pannelli in legno, adesso utilizzi anche pergamene, specchi e coperte termiche, un supporto, quest’ultimo, connotato da forti significati. Il critico Kevin McManus parlando del tuo lavoro nel catalogo della mostra Tra umano e divino. L’Avventura della libertà ha rilevato che «l’intervento stesso, sia per la particolare tecnica utilizzata che per l’immagine realizzata, fa riferimento in modo diretto ed evidente alla ‘vita precedente’ della coperta». Cosa ti ha spinto a cambiare supporto per questa nuova produzione?

JB: Prima del lockdown del 2020 vivevo a Milano dove portavo avanti la mia ricerca artistica. Durante la prima settimana di chiusura in Italia ho perso la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno e di conseguenza sono dovuta tornare nel mio paese d’origine, il Canada. Come prevedevano le restrizioni in quel periodo, mi sono trovata sola nel mio appartamento e senza il supporto fisico dei miei amici, quindi ho preparato tutte le mie cose portando con me ciò che potevo e ho preso uno degli ultimi voli disponibili per Toronto: è stato un momento difficile e fortemente emotivo.

Al mio rientro in Canada mi sono messa in isolamento fiduciario in un appartamento al 46° piano di un grattacielo, praticamente tra le nuvole. In quel periodo ho continuato a scattare fotografie e a lavorare alla mia ricerca artistica, volevo ordinare on-line alcune tele e ho notato che non erano più disponibili. Mi sono messa a pensare ad altre soluzioni riflettendo sul viaggio che avevo appena compiuto durante lo stato di emergenza; sono giunta alla conclusione di voler realizzare un dipinto che fosse il più leggero possibile e ho scoperto la coperta termica. Il Mylar è un materiale molto leggero e versatile, inventato in passato per essere utilizzato nello spazio, che attualmente si può reperire con facilità. Questo elemento non è confortevole come una comune coperta, ma riesce a stabilizzare il calore corporeo, infatti lo vediamo indossare dai rifugiati in fuga dal proprio paese d’origine oppure dai senzatetto lungo le strade. Considerando ciò, mi sono lasciata ispirare da questo materiale complesso, che ha una vita propria. In fin dei conti, 11h02m è cominciato per curiosità: volevo vedere cosa sarebbe successo se avessi trasferito su quella superficie dorata la mia fotografia del cielo, a cui ero molto legata.

Inedite sperimentazioni–exhibition view.
Featuring:
(Left) 11h04m
Oil paint and photo-transfer on mirror
13 x 18 x 4 cm
Jaspal Birdi, 2020

Alessandra Maccari: I titoli delle tue opere possono risultare piuttosto cripticiper citarne alcuni 11h04m, 14h47m, 19h20m, 16h57m e 15h53m si tratta di un tentativo di allontanamento dal dato reale? Hanno un significato particolare?

JB: I titoli delle opere si riferiscono all’ora e al minuto esatto in cui sono state scattate le fotografie, l’orario che corrisponde al relativo file digitale. In ogni caso, la metodologia con cui ho deciso di dare i titoli ai miei lavori può essere interpretata anche come un richiamo alla durata del tempo trascorso. L’ora della giornata è relativa al tipo di luce catturata, anche se le stesse ore si ripetono quotidianamente. Dunque, i titoli di queste opere e i ricordi diventano ambigui come il tempo stesso.

EC: I tuoi ricordi si trasformano in giochi di intrecci tra pittura e fotografia, generando esperimenti interdisciplinari. Posso affermare che nei tuoi lavori coesistono più livelli di realtà diverse? Quello fotografico, trasferito fisicamente sul supporto, e quello degli “errori” che vi hai dipinto.

JB: Questa idea della coesistenza di realtà multiple su vari livelli è interessante. Mi piace e pone molte domande sul modo in cui si fruisce l’opera d’arte; è qualcosa che spero i visitatori possano tenere a mente confrontandosi i miei lavori. Concepisco le opere con la logica del collage, mettendo insieme elementi diversi in un’unica immagine, componendo memorie personali che risultano sovrapposte l’una sull’altra, eppure appiattite nell’unica realtà della superficie dell’opera.

AM: Le tue opere affrontano l’argomento della memoria in epoca contemporanea, il problema della conservazione e archiviazione dei ricordi e il fenomeno crescente dei disturbi di memoria nelle giovani generazioni di cui parla Mark Fisher nel suo Capitalist Realism (2009). Come ti confronti con l’enorme produzione di immagini della nostra società odierna?

JB: Quando si riporta alla memoria un certo evento accaduto nella propria vita, avviene un processo di focalizzazione automatica attraverso filtri basati su convinzioni personali e influenzati dalle emozioni che si provavano in quell’istante. Ogni volta che lo stesso ricordo viene riportato in superficie, esso si deforma diventando idealizzato. In sostanza, l’attimo che è stato vissuto e ripetuto nella propria mente non è più la realtà effettiva di quel momento vissuto fisicamente, la mente rimane perciò con questa percezione falsata del passato.

Quando fotografo un evento ordinario con il mio cellulare, per esempio, penso a quell’attimo come se fosse lo stesso ricordo catturato nella mia mente. Tenendo presente questo, sono consapevole di esistere in uno spazio in cui anche altre persone stanno creando i propri ricordi nello stesso contesto, ma dalla loro prospettiva.

Questa operazione di filtraggio subconscia e parziale che avviene nelle nostre menti è la ragione per cui mi servo di una stampante laser per riprodurre i miei ricordi fotografici digitali, che poi utilizzo per creare i dipinti. A differenza di una stampante a getto d’inchiostro, molto precisa con le fotografie perché stampa i dati che riceve riga per riga, una stampante laser raccoglie i dati tutti in una volta e viene fuori ciò che essa “ricorda”. Questo significa che, accidentalmente, la stampante laser potrebbe “dimenticare” alcuni dettagli e/o dare informazioni errate. Si tratta di un processo che espone la mia personale memoria all’interpretazione altrui, con la possibilità che questa rievochi in un’altra persona un ricordo di un luogo simile.

11h02m Oil paint and photo-transfer on emergency blanket 210 x 170 cm Jaspal Birdi, 2020 Photo credit: Darren Rigo
11h02m
Oil paint and photo-transfer on emergency blanket
210 x 170 cm
Jaspal Birdi, 2020
Photo credit: Darren Rigo

AM: Una delle tue opere più recenti, 16h57m, sembra chiamare direttamente in causa le protesi tecnologiche di cui ci serviamo per interagire con la realtà, vuoi parlarci della scelta di questo soggetto?

JB: 16h57m rappresenta due figure, quella in primo piano sono io, entrambe con un cellulare in mano, su una superficie erosa e con imperfezioni dorate che affiorano dal materiale sottostante. Credo che questa immagine a taluni potrà richiamare alcuni topoi visivi della storia dell’arte, come quello della Madonna col Bambino, mentre alla maggior parte delle persone riporterà alla mente l’atto di fare un selfie o la sensazione di essere costantemente controllati, contemplando sia un punto di vista consapevole sulla cultura visuale che uno vernacolare. Quest’opera riflette sulla complessità della vita quotidiana alle prese con l’evoluzione delle tecnologie contemporanee.

AM: In questo momento si parla molto della necessità di ridefinire il rapporto tra umano e non umano e più in generale di ibridazione delle forme. Nelle tue opere si realizza uno sconfinamento, vuoi parlare del rapporto tra reale e virtuale nel tuo lavoro? 

JB: Negli anni ho esplorato e osservato il nostro rapporto con gli ambienti fisici e virtuali attraverso i vetri delle finestre, gli specchi e i display, utilizzando la fotografia e la pittura. Personalmente, sono cresciuta in una famiglia che ha sempre usato la tecnologia di ultima generazione e spesso da bambina ero convinta che le sue emanazioni fossero reali. Ad esempio, quando ho visto il trailer di Independence Day in televisione pensavo fossimo realmente invasi dagli alieni. Solo quando ho visto le stesse sequenze ripetersi ho capito che si trattava della pubblicità di un film con Will Smith! La grafica all’epoca era molto persuasiva.

Quando i dispositivi riescono nell’intento di mistificare il loro reale funzionamento non vi è più una netta demarcazione tra illusione e realtà. Oggi le interazioni sociali, che avvengono sempre più spesso attraverso uno schermo piatto, visivamente nitido o levigato (secondo la celebre definizione del filosofo Byung-chul Han) rendono più velati i difetti nella rappresentazione a causa del continuo flusso di contenuti a cui siamo sottoposti.

EC: Mi sembra che 11h02m, il lavoro con cui hai vinto il Martini International Award, rappresenti particolarmente bene questa sorta di collisione tra natura e tecnologia.

JB: Da sempre gli esseri umani creano cercando di emulare la natura. Così, in 11h02m per esempio, la tecnologia viene utilizzata con lo scopo di simulare l’azione stessa dell’uomo nel suo tentativo di realizzare copie del mondo naturale. Il lavoro utilizza come supporto una coperta termica generando un elemento lieve e senza peso. La griglia che scandisce l’opera ricalca le pieghe della superficie della coperta termica utilizzata, ma rivela anche il processo creativo che presiede il lavoro. Nonostante l’apparenza fragile e delicata, la sua texture imperfetta e irregolare ha saputo resistere e mettere a nudo le “cicatrici” lasciate dal vento, dal viaggio e i segni dell’uso nel protrarsi del tempo.

Note biografiche

Jaspal Birdi (Toronto, 1988) è un’artista in residenza presso la Women’s Art Association of Canada a Toronto. Nel 2017 viene selezionata per il programma di residenza per artisti presso la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, dove riceve il Premio BLM Stonefly Walking With Art con la sua installazione Let’s Play House esposta presso DOCVA Viafarini Milano nel 2018 e, successivamente, nel 2019 partecipa alla residenza per artisti di Viafarini a Milano. I suoi lavori ottengono vari riconoscimenti, sono finalisti per il Premio Ducato 2019 e per il Premio Fondazione Francesco Fabbri 2018, 2019 e 2020. La partecipazione di Jaspal Birdi alla mostra Inedite Sperimentazioni realizzata dalla Fondazione Culturale San Fedele è stata resa possibile grazie al supporto del Canada Council for the Arts e di Ontario Arts Council.

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