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Venti anni in Afghanistan: i retroscena

Dopo il reportage di Radek Sikorski sul periodo della guerra ai sovietici, continuiamo a parlare di Afghanistan attraverso l’inchiesta di Craig Whitlock, giornalista investigativo del Washington Post che ha scoperto gli sconcertanti retroscena di una strategia completamente sbagliata. Pubblicato in Italia da Newton Compton, il volume è un utile strumento per comprendere meglio le surreali scene dell’agosto 2021 all’aeroporto di Kabul

Le scene di panico all’aeroporto di Kabul dell’agosto 2021, la paura, la delusione e la sofferenza del popolo afghano, affondano le radici in venti anni di pessima gestione della missione NATO in Afghanistan, dovuta all’incompetenza dimostrata dalla politica e dalla diplomazia statunitensi e, guardando ancora più indietro, affonda le radici anche nell’ambigua politica di supporto alla resistenza che combatté i sovietici fra il 1979 e il 1989. Infatti, all’indomani del ritiro sovietico, finirono anche le relazioni fra mujaheddin e “alleati” (riuniti in una strana coalizione capeggiata dagli Stati Uniti, con Israele, Egitto, Iran, Pakistan, Arabia Saudita, e Francia, tra i Paesi principali); l’Afghanistan fu lasciato cadere nel baratro della guerra civile.

Le forze islamiste poterono lanciare la jihad nel resto del mondo, che ebbe il suo culmine, in tragici termini di spettacolarità e di numero di vittime, l’11 settembre 2001. Il 7 ottobre gli Stati Uniti intervennero militarmente in Afghanistan contro il regime talebano, e il 20 dicembre iniziava la Missione ISAF in ambito NATO, seguita nel gennaio 2015 da Resolute Support, terminata nell’agosto 2021. Venti anni durante i quali si è combattuta una guerra costellata di errori dovuti alla scarsa conoscenza del Paese.

Taliban a Kabul, agosto 2021 (AP Photo/Rahmat Gul)

Per la sua inchiesta, Whitlock ha studiato la vastissima documentazione costituita dalle testimonianze di migliaia di militari, diplomatici, agenti CIA e uomini politici che hanno preso parte a vario titolo alle operazioni in Afghanistan, e dalle quali emergono il caos in cui le amministrazioni Bush, Obama e Trump si sono mosse, la mancanza di conoscenza della reale situazione afghana che a sua volta ha generato improvvisazione, l’impreparazione tattica e la superficialità con cui si sono riversati nel Paese centinaia di miliardi di dollari per programmi di sviluppo e di ricostruzione, senza controllare la reale destinazione finale di quei fondi, e incrementando la corruzione e il malfunzionamento della già precaria amministrazione afghana.

Inoltre, l’autore sottolinea come la strategia statunitense in Afghanistan, nonostante avesse ottenuto importanti successi militari già nel dicembre 2001, abbia clamorosamente mancato di trasformare quei successi nell’opportunità di pacificare il Paese. Non si era capita una cosa: l’Afghanistan era sì la base principale di Al-Qaeda, ma nessun afghano aveva avuto una parte nella strage dell’11 settembre, così come nei precedenti attentati in altri Paesi. Il fanatismo islamico veniva da fuori, e fu introdotto negli anni della resistenza ai sovietici, dai mujaheddin pakistani, libanesi, algerini, e di altre nazionalità; furono loro, infatti, ad acuire quell’oltranzismo religioso tradizionale già presente in alcune aree, ma che la monarchia laica e parlamentare di Mohammed Zahir Shah era riuscita a tenere sotto controllo fino al 1973, anno del colpo di Stato.

Il regime dei Talebani fu quindi confuso con Al-Qaeda, per stessa posteriore ammissione dei vertici politici e militari statunitensi. Come nota Craig, la guerra al terrorismo si sovrappose quindi, quasi per caso, alla guerra contro il regime oppressivo dei Talebani, i quali dopo i pesanti bombardamenti di ottobre-dicembre 2001, erano pronti a trattare con gli USA e partecipare a un processo di riconciliazione nazionale che mettesse fine al caos cominciato nel 1979. Ma i Talebani furono esclusi dalla conferenza di Bonn, che avrebbe sancito l’interimato di Hamid Karzai e la nascita della Repubblica democratica presidenziale. Senza ovviamente giustificare l’approccio teocratico fondamentalista dei Talebani e le violazioni dei diritti umani che da esso scaturiscono, è però un fatto che la loro esclusione dalla conferenza di Bonn abbia causato in loro un profondo risentimento verso gli USA e la coalizione NATO, portandoli a non accettare il processo di democratizzazione imposto dall’alto. Processo che una maggiore lungimiranza diplomatica avrebbe potuto far partire su basi più stabili, tenendo anche presente che la democrazia è un processo che si esporta per gradi, facendo leva sugli strumenti culturali prima ancora che economici o bellici. 

Militari statunitensi in perlustrazione nei pressi di Bagram, marzo 2015. Courtesy U.S. Department of Defense

Invece, per venti anni – ed è questa l’accusa che Whitlock rivolge ai vertici politici e militari statunitensi – si è gettato fumo negli occhi dell’opinione pubblica mondiale, propagandando progressi militari che in realtà, dal 2002 in poi, furono sempre meno importanti; persino i programmi di assistenza alla popolazione funzionavano male, sia per la cattiva gestione dei fondi, la corruzione e la disorganizzazione, sia perché con i Talebani che riprendevano vigore, l’amministrazione e la popolazione afghane erano costretta a trattare con loro. Se da un lato si propagandava di lavorare per ricostruire il Paese e la democrazia, dall’altro ne mancavano le capacità.

Ma in questi venti anni si è falsificata l’informazione, e lo stesso Whitlock ha incontrato difficoltà ad accedere alla documentazione dell’ispettorato generale per la ricostruzione dell’Afghanistan, e ciò fa riflettere sulla delicata questione della libertà di stampa, così come sulla “perfezione” delle democrazie occidentali. Perché la libertà passa anche attraverso l’obiettività dell’informazione. Il fallimento dell’impegno statunitense (e della NATO per estensione) in Afghanistan, porta con sé due crimini: la manipolazione dell’informazione, e quello, morale ma non meno grave, di aver abbandonato il popolo afghano al suo tragico destino, dopo aver sacrificato migliaia di vite, comprese quelle dei militari del contingente internazionale. Eppure, nonostante siano emerse chiare responsabilità, nessuno ha pagato di persona, e l’opinione pubblica statunitense, ma non solo, è rimasta in gran parte indifferente alla vicenda.

 

Craig Whitlock
Dossier Afghanistan
Newton Compton Editori, 2021
pp. 347, Euro 12,00
www.newtoncompton.com

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