Associazione Barriera ha inaugurato la dodicesima edizione di Mirror Project, iniziativa realizzata in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Ogni anno uno dei partecipanti del Corso di studi e pratiche curatoriali CAMPO è invitato a sviluppare un progetto inedito all’interno dello spazio di Torino.
La mostra, curata da Giulia Carpentieri, prende il nome da Isabella – Duchessa dei diavoli, uno dei più celebri fumetti erotici italiani degli anni Sessanta, la prima rappresentazione di una donna nelle vesti di dominatrice erotica, un’attraente e avventurosa bionda assetata di vendetta.
Abbiamo intervistato la curatrice per approfondire i temi in essa contenuti, come le dinamiche di genere e le pratiche del sadomasochismo organizzato e consensuale, luogo possibile per il rovesciamento e la sperimentazione del potere nelle sue differenti declinazioni.
Le premesse della mostra nascono da un fumetto degli anni Sessanta, Isabella – Duchessa dei diavoli. Come hai incontrato questo testo? che interessi ha suscitato in te?
Ho incontrato il fumetto attraverso la lettura di un libro, Gonzo, prodotto da Viaindustriae, realtà con la quale siamo entrati in contatto per una collaborazione. Viaindustriae è un’associazione culturale che svolge progetti editoriali e una casa editrice di base a Foligno.
“Gonzo” è il termine che viene utilizzato per indicare un fruitore attivo all’interno della narrazione. Leggendo gli approfondimenti del volume ho scoperto la figura di Isabella, protagonista di un fumetto del 1967 che racconta le avventure di una donna in cerca di vendetta – dato che tutta la famiglia è stata uccisa – la prima rappresentazione femminile nelle vesti di dominatrice erotica.
Da tempo stavo approfondendo le dinamiche del sadomasochismo e il mondo BDSM, ho quindi trovato dei punti in comune tra la figura di Isabella nel libro e gli interessi che stavo portando avanti.
Come hai collegato le opere al fumetto? e perché hai scelto di inserire la pubblicazione in mostra?
La mostra si chiama Isabella perché prende ispirazione dal fumetto, e volevo sviluppare una collaborazione con i ragazzi di Viaindustriae. Ho deciso di esporre i fumetti sia per l’oggetto feticcio, sia per quello che rappresenta il fumetto erotico pornografico nell’immaginario italiano: è stato un punto di svolta nell’emancipazione sessuale. Mi interessava portare i fumetti all’interno dell’allestimento anche perché ci sono due donne e un solo artista uomo, e i fumetti danno un punto di vista storico e uno sguardo d’archivio rispetto alle artiste, che sono ragazze molto giovani. Volevo evidenziare il parallelismo tra tempi e punti di vista differenti riguardo tutte le pratiche del sadomasochismo e del potere in esso implicito.
Le opere come sono state selezionate?
Tolta la parte d’archivio, ci sono due lavori di Reba Maybury, artista anglo pachistana del 1990, selezionata perché lavora sulle dinamiche di potere tra uomo e donna; la sua pratica artistica è legata alla sua vita perché lei è una mistress quindi i suoi lavori passano attraverso l’atto di dominazione: era super calzante con la mostra.
Zuza Golinska è un’artista polacca nata nel 1990. In realtà, solitamente indaga temi che non sono molto pertinenti con la mostra – ragiona sul rapporto tra individuo e spazio pubblico con uno sguardo geo politico – però il lavoro che abbiamo proposto a Torino, Piercer Series, realizzato con degli acciai che presentano anelli incastrati con piercing fuori misura, riprende un linguaggio che interviene sul corpo e che si espone alla feticizzazione sia estetica sia del dolore, in linea con il progetto espositivo.
Poi c’è Corrado Levi, unico uomo, che fa parte di un discorso più storico legato all’emancipazione sessuale e omosessuale avvenuta in Italia nell’arco degli ultimi cinquant’anni. È un simbolo all’interno della mostra. Di suo c’è Frustate a Rosso, una tela con un frustino e mutande da uomo.
Corrado Levi; le artiste coinvolte sono molto giovani, ti interessava una figura storica ?
Mi interessava la sua presenza all’interno del discorso che la mostra va ad avviare. Corrado Levi ormai ha 86 anni, però è stato un simbolo per l’emancipazione sessuale e la controcultura sessuale erotica, soprattutto in Italia.
Domanda più ampia, come si legano le questioni di genere a questa mostra?
In realtà la mostra non nasce per approfondire le questioni di genere, anche se poi riguarda questi temi e ne pone degli altri all’interno di questo ambito. Quello che mi interessava, e che mi interessa, è iniziare a creare nuovi punti di vista e nuovi sguardi rispetto alle dinamiche di potere. Mi affascina il mondo BDSM, il feticismo e soprattutto il sadomasochismo di dominazione e sottomissione. In particolare la dominazione femminile, quando c’è una dominazione dal punto di vista femminile, ricercata soprattutto dall’uomo, si sviluppano determinati meccanismi all’interno di certe dinamiche sadomasochiste.
Nel sadomaso c’è chi domina, chi è sottomesso, ma c’è anche la possibilità di fare switch, quindi c’è anche la possibilità che chi domina venga sottomesso, e viceversa. Ci sono varie aperture riguardo il potere e come si muove. Iniziare a predisporre un certo tipo di ragionamenti, questo è quello che mi interessava, perché poi la mostra non pretende di chiudere lì il discorso, non da una risposta.
Affrontare queste dinamiche con il filtro del sadomasochismo è stato particolarmente difficile, perché in Italia, nonostante siano temi in crescita, da un punto di vista artistico sono aspetti poco affrontati. Tutto l’universo sadomasochista non è molto presente nel mondo dell’arte.
Ti sei chiesta perché?
Non proprio, credo che certi temi risuonino in Italia con un pochino più di tempo rispetto ad altri scenari internazionali, anche per una questione di cultura e tradizione.
Poi, di nuovo, ci tengo a sottolineare che la mostra non è esaustiva su cosa è il potere, è un’apertura sulle dinamiche, sui ruoli e all’interno di alcuni sistemi.
Come hai lavorato sull’allestimento per riuscire a rendere questa complessità?
Le tematiche affrontate dalla mostra, che sono decise e forti, si rifanno a determinati immaginari. Non volevo presentare un allestimento didascalico, che fosse palesemente BDSM, quindi è un allestimento pulito.
Lo spazio di Barriera è difficile, è uno spazio enorme che presenta uno stile architettonico e degli elementi invadenti, molto freddo. Volevo cercare un equilibrio aggiungendo degli elementi, come le tende di velluto rossastre o bordeaux, che si contrapponessero all’ambiente e allo stesso tempo mettere degli elementi che richiamassero i contesti della mostra, senza palesarli. Non volevo che l’allestimento fosse scontato rispetto al tema, volevo mantenesse un aspetto analitico.
Per quanto riguarda il catalogo, a cosa state lavorando?
Il catalogo è in produzione, abbiamo deciso di pubblicarlo per il finassage. Andrà a integrarsi con il resto della mostra, avrà degli elementi che daranno maggior spunti di comprensione, ci saranno esempi di accordi tra donne e slave, dei glossari con il gergo utilizzato nell’ambiente e poi ci saranno dei miei testi e documentazione. Nulla di pretenzioso.
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Bianchessi per Forme Uniche.
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