A quasi trent’anni dalla battaglia di check-point “Pasta” a Mogadiscio, Longanesi dà alle stampe il volume di Paolo Riccò, all’epoca Capitano della Folgore, che ripercorre il quadro e i retroscena di quel tragico episodio, dove la verità “ufficiale” non coincide con quella effettiva. Un libro scomodo e coraggioso, per fare chiarezza su una pagina ancora poco conosciuta
È stata la prima battaglia combattuta dall’Esercito Italiano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, ma ancora oggi se ne parla poco. L’Italia stava partecipando alla Missione IBIS per pacificare la Somalia, una missione che rientrava nella “Agenda for Peace” della Nazioni Unite, stilata poco dopo la fine della prima Guerra del Golfo e volta a pacificare il mondo secondo i valori del liberalismo, essendo ormai venuto meno il confronto bipolare USA-URSS. Paolo Riccò, oggi Generale, era all’epoca Capitano, e comandava la XV Compagnia paracadutisti meccanizzata della “Folgore”, che fu appunto coinvolta nella battaglia.
Nella visione di Riccò e dei suoi uomini, quella missione doveva portare “soccorso e speranza a un popolo disperato”. La Somalia era infatti sprofondata da tempo nel baratro della guerra civile dopo la deposizione, avvenuta nel 1991, del dittatore Siad Barre, che l’ironia della storia vuole si sia arruolato nel 1941 nel corpo della polizia coloniale italiana. Riccò ricostruisce a grandi linee ma in maniera esaustiva, gli eventi storici della dittatura cominciata nel 1969, le tensioni con la vicina Etiopia, le relazioni con il governo italiano (nell’era Craxi Barre ricevé ben 550 miliardi di lire in aiuti), le violenze che quel “socialismo scientifico” commise contro i dissidenti e le censure applicate alla stampa straniera, la deposizione di Barre e le successive lotte per il potere tra le varie fazioni somale. Premesse necessarie per spiegare come si giunse alla Missione IBIS, e quale fu il ruolio italiano.
Il libro è scritto con uno stile fatto dell’immediatezza e della franchezza di chi ha vissuto quegli eventi, venato di rabbia per come sono stati travisati a livello ufficiale. Ma la battaglia, forse, è il risultato di una missione organizzata male all’origine, a cominciare dal piano per intervenire a Mogadiscio in caso di disordini: la XV compagnia avrebbe dovuto controllare cinque check-point, ma uomini, armi e mezzi non erano sufficienti a presidiare quell’inferno che era la città, piena di miliziani, dove tutti sparavano a tutti.
La compagnia di Riccò, chiamata “I Diavoli Neri”, fra giugno e agosto del ’93 si trovò quindi a dover gestire una sorta di emergenza, fra armi inadeguate e uomini da addestrare alla guida dei mezzi corazzati; in appena una settimana, tutto doveva essere pronto per rilevare la XIV Compagnia che finiva il turno di servizio e prendere il controllo dei cinque check-point, fra cui il “Pasta”, così chiamato perché sorgeva nelle vicinanze di un vecchio pastificio. Era il centro del dispositivo italiano, e il punto più a rischio di essere attaccato. Oltre a presidiare quell’area cittadina vigilando sulla sicurezza, i militari italiani dovevano vigilare sulla corretta distribuzione degli aiuti umanitari.
Nelle sue pagine l’autore racconta la spaventosa realtà della Mogadiscio di quegli anni, dove la vita valeva meno di niente, dove povertà, crudeltà, disillusione, convivevano fianco a fianco in un mix esplosivo. Una realtà difficile da penetrare, con dinamiche sociali, usi e costumi lontanissimi dalla mentalità occidentale, come ammette lo stesso Riccò. Che introduce il lettore nell’universo della città e della guerra, entrambi affrontati con l’orgoglio di essere un soldato italiano e in particolare della “Folgore”.
In quei giorni difficili, infatti, era forte lo spirito di corpo che univa i nostri militari, i quali arrestarono decine di persone e sequestrarono una tonnellata di armi, operando in condizioni logistiche difficili, con poco cibo a disposizione, senza poter usufruire delle docce, pur nell’afa e nella polvere dell’estate somala. Disagi cui un soldato non fa troppo caso, se sa di poter contare su una catena di comando che gli permette di operare nella massima sicurezza. Ma nel comando italiano qualcosa andò storto, perché furono ignorate le avvisaglie di un prossimo attacco sul check-point Pasta.
A scatenare il caos, la scoperta di un deposito di armi dei guerriglieri, nel quartiere di Haliwa cui la folla, dalle case fatiscenti circostanti, rispose con atti ostili verso i nostri soldati, cui venne dato l’ordine di ritirarsi per non rimanere intrappolati in quel dedalo di strade sconosciute. Ma poco dopo scoppiò la battaglia, minuziosamente ricostruita da Riccò, che riporta anche le testimonianze dei suoi uomini. Ma la battaglia è anche perfettamente sintetizzata da una scritta in vernice rossa, che ancora campeggia su un muro sbrecciato dell’edificio che ospitò l’Accademia Militare somala e che durante la missione fu la base della missione. La scritta recita così: “In questo maledetto giorno al Pastificio eravamo in tanti ma pochi spararono. La XV Compagnia Diavoli Neri aprì il fuoco per prima, ripiegò per ultima lasciando sul campo numerosi morti e feriti nemici. Purtroppo all’adunata del mattino successivo il paracadutista Baccaro Pasquale non era presente”.
Furono scritte subito dopo la battaglia, sulla scia della drammatica emozione di quei giorni di luglio; oggi, quelle parole trovano un’eco nel racconto di Riccò, che scrivendo vuole prima di tutto rendere omaggio a chi era con lui in quei momenti difficili, a chi ha combattuto con onore e si visto invece messo da parte, “oscurato” dalle versioni ufficiali per tutelare quei livelli superiori che invece quel giorno commisero più di un errore. Ma per non far emergere quelle carenze, la portata della battaglia fu minimizzata, nonostante i diversi feriti, e la morte di 3 militari, fra cui il paracadutista Baccaro della XV Compagnia.
Nei giorni che seguirono, la ragione di quell’attacco ai soldati italiani non fu chiarita, e un mese dopo la Compagnia rientrò in Italia. Ma uno strano silenzio avrebbe continuato ad avvolgere quegli avvenimenti, e si è fatto ancora più pesante quando la missione ONU e quindi anche l’impegno italiano, terminarono fra il 1994 e il 1995. Altri italiani sarebbero caduti in Somalia, senza che il Paese venisse in qualche modo pacificato. Una missione mal gestita a tanti livelli, che però non ha leso l’onore dei paracadutisti della “Folgore”, che nonostante tutto seppero tenere alto l’onore dell’Italia.
Paolo Riccò
I Diavoli Neri. La vera storia della battaglia di Mogadiscio
Longanesi, 2019
pp. 315, Euro 18,90
www.longanesi.it