La componente sonora, diffusa in tutta la Biennale, emerge all’Arsenale nell’opera dell’artista Elisa Giardina Papa, dal titolo “U Scantu”: A Disorderly Tale
Il latte dei sogni, della 59esima Biennale Arte di Venezia, induce a fantastici accostamenti e meravigliosi inganni. Attraversando i diversi padiglioni dei Giardini e dell’Arsenale si percepisce la presenza diffusa di una dominante sonora delle opere in mostra. Peraltro, il Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale è andato al padiglione della Gran Bretagna, per l’opera collaborativa di Sonia Boyce, Feeling Her Way. Un insieme di registrazioni video-musicali di canti corali paralleli, visibili su diversi schermi e contemporaneamente immersi in fantasmagoriche pareti colorate. E anche il padiglione francese e il padiglione australiano sono fortemente caratterizzati da un’impronta musicale.
Lo scantu, cioè la paura
Al canto e alle melodie dei cori femminili fa da contrappunto lo scantu, cioè la paura. Che tradizionalmente si attribuisce alle donne di fora, alle streghe, alle maghe eretiche, alle fate. In un angolo dell’arsenale, poco distante dall’imponente opera di Barbara Kruger, si può osservare un bel lavoro dell’artista Elisa Giardina Papa, dal titolo U Scantu: A Disorderly Tale. Si tratta di un’opera che reinterpreta il mito siciliano delle donne di fora (le donne di fuori, dell’altrove). Considerate un pò matte, oltre che streghe, esseri perversi e fuori dalle norme, che la tradizione orale descrive al contempo femminee e mascoline. Umane ma in parte animali, benevole eppure vendicative.
L’installazione video ritrae le donne di fora come adolescenti che percorrono le desolate architetture postmoderne di Gibellina Nuova. Pedalando sulle loro biciclette, personalizzate con potenti impianti stereo secondo la moda del bike tuning. Le scorribande di queste tuners sono inframmezzate da motivi testuali e visivi, attinti da una raccolta di favole siciliane del XIX secolo. Dai ricordi d’infanzia dell’artista, riguardanti canzoni e storie che le raccontava sua nonna. E dai processi dell’Inquisizione che, nel XVI e XVII secolo, perseguitavano le donne che ritenevano essere, per l’appunto, donne di fora. E le imprigionavano, sottoponendole ad atroci torture.
Magia ritualistica
Ai due lati dello schermo, si trovano alcuni oggetti che riproducono zampe d’oca e serpenti stilizzati come trecce, realizzati insieme ad artigiani ceramisti siciliani. Che rappresentano le immagini simboliche della magia ritualistica, come forza profonda che genera uno spazio immaginario, al di là di categorie predeterminate di umanità e femminilità. I serpenti intrecciati, oltre a far pensare ai simboli alchemici, rappresentano anche un simbolo sessuale. E fanno pensare alle giovani principesse dai lunghi capelli biondi che, nelle favole, gettano le loro trecce dalle bifore dei castelli, per accogliere gli amanti notturni.
L’opera di Elisa Giardina Papa mette a fuoco, con ironia, le modalità in cui si presentano e si realizzano il genere, la sessualità e il lavoro nell’economia digitale del XXI secolo. Anche la sua opera precedente, Labor of sleep (Il lavoro del sonno), presentata recentemente nella mostra Vogliamo tutto, dedicata ai temi del lavoro contemporaneo, presso le OGR (Officine Grandi Riparazioni), a Torino, riflette sugli aspetti erosivi del lavoro digitale rispetto ai ritmi della vita naturale (il sonno, appunto) e ai ritmi della vita sociale, delle relazioni umane; fidanzati invisibili, finti algoritmi, fan di social media a noleggio popolano Labor of sleep, il lavoro del sonno e il lavoro dei sogni, per dormire meglio e dormire più in fretta.