Pasolini, 100 anni dalla nascita (Bologna 5 marzo 1922). Il WeGil di Roma ospita la mostra Pier Paolo Pasolini. Non mi lascio commuovere dalle fotografie. L’esposizione racconta il controverso rapporto dell’artista con il mezzo fotografico, come controversa e appassionante è la figura di Pasolini. Dal 20 maggio al 10 luglio 2022. A cura di Marco Minuz e Roberto Carnero.
Lo si percepisce dal titolo, la faccenda nasce da un’ambivalenza di fondo: Nonostante Pasolini non apprezzasse le fotografie, è anche uno dei personaggi pubblici più fotografati del suo tempo. Come lo spieghiamo? Forse l’ennesimo esempio dell’esuberanza del personaggio, abituato a muoversi a zigzag tra le cose. Mai veramente domo a un’opinione netta, ha scelto di ondeggiare sul limite delle classificazioni.
Lo vediamo diventare tutt’uno con lo schermo, lo sguardo chiuso in un pugno – Walter Siti ne ha parlato in questi termini osservando il suo ritratto alla mostra di Marlene Dumas a Venezia – e la scena ridotta a cornice. E poi commentare: “alle fotografie è sufficiente dare un’occhiata. Non le osservo mai più di un istante. In un istante vedo tutto”. Una questione di tempo, insomma, come una volta raccontavamo in questo approfondimento su con Vladimir Nabokov – scrittore su cui un parallelismo con Pasolini non casca neppure male.
Se il tempo si allunga l’attenzione si deve acuire, sforzarsi di seguire e sintetizzare. Il rapporto con le immagini in movimento era infatti differente, molto più fecondo. C’era la necessità artistica di consumarne: “niente come fare un film costringe a guardare le cose”. Per lui immobilizzarla significa inibire il fascino di un’immagine. O meglio, esaurirlo in uno slancio iniziale troppo grande per essere ripetuto.
Eppure, paradossalmente, per tutta la vita Pasolini ha offerto grande disponibilità nel farsi fotografare, anche in momenti privati della sua vita. Perché l’ha fatto? Difficile dare una risposta che non risulti riduttiva. Meglio cercarla nei mille volti che abitano le foto in mostra, come mille sono le pieghe di un intellettuale inafferrabile. Scrittore, giornalista, opinionista, attivista, regista. Nelle foto lo ritroviamo perennemente frammentato, ma allo stesso tempo unito da tanti singoli scatti che ne restituiscono un’immagine complessa. Professionale, ma anche privata. Da vedere lentamente – così Nabokov è artisticamente soddisfatto, e noi anche – e fruirne in 160 slanci – ovvero il numero di fotografie e documenti d’epoca in mostra a Roma.
Al suo centro la città di Roma, i ragazzi delle borgate romane, il concetto di corpo, la passione per il calcio, le sue frequentazioni, la figura della madre, le abitazioni romane in cui ha vissuto, i ritratti, l’esperienza del cinema, gli anni giovanili, le celebrazioni funebri a Roma, Casarsa della Delizia.
“Il volto di Pasolini diventa ‘la mappa’ per leggere il suo lavoro, la sua personalità, il suo pensiero e le sue scelte - scrive Marco Minuz, che ha curato la selezione fotografica. Leggere il suo lavoro. Leggere. Scelta lessicale casuale e fortuita, ma che ci riporta nuovamente a Nabokov e alla necessità di osservare, sezionare, studiare e soprattutto lasciarsi emozionare il più possibile dall’esperienza artistica. Una prospettiva, questa sì, a cui di certo Pasolini si è affidato senza ambivalenza alcuna.