Con il restauro della “Cena di san Gregorio Magno” riemerge il colore di Paolo Veronese. La grande tela di 40 metri quadrati si può di nuovo ammirare nella Basilica di Monte Berico a Vicenza grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo nell’ambito di “Restituzioni”.
Un restauro accurato ed impegnativo ha riportato a nuova vita la “Cena di san Gregorio Magno”. Nella tela, realizzata nel 1572, 450 anni fa, grande 40 metri quadrati, è riemersa la gamma cromatica vivace distintiva del pittore Paolo Veronese, insieme alla combinazione di luci e ombre, alla giustapposizione delle campiture di colore dove si possono distinguere anche le singole pennellate, in particolare apprezzabili sui volti e sui panneggi.
Queste sono solo alcune delle interessanti novità emerse attraverso la ricerca documentale e lo studio della tecnica esecutiva che ha permesso di intervenire con l’obiettivo di riportare la tela ad uno stato quanto più vicino all’originale. L’opera ha una storia travagliata: è stata lacerata in 32 pezzi dai soldati austriaci il 10 giugno 1848 durante la prima guerra d’indipendenza.
Realizzata nel 1572, è l’unica tra le famose Cene del pittore veneto ad essere ancora conservata nel luogo per il quale fu creata, il refettorio della Basilica di Monte Berico. È considerata uno dei capolavori della maturità del Veronese, primario esponente del Rinascimento italiano e, insieme a Tiziano e al Tintoretto, della pittura veneziana cinquecentesca.
I lavori di restauro, a cura di Valentina Piovan con la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio delle Province di Verona, Rovigo e Vicenza, sono stati avviati nell’ottobre 2019 per una durata prevista di due anni. La pandemia ha necessariamente fatto slittare la conclusione dell’attività a maggio 2022.
L’intervento è stato generosamente offerto da Intesa Sanpaolo in occasione dei 30 anni di “Restituzioni”, il progetto che, avviato nel 1989 proprio a Vicenza, e oggi esteso a tutte le regioni italiane, ha permesso di restaurare oltre 2000 opere del patrimonio del Paese.
L’opera restaurata è stata presentata oggi dal sindaco Francesco Rucco, da Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo, da Giuseppe Felice Romano ispettore Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, da Fabrizio Magani, soprintendente archeologia, belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e per le provincie di Belluno, Padova e Treviso, da Padre Carlo Rossato, priore della comunità dei Servi di Maria della Basilica di Monte Berico e da Valentina Piovan, restauratrice, Simona Siotto, assessore alla cultura del Comune di Vicenza e Mauro Passarin, direttore dei Musei civici di Vicenza.
E’ intervenuto anche il critico d’arte Vittorio Sgarbi, giunto in città per l’occasione.
La Cena di san Gregorio Magno adorna la parete di fondo dell’antico refettorio del Santuario di Santa Maria di Monte Berico, luogo di culto custodito dall’Ordine dei Servi di Maria e visitato ogni anno da milioni di pellegrini.
Per restaurare il dipinto, di dimensioni monumentali (4,68 per 8,61 metri per un totale di oltre 40 metri quadrati), è stata necessaria la rimozione dalla sua sede originaria con un’attività di movimentazione particolarmente complessa e delicata, ma indispensabile per effettuare tutte le operazioni necessarie.
L’opera è stata studiata sia da un punto di vista storico-conservativo, attraverso il controllo delle fonti documentarie, iconografiche e il confronto con altre opere dell’autore, sia da un punto di vista scientifico, con la verifica puntuale attraverso indagini chimiche e fisiche a supporto dell’intervento di restauro.
Il grande telero è realizzato mediante la cucitura di quattro fasce di tessuto di lino con quella superiore suddivisa in tre pezzi. Il colore è stato steso a pennello, impastato con olio di lino su una preparazione molto sottile composta da gesso e colla.
Fra le scoperte del restauro appena terminato, l’utilizzo di diverse qualità di tessuto nel dipinto: un tessuto a trama più fine nella fascia dedicata ai volti, necessario a Veronese per una maggiore definizione nei dettagli.
I pigmenti sono tutti caratteristici della tavolozza del pittore: la malachite e l’azzurrite che Veronese predilige, l’orpimento, il vermiglione e le lacche rosse, ma anche colori di natura vetrosa come il giallo di piombo e stagno di tipo II e lo smaltino.
Le indagini preliminari hanno rilevato i reali danni subiti durante i moti indipendentisti del 1848 e gli esiti della ricomposizione effettuata qualche anno dopo dal pittore veneziano Andrea Tagliapietra e precisato l’effettiva entità dell’intervento integrale di restauro realizzato nel 1973 da Antonio Lazzarin, in occasione dell’esposizione del grande telero in Basilica palladiana.
È stata eseguita una pulitura graduale e selettiva con la rimozione della vernice, dei ritocchi, delle velature a tempera e delle stuccature del 1973, per far riemergere la gamma cromatica vivace distintiva di Paolo Veronese. Si è valutata l’incongruità di alcune ricostruzioni delle vesti, velature eccessivamente coprenti in corrispondenza dei volti, delle quali è stata poi decisa la rimozione.
Le numerose lacune della pellicola pittorica sono state ricolmate con stucco, le diffuse abrasioni integrate sia a velatura che a tratteggio.
Sono così emersi, insieme ai colori originali, dettagli “scomparsi” quali piccoli tocchi finali di Veronese che consentono di dare grande espressività ai volti.
Altra scoperta di grande interesse: la totale assenza di manomissioni, sia in relazione ai tagli del 1848 sia ai restauri successivi, nel volto del Cristo, che non ha quindi necessitato di interventi di ripristino in questa campagna di restauro.
Per accompagnare il restauro sono state pensate delle iniziative purtroppo interrotte a causa della pandemia e poi riprese nel 2022: con “AspettandoVeronese” sono state proposte conferenze in varie sedi cittadine (Palazzo Chiericati, Gallerie d’Italia di Vicenza, Istituto Missioni) e visite guidate gratuite al cantiere di restauro.