Paola Zampa invade lo spazio romano del Quadraro di disegni a olio e a inchiostro, ricami, installazioni, objets trouvés, voci
La natura si fa selvaggia quando vi accade il proibito, scrisse Cesare Pavese. Per omaggiare i suoi cinque anni, Casa Vuota presenta Bosco Sacro, la personale di Paola Zampa (Civitavecchia, 1951), visitabile fino al 31 luglio. Lo spazio espositivo domestico nella zona del Quadraro di Roma, a cura di Francesco Paolo del Re e Sabino de Nichilo, si apre a uno sconfinamento.
L’artista, che vive a lavora nella città eterna, infoltisce le stanze della casa di disegni a olio e a inchiostro, ricami, installazioni, objets trouvés, voci. Nel tentativo di ricreare l’atmosfera silvestre del mito; laddove sacrificio e rituale, grazia e violenza partecipano della stessa natura. Gli spazi raccolti, cinti da pareti foderate di stoffe vintage e lastricati con mattonelle retrò, s’infoltiscono di segni. All’occhio del fruitore sembra impossibile raccapezzarsi: in ogni vano lo sguardo si posa sul profilo di un simulacro.
Ma il mansueto disorientamento casalingo d’impatto, generato da un’iconografia insistente, moltiplicatoria, misteriosamente prolifica, può presto mitigarsi in conoscenza, intima esperienza, mediante l’ausilio di alcuni indizi. A tracciare un sentiero nel bosco di Zampa sono anzitutto quelli che l’artista definisce fantasmi. Miriadi di piccoli e medi disegni a olio, cotti poi nella cera, che ritraggono occhi curiosi, reliquie, carcasse di creature mostruose, sezioni di corpo, offerte votive, immagini non definite: “la cera scioglie la figura sottostante, ne rimane un’illusione”, spiega l’artista.
La severità degli alberi boschivi, dipinti su stoffa e su carta, appesi e fluttuanti o incorniciati a terra, è ingentilita appena dall’oro di fondo. Il mito è un locus dove non solo si addensano danze ninfali, ma ombre: piccoli mostriciattoli in piombo si palesano fra cortecce e fantasime. Campeggiano poi figure note: il ricamo di un satiro, soggetto tratto dalla pittura rinascimentale, la Venere di Botticelli. Il tocco di Zampa sembra consapevole della differenza che corre tra la levitas di una favola pastorale e il piglio crudele di una tragedia ellenistica. Il satiro è colto nella sua regale e ferina impudicizia, della Cipride morta si distinguono solo le ossa in radiografia.
“L’arte permette di affacciarci sull’abisso – afferma l’artista – con la bellezza si possono raccontare anche cose difficili e inquietanti”. È, infatti, il racconto l’ultima strada battuta che l’artista rivela al fruitore perché non soccomba all’incontro déjà-vu con spiriti della vegetazione, totem, tabù, presagi e mollezze. Nell’atrio di Casa Vuota una voce registrata recita con costanza oracolare i versi dell’Ode classica di mezzogiorno, testo poetico scritto da Zampa anni addietro. Un monito grazioso e implacabile che fa da cornice alla mostra sacrale.