Pochi Riti Utili Salvano è il titolo della personale dell’artista bergamasco Serj, che si svolge fino al 24 luglio 2022 nelle sale del cinquecentesco Palazzo Oldofredi Tadini Botti di Torre Pallavicina.
Si fa chiamare con l’acronimo Serj l’artista bergamasco, classe 1985, protagonista della personale curata da Roberto Lacarbonara, che si estende con inedite installazioni site specific nelle tre sale e nel portico di Palazzo Oldofredi Tadini Botti, fino alla chiesa sconsacrata di San Rocco, cui si accede dal giardino del Palazzo. La mostra si deve all’amministrazione illuminata di Antonio Marchetti Lamera, sindaco di Torre Pallavicina e artista anch’egli.
Pochi Riti Utili Salvano. Quel che subito si percepisce leggendo e ripetendo, come fosse un mantra, le quattro semplici parole che compongono il titolo, è la sensazione di trovarsi coinvolti in un rito, che poi si svela essere piuttosto un contro-rito in cui fare esperienza di una memoria gloriosa, seppur depotenziata, dismessa.
Così, tutto si svolge in una sequenza di sale in cui tutto sembra perdere la sua funzione originaria per ridursi a simulacro. Attraverso dei passaggi obbligati, il visitatore intraprende un viaggio iniziatico che inizia offrendo delle coordinate spaziali. Una colata di cera nera, rigorosamente perimetrata e perfezionata dall’artista – Scena di caccia –, ricrea una mappa del territorio di Torre Pallavicina e delle zone limitrofe, di cui restituisce anche la consistenza, quasi fangosa, a tratti palpabile. Serj, ispirato dalla storia del palazzo – che fu usato per scopi militari prima di diventare residenza estiva degli Sforza –, colloca sulla mappa delle luci al neon, che coincidono con la preda e il mirino, il bersaglio e la mira. Ciò che interessa Serj, infatti, è il rapporto tra volontà e risultato, lo scarto che necessariamente si viene a produrre tra l’intenzione e l’attuazione.
Dopo aver offerto le coordinate spaziali, l’artista dota il visitatore degli strumenti necessari per compiere il rito: un vessillo e dei proiettili, ormai inoffensivi. L’asta in ottone del vessillo poggia in corrispondenza dell’angolo della seconda sala, mentre la bandiera nera poggia, apparentemente con noncuranza, a terra. A ricordarci invece di un tempo in cui il vessillo svolgeva una funzione militare una piccola fotografia: Serj è ritratto da dietro, mentre porta, attraversando un campo di grano, la bandiera.
E ancora, disposte a terra TENET (six): sei lance in legno deformato terminate alle estremità da punte in ottone. Sono armi inoffensive, colte in tutta la loro impotenza, lasciate giacere a terra a memoria di un tempo lontano, di cui si fanno eco le pareti, affrescate con motivi a grottesche e scene tratte dalla storia di Amore e Psiche.
È infine il momento dell’azione, del sacrificio: una sezione di campana giace su una struttura metallica, o come la definisce il curatore, una “macchina implicante” su cui si innestano forme curve, iperboliche, dalle molteplici torsioni e increspature. È implicante poiché coinvolgente. È un attimo e siamo dentro, afferma Lacarbonara. Il tema della campana deriva dal film del 1966 dal titolo Andrej Rublëvm di Andrej Tarkovskij, in particolare dal capitolo VIII, La campana, in cui si narrano le vicissitudini di un Duca intenzionato a far realizzare una grande campana. Afferma Serj: «Andrej Tarkovskij rappresenta il processo di produzione della campana come un rito regolato da un complesso e delicato intreccio di relazioni tra fede e tecnica, abbandono e coscienza, superstizione e pratica, soggettività e comunità». E aggiunge «Allo stesso modo, il rapporto tra artista e opera si nutre di questi apparenti opposti che trovano registro all’interno del codice-rito, intenso come confermazione e rilancio potenzialmente infinito di una procedura apparentemente (o parzialmente) codificata».
Sta in queste parole l’intuizione del progetto presentato a Torre Pallavicina da Serj, che prosegue nel portico a cinque arcate della villa, con Campana. Ammettendo il non senso, Serj depotenzia ancora una volta l’oggetto, riducendo la campana a presenza incognita, a cumulo di pieghe in silicone. Il percorso si conclude nella chiesa sconsacrata di San Rocco, il cui spazio è occupato da grandi casse, che in loop ripetono “pochi riti utili salvano”. È la voce dell’artista a pronunciare le parole, prima lentamente e poi a un ritmo sempre più concitato, che ne rende quasi difficile la comprensione.
Nelle sale del Palazzo Oldofredi Tadini Botti di Torre Pallavicina Serj costruisce temporaneamente uno spazio rituale e poetico, che offre allo spettatore un’esperienza sinestetica, oltre alla possibilità di apprezzare le grandi abilità tecniche dell’artista, artigiano in grado di lavorare materiali diversi.