Nel castello di Nocciano, gli scatti di Giorgio Cutini, maestro della fotografia contemporanea, si confrontano con la pittura di Marco Stefanucci nel segno della poeticità della visione
Il castello di Nocciano, borgo di 1700 anime della provincia di Pescara, è uno di quei luoghi che fanno dell’Italia il museo diffuso d’Europa. Come per ogni fortezza degna di questo nome, penetrare all’interno delle sue mura non è mai stato facile e continua a non esserlo, visto che è solitamente chiusa al pubblico. Sarà però eccezionalmente visitabile ogni fine settimana di luglio per la mostra Figurarsi il Tempo, un raffinato confronto orchestrato nel segno della poeticità della visione tra gli scatti di Giorgio Cutini, maestro della fotografia contemporanea, e i dipinti di Marco Stefanucci.
Gli oltre venti lavori scelti dal curatore della rassegna, Anthony Molino, per documentare gli esiti più recenti della ricerca di Stefanucci sorprenderanno chi ancora non conosce la sua emozionante pittura di ombre e sogni che emergono dall’inconscio e varrebbe da sola la visita alla mostra la visione di un capolavoro della fotografia di fine ‘900 come “Omaggio a Burri”, opera di assoluta bellezza eseguita da Cutini nel 1991 esposta sino al 31 luglio tra circa trenta fotografie del più lirico tra i firmatari del “Manifesto della fotografia. Passaggio di frontiera”, una pagina importante della storia della fotografia contemporanea europea.
Regista di mostre dalla scrittura curatoriale mai banale, Anthony Molino porta nei progetti espositivi che firma il bagaglio di un’attività che si svolge in parallelo anche sul fronte della psicoanalisi e della letteratura, con particolare attenzione alla poesia. Come psicoanalista ha collaborato con clinici tra i più importanti del panorama internazionale, mentre nel campo della letteratura ha tradotto in inglese Eduardo De Filippo e i versi di molti protagonisti della poesia italiana contemporanea. Per la sua traduzione de Il diario di Kaspar Hauser di Paolo Febbraro, la Academy of American Poets – la più prestigiosa istituzione letteraria americana – lo ha insignito del premio Raiziss-De Palchi per la poesia italiana in inglese.
Di grande afflato poetico Figurarsi il tempo, come detto, vede protagonisti. Ma chi sono? Giorgio Cutini e Marco Stefanucci sono due artisti diversi per età e per il linguaggio con cui si esprimono nella pratica artistica: uno è un famoso fotografo, l’altro un pittore dalla carriera di respiro internazionale. Eppure sono resi profondamente contigui dal comune interesse a orientare la propria ricerca all’interno del flusso del tempo, la più sfuggente e indecifrabile delle dimensioni che condizionano l’esistenza dell’uomo. Al di là dell’ingannevole concretezza dello spazio, al di là dell’apparenza delle cose, Cutini e Stefanucci producono tracce di un mondo altrove, quello che custodisce la verità del nostro vivere, fatto di pensieri, emozioni e sogni e della materia della poesia, l’impalpabile e oracolare materia della rivelazione.
Giorgio Cutini: fotografare il palpito del tempo
Nel 1995, Giorgio Cutini è stato uno dei firmatari del Manifesto della fotografia. Passaggio di frontiera, nodale esperienza di rinnovamento e sperimentazione nel campo della fotografia che ha condiviso con nomi del calibro di Gianni Berengo Gardin e Mario Giacomelli, solo per citare quelli più noti al grande pubblico.
Di quel gruppo, programmaticamente orientato a trascendere dalla fotografia come rappresentazione della realtà ambientale, ha forse costituito la voce più poetica, una voce scaturita da un percorso di incessante ricerca iniziato nel 1970 e proseguito negli anni in modo tutto proprio, anche grazie al totale dominio del medium fotografico reso possibile dalla sua formazione e esperienza in campo scientifico. Cutini si è infatti contemporaneamente e con successo dedicato a due mestieri: quello dell’artista e quello del chirurgo pioniere delle nuove tecnologie, chirurgia laparoscopica e robotica in primis, un dato biografico che ha sempre incuriosito i numerosi esegeti della sua arte.
Per niente interessato a usare la fotografia per catturare l’attimo fuggente paralizzandolo in uno scatto, Cutini riesce piuttosto nell’ardua impresa di imprimere alle sue immagini il soffice respiro del tempo, rendendole pulsanti e soffuse di vitale, emozionante energia. Non deve pertanto sorprendere il connubio che da sempre lega ai maggiori poeti italiani della parola – con cui ha firmato a quattro mani bellissimi libri d’arte – questo poeta della visione proteso a scovare col suo obiettivo “quello che si è mostrato, quello che si è nascosto e quello che solo per un attimo si è rivelato”.
Nella mostra ospitata dal Castello di Nocciano, sono presenti trentacinque opere in tutto, incantevoli nella loro capacità di indurre nello spettatore “stati d’animo tra stupefazione e incanto, tra struggimento e brivido evocativo” (Enzo Carli). Parliamo di, solo per citarne qualcuna: È aperta la stanza al cielo turchino (1994), La città di Jo Kut (2010), Il Suono del vento (2018), Il Viandante (2018), Gli Ipocriti (2021) e, a documentare la produzione più recente, il trittico Nessun rumoue..sssh! (2022)
Marco Stefanucci: dipingere nel flusso del tempo
“Non mi è mai capitato di vedere qualcosa di nuovo, tutti ci ispiriamo – ognuno a modo proprio e più o meno volontariamente – a chi ci ha preceduto. Credo che faremmo bene a liberarci dal mito dell’originalità”
La consapevolezza di agire nel flusso di una storia Marco Stefanucci l’ha sempre espressa con chiarezza. È un artista che sa – scrive Paolo Febbraro nel testo che gli dedica in catalogo – di essere parte “infinitesimale di un lungo filo teso che lo supererà”, quel filo teso è l’interminabile racconto della produzione artistica.
Attenzione però a non farsi tradire dai richiami all’antica tradizione della pittura che, al primo impatto visivo, sono quelli di maggiore evidenza in una ricerca invece saldamente ancorata alla contemporaneità. Certo, antiche sono le iconografie dipinte da Stefanucci sui classici supporti della tela e della tavola, magari impressi con la colla di coniglio e le tecniche in uso qualche centinaio d’anni fa nelle botteghe dei pittori, ma agli osservatori più esperti non sfuggirà la circostanza che il suo è un lavoro di sperimentazione a tutto campo in cui materie e tecniche antiche si fondono con altre tipiche dell’arte contemporanea. Usa ad esempio colori acrilici, ricorre alle combustioni, imprigiona il fumo nel plexiglass, soffre la bidimensionalità come una prigione e tende a estroflettersi nello spazio in un amalgama felicemente equilibrato che interpreta alla perfezione lo spirito di fusione e contaminazione tipico del nostro tempo.
Il gusto e il singolare talento dimostrato nel corso della sua carriera per l’invenzione di tecniche da alchimista è uno degli elementi di affinità che giustificano il gioco di specchi creato nel castello di Nocciano tra i suoi dipinti e gli scatti di Giorgio Cutini, anche lui sperimentatore audace portato all’uso estremo e anticonvenzionale degli strumenti a sua disposizione.
Manipolando la materia, costruendo per decostruire, Stefanucci evoca il mondo ctonio e fantasmico che alberga in ognuno di noi.
Nel Castello di Nocciano sino al 31 luglio, Giorgio Cutini e Marco Stefanucci sondano il nostro mondo interiore, con linguaggi diversi ne stanano le ombre, poetiche tracce di un altrove che affiora grazie al rabdomantico potere dell’arte.
GIORGIO CUTINI | MARCO STEFANUCCI. Figurarsi il tempo
2 – 31 luglio 2022
Castello di Nocciano
Largo Madonna del Piano
65010 Nocciano
a cura di Anthony Molino
Orari: Il sabato e la domenica dalle 16,00 alle 20,00
Apertura a richiesta nei giorni feriali (per appuntamenti: +39 348 7278408)
+39 348 7278408 – +39 345 0825223
Ingresso libero
www.castellonocciano.it