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Tecnologia e cultura: perché il rapporto versa in una condizione di stallo

Cultura e Tecnologia: ci eravamo tanto sbagliati. Il rapporto tra tecnologia e cultura, negli ultimi anni, è naturalmente stato al centro di molti dibattiti, sia a livello internazionale che sul versante domestico.

Restringendo il focus alle sole dimensioni nazionali, nel nostro Paese il “connubio” tra tecnologia e cultura ha seguito dinamiche peculiari e discontinue: dopo un primo sostanziale e reciproco scetticismo, si è poi sviluppata, anche grazie ad una maggiore volontà politica, una tendenza all’integrazione di questi due macro-comparti produttivi.

Tendenza che si è poi concretizzata in numerosi tentativi, con esiti talvolta felici, talvolta meno brillanti. Al di là dei vari casi specifici, tuttavia, è pacifico affermare che il rapporto tra tecnologia e cultura non si sia ancora sviluppato secondo una “modalità applicativa” generale che consenta alla tecnologia di generare un impatto equiparabile a quanto invece osservabile in altri segmenti produttivi.

Sono numerose le interpretazioni che potrebbero illustrare le ragioni per cui non è stata ancora individuata questa “strada maestra”: da un lato una bassa permeabilità del contesto culturale ad innovazioni strutturali, almeno in parte ascrivibile alla generale organizzazione del sistema culturale nel suo complesso; dall’altro la constatazione che tanto il sistema culturale quanto i rappresentanti dell’universo “tecnologico” tendano ad assumere un atteggiamento autoreferenziale.

Altri interpreti tendono a sottolineare una importante carenza di risorse economiche. Quest’ultima riflessione, però, può soltanto in parte spiegare un fenomeno che appare essere ben più complesso: da un lato infatti si può eccepire che l’adozione di funzionalità tecnologiche potrebbero abilitare un incremento di quelle stesse risorse economiche, dall’altro si può argomentare che non sono mancati impieghi di risorse finalizzate alla definizione di progetti tecnologici, ma che in questo senso sono stati privilegiati progetti ad impatto comunicativo, come videogames, realtà virtuale, ecc., piuttosto che progetti con output più profondi sulle dimensioni organizzative.

C’è poi un’altra interpretazione, che ha sinora ricevuto poca attenzione e che invece potrebbe ben illustrare la condizione di stallo in cui il rapporto tra tecnologia e cultura versa oggi. Sinora, infatti, è stata opinione comune che la tecnologia dovesse agire per la cultura, come ha agito per gli altri settori, attribuendo quindi alla tecnologia un ruolo abilitante, disruptive (come piaceva dire solo sei mesi fa).

In questa interpretazione, quindi, la tecnologia deve intervenire “sul” segmento culturale, migliorandolo, incrementandolo, innovandolo.

Pochi sono stati invece i tentativi che hanno visto la tecnologia agire “con” la cultura per intervenire “su” altri comparti: un connubio ad esempio utile per la realizzazione di ricostruzioni digitali in ambito manutentivo, la creazione di corsi di formazione immersivi, o altri esempi analoghi.

Secondo quest’interpretazione, dunque, la cultura smette di essere il “centro applicativo” della tecnologia, e diviene “fattore produttivo” integrato alla tecnologia, per l’elaborazione di prodotti e servizi da veicolare su altri settori. In fondo, questa interpretazione si ricollegherebbe ad una delle più importanti caratteristiche che in genere vengono riconosciute alle cosiddette industrie culturali e creative (ICC), vale a dire l’elevato grado di “interdipendenza settoriale” del comparto, che detto in altri termini è la capacità dei settori produttivi ICC di intervenire anche in altre catene di creazione del valore.

Sicuramente in un Museo si possono applicare tante e tante tecnologie. Ma per quanto numerose queste siano, saranno sempre minori rispetto a quelle che cultura e tecnologia, insieme, “possono creare” per tutti gli altri comparti. Questo significa che, sinora, l’alleanza mancata tra cultura e tecnologia è imputabile al fatto che, semplicemente, la stavamo cercando nel posto sbagliato. E questo, apre scenari molto ampi, produttivi, e redditizi, che sicuramente meritano di essere perseguiti. Perché il “medium” sarà sì il messaggio. Ma solo se ha il corretto contenuto.

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