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Lirismo, tenerezza e dramma: il realismo socialista di Mario Comensoli in mostra a Chiasso

Mario Comensoli, Dopo il lavoro (1956)

A cento anni dalla nascita, il Centro culturale di Chiasso, nell’ampia sala di Spazio Officina, omaggia Mario Comensoli, esponente del realismo socialista svizzero, con la mostra Gli uomini in blu. A cura di Chiara Gatti e di Nicoletta Ossanna Cavadini, direttrice del m.a.x. museo, l’esposizione è aperta fino al 24 luglio 2022.

Una luce zenitale si propaga nella grande sala di Spazio Officina che ospita la mostra Mario Comensoli (1922-1993) gli “uomini in blu”. Il titolo rimanda alla serie di dipinti che l’artista realizza a partire dagli anni Cinquanta, in un momento in cui qualcosa stava cambiando in Svizzera, e attraverso i quali si fa interprete di una condizione sociale particolare, quella degli operai, emigrati italiani alla ricerca di una vita migliore, di lavoro e sostentamento. Nelle sue tele, di olio magro e scarnificato, come le descrive la curatrice Nicoletta Ossanna Cavadini, in cui il passaggio del pennello lascia intravedere la tela, cristallizza attimi di vita vissuta in composizioni di grande intensità emozionale. Un uomo dal volto lieto, coi pugni serrati, compie un balzo verso di noi, mentre la giacca da lavoro gli svolazza alle spalle: è la rappresentazione del salto sociale, di chi ricercava una nuova e più onesta condizione personale.

Mario Comensoli, Operaio al pianoforte (1958)

Un uomo in pausa fuma una sigaretta, un’operaia rammenda la sua giacca, mentre un operaio dalle grandi mani scrive a terra con un gessetto bianco, coppie di innamorati, giocatori di scacchi e di calcio compongono il repertorio figurativo dell’artista svizzero. Tuttavia, ai momenti di svago e di tenerezza della vita degli operai l’artista accompagna attimi di desolazione, di silenziosa e lirica solitudine, evocata da dipinti come Il morto (1958) e Profilo di donna (1966), i cui lineamenti, dai contorni neri, si stagliano su uno sfondo azzurro appena accennato. Gli incarnati scuri, le mani grandi e quasi tumefatte, le scarpe, la coppola e, soprattutto, le tute blu identificano gli “uomini in blu” di Mario Comensoli. Uomini ch’egli ha scoperto, conosciuto, visto, dei quali ha assistito al cambio di emozioni, colori e aspirazioni. La sensibilità di Comensoli restituisce su tele di grande formato, attraverso tecniche diverse, uno spaccato di vita, in anni in cui Zurigo e Chiasso rappresentavano il luogo della speranza per milioni di emigrati.

Con il vigore del frescante, Mario Comensoli esibisce una forza poetica, mai provocatoria. Fu forse a causa del lirismo assorto dei suoi operai, ritratti nel proprio mondo e non in contesti di protesta, che il siciliano Guttuso – viste le sue tele esposte alla Galleria San Luca di Roma – gli valse un’aspra e pungente critica, al punto da indurlo a cambiare soggetto. Prima la borghesia che si diverte, narcisista e superficiale – rappresentata in mostra da Nacht (1961) e Pelliccia/Pelzmantel (1962) –, e poi la gioventù in fermento degli anni Settanta. Muta anche il tratto pittorico, ancor più rarefatto, scomposto, seppur sempre trattenuto dai netti contorni neri.

Mario Comensoli, Autoritratto (1946)

Nonostante Comensoli non includa nei suoi dipinti bandiere e manifestanti, gli va riconosciuto un ruolo di primo piano come esponente del realismo socialista figurativo in Svizzera. Dopo un esordio da autodidatta, viaggerà a Parigi, in Italia, dove conoscerà l’arte di Giotto, Signorelli e del grande Rinascimento italiano, che rileggerà nei suoi tratti contemporanei, veloci, visibili nelle oltre settanta tele esposte nel museo di Chiasso. Dal suo autoritratto datato 1946, dal profondo sguardo introspettivo – cui fa da contrappunto il busto di Comensoli in terracotta dipinta dell’amico Emilio Sterzani –, la mostra ripercorre la stagione degli “uomini in blu” dell’artista, di cui, dalle parole della curatrice Nicoletta Ossanna Cavadini, «si percepisce una vibrazione dell’anima, un forte sentimento che non può lasciare indifferente colui che lo guarda». Poiché Comensoli è stato capace di cogliere il cambiamento di stato di quelle donne e di quegli uomini emigrati, lavoratori, in cerca di momenti di tenerezza e di spensierato abbandono, e di compartecipare emotivamente al loro nuovo stato d’essere.

Mario Comensoli, Salto (1959)

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