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Ritmo, arte e sperimentazione: una mostra a Biot celebra il rapporto tra Fernand Léger e il cinema

Cinefilo, scenografo, creatore di affiches, attore, produttore. L’incontro fra Fernand Léger (Argentan 1881- Gif-sur-Yvette 17 agosto 1955) e il cinema fu determinante nella sua carriera di artista. Film, quadri, archivi, fotografie rendono conto di questa sua attività meno conosciuta nella mostra del Museo nazionale Fernand Léger di Biot, Francia. Fino al 19 settembre.

L’artista vedeva nel cinema una sorta di specchio, il riflesso della sua pittura. Un’arte figurativa, dinamica, sociale, popolare, collettiva. Le sue opere pittoriche si ispirano spesso al cinema muto e alla figura di Charlot, a cui avrebbe voluto dedicare un film d’animazione. Al crocevia di tutte le grandi rivoluzioni artistiche, l’opera multidisciplinare di Fernand Léger attraversa le Avanguardie, passando dalla lezione degli Impressionisti e dei Fauves alla poetica del Cubismo, fino alla definizione di quello stile “tubolaire”, (a forme cilindriche), praticamente inventato da lui.

Dopo la prima guerra mon­diale l’uomo viene identificato con la macchina, nasce il “periodo meccanico”. Figure umane simili ad automi po­polano le grandi tele dell’artista, affascinato dalle possibilità plastiche degli elementi meccanici. In questo periodo nasce Balletto meccanico, oggi considerato uno dei capolavori del cinema sperimentale. Il film, realizzato nel ’24 da Fernand Léger, in collaborazione con il cineasta americano Dudly Murphy, è un’opera aperta che il poliedrico artista modificò e arricchì per tutta la vita. Oggi il film conta ben nove versioni differenti. Recenti ricerche hanno apportato nuovi chiarimenti sulla genesi di quest’opera dall’estetica radicale, contribuendo non poco a una forma di espressione che ai tempi non era ancora considerata un’arte, ma un divertimento spettacolare e popolare.

La più importante sezione della mostra di Biot si concentra sulle fonti di ispirazione, sull’influenza manifesta sul regista russo Sergei Eisenstein e soprattutto sui colleghi che lo accompagnarono nelle sue incursioni cinematografiche. Tra questi Man Ray, Kiki de Montparnasse, Dudley Murphy, George Antheil. Con loro l’artista intraprende altri lavori in una collisione tra arti che dà luogo ad opere ibride ed uniche. La porosità fra pittura e cinema si può del resto ben cogliere anche in alcuni suoi dipinti posteriori al 1924.

Sia nella storia del cinema che in quella delle arti plastico-figurative, generalmente si ritiene che La roue (La rosa sulla rotaia), il monumentale film di Abel Gance presentato al Salon Annuel de Cinéma nel 1923, costituisca l’ispirazione filmica e plastica di Ballet mécanique. È però probabile che l’opera abbia un’origine precedente a La roue. Nel 1919 Fernand Léger e il suo amico giramondo Blaise Cendrars idearono un’originale libro-oggetto, La fin du monde filmée par l’Ange Notre Dame, il cui grande formato permetteva ai due autori di sperimentare proporzioni spaziali, metamorfosi di forme astratte e un’innovativa commistione di testi e immagini. Fu probabilmente questo strano libro a costituire la matrice comune del Ballet mécanique e de La roue.

I testi, sovraimpressi sui ritmi colorati di Léger, fanno pensare alle didascalie in sovraimpressione sui binari che scorrono con ritmo quasi ipnotico ne La roue. Non bisogna dimenticare del resto che Cendrars fu l’assistente di Gance per questo film, di cui realizzò anche un corto e Léger ne disegnò la locandina cubista. Quella versione del film venne poi ridotta, su suggerimento del futurista Ricciotto Canudo, a ciò che Fernand Léger definì una “emozione plastica ottenuta attraverso la proiezione simultanea di frammenti di immagine a ritmo accelerato”. E a proposito della nuova arte nel 1925 Fernand Legér dichiarava: “Il cinema ha 30 anni, è giovane, moderno, libero e senza tradizioni. Questa è la sua forza…Il cinema personalizza il frammento, lo inquadra, è un nuovo realismo le cui conseguenze possono essere incalcolabili”.

Con Balletto meccanico l’artista voleva sfuggire all’influenza della narrazione, a qualsiasi forma drammaturgica, per immaginare un cinema che fosse il più puro possibile. Per raggiungere l’obiettivo, gli oggetti filmati appartengono essenzialmente al mondo dell’industria, sono personaggi e figure geometriche, isolati dal loro contesto, oggetti della vita quotidiana trattati come elementi plastici, con un montaggio rapido e frammentario, attraverso la loro rappresentazione in movimento. L’immagine mobile è il personaggio principale del film, mentre il montaggio non è più al servizio della logica narrativa, ma produce il ritmo della composizione.

La mostra ricorda anche i primi contributi di Léger al cinema. Il progetto per i titoli, la scenografia e il laboratorio futurista de L’Inhumane di Marcel L’Herbier. Una sezione rende omaggio alla cinefilia di Léger, assiduo spettatore dai gusti eclettici, che si entusiasma per i disegni animati di Walt Disney, i documentari di Joris Ivens, per la poesia dei film popolari di Marcel Carné (che scopre dopo i cinque anni d’esilio in America), che promuove il film Entracte di René Clair e Francis Picabia, realizzato nello stesso anno di Balletto meccanico e di cui ammira la libertà formale.

 

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