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L’epopea dei caffè letterari fiorentini

Una caricatura del Caffè Michelangelo firmata da Adriano Cecioni
Una caricatura del Caffè Michelangelo firmata da Adriano Cecioni

L’Europa della fine del Settecento e di tutto l’Ottocento, ormai caratterizzata dalla definitiva ascesa della borghesia, ebbe nei caffè letterari le palestre dove si formò buona parte dell’élite politica e intellettuale

Da Vienna a Berlino, da Parigi a Praga, passando anche per l’Italia, dove Venezia e Firenze si distinsero in maniera particolare, ospitando alcuni dei più importanti ritrovi letterari del Paese, ai cui tavoli si sono seduti artisti, scrittori, uomini politici e filosofi, per forgiare programmi, movimenti, tendenze, teorie; al punto che, si può affermare, il volto della società moderna è stato in parte plasmato anche al caffè.

E proprio a questo mondo dinamico, che non manca di sprigionare ancora oggi un indubbio fascino, Teresa Spignoli, docente di letteratura italiana contemporanea all’Università di Firenze, ha dedicato per i tipi di Polistampa un elegante volume di grande formato, corredato da belle fotografie, molte delle quali d’epoca, con cui ripercorre la storia di questi templi della cultura che per tanti decenni hanno animata la scena artistica e letteraria della città di Firenze.

In ordine cronologico, dalla fine del Settecento e proseguendo fino alla fine dell’Ottocento, il volume ripercorre la storia dei vari Castelmur, Bottegone, Michelangiolo, Gambrinus, Giubbe Rosse, Gilli, e altri ancora, che per oltre un secolo hanno costituito altrettante palestre intellettuali cittadine, non disdegnate però anche dal popolo minuto, meno esperto delle questioni culturali; in questi caffè, l’atmosfera era estremamente familiare, la città era allora una sorta di grande villaggio dove la conoscenza reciproca era quasi scontata nel quartiere dove si abitava, si può quindi immaginare quanto fosse più stretta nella piccola comunità di affezionati a questo o quel locale, ed è questa la prima cosa che colpisce scorrendo le pagine della narrazione (un capitolo per ogni caffè) di Teresa Spignoli, e che riecheggia le atmosfere della “Firenzina” di collodiana memoria.

Negli anni precedenti all’Unità d’Italia, quando il trasferimento della capitale dal Piemonte alla Toscana non aveva ancora portato gli sconvolgimenti urbanistici che avrebbero assai impoverito il volto medievale di Firenze, tra i caffè più in voga c’era il Michelangiolo, abituale ritrovo del consesso dei pittori macchiaioli, e fu sedendo a questi tavoli che Morelli, Altamura, Pagliano e Tedesco, rientrando dall’Esposizione Universale del 1855 che si era tenuta a Parigi, aggiornarono i colleghi rimasti in patria sulle novità stilistiche sviluppate dagli Impressionisti e che furono fondamentali per lo sviluppo del movimento italiano; ospiti del Michelangiolo furono anche Degas e Manet, in una sorta di sublimazione dell’ideale gemellaggio artistico che legava Parigi e Firenze. I Macchiaioli non disdegnavano, occasionalmente, le sale del Caffè del Bottegone, frequentato anche da Gabriele d’Annunzio così come dagli habitué  del vicino Teatro del Cocomero (oggi Niccolini), e Augusto Novelli.

Sul finire dell’Ottocento, il piccone risanatore si abbatte sul quartiere del Mercato Vecchio e le vie adiacenti, distruggendo un tratto dell’antica Firenze per dar vita alla discussa Piazza Vittorio Emanuele, oggi Piazza della Repubblica; qui sorsero tre celebri caffè: Gilli, Paszkowski e Giubbe Rosse; quest’ultimo aveva una clientela cosmopolita e ospitò, fra gli altri, Lenin, André Gide e Gordon Craig, ma è passato alla storia per essere stato la “casa” dei Futuristi, in particolare del gruppo vicino a Soffici, Papini e Viviani, come spiega Spignoli con dovizia di dettagli che accompagnano il lettore in quelle animate discussioni fra arte e politica, che talvolta degeneravano in vere e proprie risse.

Un’immagine d’epoca del Caffè Giubbe Rosse

Il viaggio per i caffè arriva fino alla metà del Novecento, che videro in auge, passate le tempeste delle due guerre mondiali, il Bar degli Artisti e il Bar Cennini. Bar, non più Caffè, a testimoniare anche nel linguaggio il tramonto di un’epoca e l’inizio di un’altra; finiti l’Ottocento e la Belle Epoque, con il loro senso della contemplazione, si passa a una società novecentesca assai più dinamica, che cercava di ritrovare una direzione dopo gli sconquassi del trentennio 1914-1945, ed emersero intellettuali e artisti quali Bargellini, Capogrossi, Moretti, Medici, Luzi e Parronchi, frequentatori della vicina Galleria d’Arte Numero, fra le più interessanti esperienze indipendenti d’arte contemporanea della città, purtroppo chiusa nel 1970. 

Il volume di Teresa Spignoli anche grazie all’apparato iconografico, è un prezioso documento per ricostruire in filigrana, importanti pagine della storia fiorentina e non solo, e in senso più ampio è un interessante viaggio in una Firenze che ha cambiato vari volti, e che ha avuto nei suoi caffè eccezionali momenti di cultura, la cui tradizione si è purtroppo persa proprio a partire dagli anni Settanta, nella generale indifferenza. Pochissimi i caffè storici che sopravvivono, ma le atmosfere sono ormai irrimediabilmente cambiare: non più luogo d’incontro per intellettuali, ma solo per turisti o, al massimo, per quei fiorentini contemplativi che seduti a quei tavoli ripensano alla città che fu, con la sua vivacissima vita culturale. 

Folla davanti al Caffè Gilli negli anni Trenta

 

Teresa Spignoli
Caffè Letterari
Edizioni Polistampa, 2011
pp. 111, Euro 24,00

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