Dal 7 ottobre 2022 al 21 gennaio 2023 negli spazi di CUBO, museo d’impresa del Gruppo Unipol a Bologna, è in programma una mostra monografica che restituisce al pubblico, dopo due anni di restauro, il capolavoro Nero con punti, opera manifesto appartenente alla serie dei Sacchi di Alberto Burri.
La mostra, curata da Ilaria Bignotti e sostenuta dal Gruppo Unipol in collaborazione con Tornabuoni Arte, è intitolata Alberto Burri Reloaded. Il progetto rappresenta l’esito di un’importante operazione di studio che indaga il senso del restauro, fondato sui valori di memoria, protezione, condivisione e futuro: valori su cui si basano le istanze dello spazio CUBO del Gruppo Unipol, sede bolognese dove è attualmente esposta l’opera del maestro tifernate.
Nero con Punti è un’opera realizzata da Burri nel 1958, manifesto della serie dei Sacchi, che ha origine nel periodo della deportazione dell’artista in Texas, momento storico e biografico in cui la pratica artistica burriana risulta inevitabilmente condizionata dal dramma della contingenza. I Sacchi erano – e sono – i contenitori della guerra, fatti di iuta, custodi di derrate alimentari e speranze. La materia, povera, consunta e spesso lacera costituisce il tessuto nervoso della serie dei Sacchi, da cui principia l’operazione chirurgica di Burri: quella stratificazione di materiali comuni (bruciati, strappati e ricuciti), attraverso la quale l’artista tenta di sondare la dimensione spaziale, infrangendo la stasi della bidimensionalità e irrompendo con la propria arte nelle complesse dinamiche del reale. L’opera del ’58 presenta un’ampia superficie connotata da numerosi crateri e squarci irregolari in cui il materiale dei sacchi è sostenuto dall’innovativo utilizzo della colla vinilica, che ne modula pieghe e contratture.
Il restauro del capolavoro si deve alla mano della restauratrice Muriel Vervat, in collaborazione con l’Istituto di scienze del patrimonio culturale e l’istituto di fisica applicata “Nello Carrara”, istituzioni legate al CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche di Firenze. La delicata operazione, iniziata con un’approfondita analisi dei materiali, ha innanzitutto chiarito la presenza di due sacchi distinti distesi sul supporto, legati dalla sottile corda attraverso la quale si materializzano i punti della profonda cicatrice che connota, nella sua vertigine verticale, l’intera composizione. Alla destra una seconda ferita, che assume i connotati visivi di un taglio, instaura un dialogo inevitabile con la produzione di Lucio Fontana, di cui la fondazione del Gruppo Unipol possiede uno dei primi Concetti Spaziali. Il trait d’union tra i due grandi protagonisti del Novecento è testimoniato da un episodio, ricordato dalla curatrice Ilaria Bignotti, che precede la realizzazione di Nero con punti: era il 1951 quando Alberto Burri presentò alle selezioni per la Biennale di Venezia un Sacco caratterizzato da un unico taglio sulla superficie, ad una giuria che sorprendentemente rifiutò il lavoro. L’unico giurato profondamente colpito dalla proposta di Burri si rivelò non a caso Lucio Fontana, che acquistò personalmente l’opera scartata, oggi conservata presso la Fondazione Fontana.
“Tra i fattori importanti che hanno caratterizzato le scelte, il senso e il valore di questo restauro” spiega Muriel Vervat, “vi è la considerazione di utilizzare un prodotto non tossico e di definire una peculiare modalità d’applicazione, nel rispetto sia dell’operatore addetto al restauro stesso, sia dell’ambiente. Inoltre, data la consapevolezza che il processo di invecchiamento dei materiali costitutivi di Nero con punti è tuttora in atto, ci si è orientati verso l’impiego di un consolidante che non interagisse chimicamente con i materiali costitutivi dell’opera”.
Si tratta di un virtuoso esempio di biorestauro, effettuato tramite tecniche altamente sostenibili, non nocive per l’ambiente e per gli operatori, solitamente coinvolti nell’uso di componenti chimiche spesso dannose per la salute umana. Tutto ciò è stato possibile attraverso l’utilizzo di un prodotto naturale di origine vegetale estratto dalle alghe giapponesi Funori, consistente in una miscela polisaccaridica denominata funorano. Il Funori viene impiegato da secoli in Oriente quale consolidante di materiali porosi come il tessuto o la carta. Il nome stesso Funori, che significa tela (fu) e colla (nori), ci dà un’indicazione sul suo uso, dettagliatamente analizzato nell’apposito apparato del catalogo della mostra.
L’esposizione coglie l’occasione per dimostrare come sia possibile intervenire su un materiale fragile, come la iuta dei sacchi, implicitamente usurato per sua natura: prima del restauro la corda centrale presentava numerosi punti di rottura, che sono stati saldati grazie alla delicata sovrapposizione delle alghe giapponesi. Tale membrana naturale consente di accompagnare l’opera nel suo processo di invecchiamento, mantenendo in maniera filologicamente corretta la memoria della genesi del capolavoro.
L’operazione finale del restauro ha infine interessato il recupero delle cromie distaccate, la cui analisi ha fornito i dettagli circa la composizione della pittura adoperata da Burri: una particolare vernice sintetica polimerica sulla quale l’artista ha disteso per la prima volta una superficie di nero opaco e non riflettente. Questo pigmento composto da solfato di bario, calcite e gesso consente una modulazione diversa della luce che investe la materia viva di Nero con punti. Il monocromo assume quindi un’inedita declinazione semantica rispetto alla produzione precedente, caricandosi di un’atmosfera notturna ed alchemica. Il percorso della mostra prosegue infatti nella sede di CUBO in Torre Unipol, dove sono esposti in un ideale dialogo altre quattro opere del maestro umbro: Catrame, del 1950, Muffa, del 1951, Senza titolo, del 1952, e Catrame, del 1950. Le 4 opere provenienti dalla collezione privata di Roberto Casamonti, prestate tramite la mediazione di Tornabuoni Arte, manifestano il sapiente utilizzo che Burri ha saputo fare del nero, nei suoi più distanti connotati, indagando il viscerale rapporto tra materia e profondità.
L’opera di Burri, nella sua rinnovata restituzione materica e cromatica, diventa oggi uno stendardo della contemporaneità, che accoglie sulla sedimentazione semantica della sua epoca le angosce e le possibili istanze dell’oggi. Come puntualmente scriveva nel 2019 Bruno Corà, presidente della Fondazione Burri di Palazzo Albizzini in occasione della mostra del 2019, La pittura, irriducibile presenza: in Burri il presente si manifesta nel singolo “[…] elemento, con cui raggiungere una qualità di spazio e una forma che non ha esitato a definire di “squilibrato equilibrio”, fino a sancirne nell’immagine la sua essenza”.
Nero con punti, oggi, incarna metaforicamente le cicatrici delle ferite causate dal dramma di una pandemia che ha inevitabilmente ridisegnato gli equilibri sociali, ulteriormente minati dai recenti sconvolgimenti bellici. Nella materia lacerata, nelle fenditure apparentemente insanabili si configura l’eterna lotta tra gli estremi, opposizioni che tendono però alla riconciliazione, poichè ricuciti dalla mano dell’artista demiurgo, sostenuti dalla sottile corda restaurata, in un equilibrio evidentemente precario.