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Basta purè sui capolavori. L’arte parla da sola

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Gli attivisti dell'arte attaccano Monet.png
Gli attivisti dell’arte attaccano Monet.png

Miopie e superficialità nelle azioni dei gruppi di manifestanti che imbrattano capolavori dell’arte per sensibilizzare sui problemi del mondo

Dopo la zuppa e la salsa di pomodoro, anche il puré. E dopo Van Gogh, Botticelli, Leonardo e Turner, adesso è la volta di Monet. La lotta degli ambientalisti sporca l’arte e la sua immagine (e per fortuna la sporca solo, senza rovinarla) per urlare a tutti noi l’allarme disperato sul nostro mondo in estinzione. Serve a qualcosa? Sui social appena la notizia comincia a navigare è una catena di insulti e di indignate proteste, senza esclusione di colpi. E senza nemmeno troppe differenze, visto che oltre agli amatori e agli appassionati si arrabbiano anche quelli che non hanno mai messo piede in un museo. E che se puta caso ci dovessero entrare, rimarrebbero molto delusi perchè la Gioconda non è poi quella gran gnocca che pensavano.

Ma loro dicono di sì, che queste iniziative danno rilevanza a gruppi che altrimenti non avrebbero visibilità. Il puré di patate lanciato contro uno dei capolavori dell’artista francese, “Il Pagliaio”, esposto al Museo Barberini di Postdam, dovrebbe dirottare la nostra attenzione sulle grida levate dai due attivisti davanti all’opera imbrattata: “Siamo nel pieno di una catastrofe climatica. La scienza ci dice che nel 2050 non saremo più in grado di sfamare le nostre famiglie. Questo quadro non avrà nessun valore se ci troveremo a lottare per il cibo. Quando inizierete finalmente a sentirci?”.

La protesta, partita dall’Inghilterra, si sta muovendo per tutta l’Europa. Il gruppo più attivo è il Just Stop Oil, che non si è limitato solo a sporcare le opere d’arte, ma è riuscito pure ad assaltare la pista del Gran Premio di Bretagna, bloccare degli ingressi agli impianti petroliferi e interrompere partite di calcio legandosi ai pali. Quella di attaccarsi con la colla alle cornici di quadri famosi è l’ultima trovata. “I giovani oggi nel mondo non hanno letteralmente più niente da perdere, siamo una generazione sacrificata”, ha detto Paul Bell al The Guardian. Per ora già diverse opere sono state colpite: un quadro di Horatio McCulloch a Glasgow; un dipinto di Van Gogh, “Peschi in fiore”, al Courtauld Institute of Art di Londra. Un altro di William Turner nelle sale della Manchester Art Gallery. Un quadro di Constable alla National Gallery, e una copia dell’ultima Cena di Leonardo Da Vinci alla Royal Academy of Arts.

Gli attivisti di Just Stop Oil si spalmano della colla sulla mano e rimangono attaccati alle cornici finché gli addetti alla security non arrivano a staccarli. Le manifestazioni di protesta si sono estese anche in altre città europee. Prima della Germania, è toccato alla Spagna e all’Italia. Il 27 giugno una trentina di attivisti ha occupato la grande sala del “Guernica”, celebre dipinto di Pablo Picasso, custodito nel museo Reina Sofia di Madrid, e mentre 4 di loro simulavano un brindisi sulle note della Terza Sinfonia di Brahams gli altri si accasciavano a terra fingendosi morti.

 

Due manifestanti si incollano le mani al vetro protettivo della Primavera del Botticelli
Due manifestanti si incollano le mani al vetro protettivo della Primavera del Botticelli

Nel museo fiorentino degli Uffizi tre giovani del Collettivo Ultima Generazione, dopo aver acquistato i biglietti per la visita, sono entrati nella Sala Botticelli. E, davanti agli occhi increduli degli altri visitatori, due di loro si sono cosparsi le mani di colla e si sono incollati al prezioso dipinto della “Primavera”, protetto da un vetro. Mentre la terza ragazza riprendeva la scena con uno smartphone e aiutava i due complici a esporre uno striscione con la scritta “Ultima Generazione No gas No carbone”. In un post del collettivo si legge che “nella Primavera di Botticelli sono rappresentate con una finezza di particolari che rasenta l’enciclopedico più di 500 specie botaniche che fioriscono proprio nei mesi della Primavera. Non c’è solo immaginazione… C’è una realtà che noi rischiamo di perdere. Al giorno d’oggi è possibile vedere una primavera bella come questa? Incendi, crisi alimentare e siccità lo rendono sempre più difficile. Abbiamo deciso di usare l’arte per trasmettere un messaggio d’allarme. Stiamo andando verso un collasso economico e sociale”.

In nessuna di queste azioni il patrimonio artistico è stato danneggiato, e ovunque la protesta si è chiusa in pochi minuti. Le immagini delle iniziative sono però presto circolate online, suscitando l’indignazione di moltissime persone, anche quando era diventato evidente che i quadri non avessero subito danni. Secondo la maggior parte imbrattare un’opera d’arte non è una scelta condivisibile per portare avanti istanze anche molto importanti come quelle per la preservazione dell’ambiente. Nel caso di Van Gogh, che è quello che ha suscitato le reazioni più forti, si è parlato quasi esclusivamente dell’atto dimostrativo, dei rischi che ha corso il quadro e delle conseguenze per le due attiviste. Mentre i temi della protesta sono rimasti in secondo piano, ai margini della polemica.

Dall’altra parte, quelli di Just Stop Oil sostengono invece che quelle manifestazioni sono servite comunque a far parlare di loro. In un articolo sul New York Times, l’analista Ross Douthalt ha sottolineato che chiedere che non si utilizzino combustibili fossili e che l’energia costi meno sia una cosa praticamente impossibile in questo periodo storico. In Europa molti governi hanno dovuto riaprire le inquinanti centrali a carbone per sopperire alle minori forniture di gas dalla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, anche per evitare che il prezzo dell’energia aumentasse ancora di più. Secondo Douthalt si tratta quindi di proteste inutili e senza senso, persino illogiche, essendo troppo lontane dalla realtà.

 

L'attacco ecologista a Van Gogh
L’attacco ecologista a Van Gogh

Un parere diverso è invece quello espresso sul Washington Post dal critico d’arte Philip Kennicott: “È ridicolo attaccare l’arte nel nome della sopravvivenza, visto che l’arte è essa stessa uno strumento di sopravvivenza. Ma atti come questi suggeriscono un nuovo modo di pensare all’arte, nei termini del clima, che potrebbero aiutare a rendere più profondo il nostro senso di vicinanza sia all’arte sia all’ambiente”. Kennicott conclude riconoscendo che “lanciare della salsa di pomodoro a un Van Gogh non mi farà sentire più appassionato al salvataggio del nostro pianeta, né mi aiuterà a pensare in modo più pragmatico a che cosa dovremmo fare. Ma capisco perché i giovani avendo davanti lo scenario della loro stessa distruzione, cerchino un modo per farsi notare, per dirci: smettiamola di buttare via tutto quanto”.

Alla fine quello su cui si soffermano entrambi i commentatori, pur da posizioni opposte, è il senso della protesta. Per uno è inutile, per l’altro è comunque giusta. L’opera d’arte è utilizzata dagli attivisti esclusivamente come un veicolo, alla stessa stregua dei due analisti. Ma che cos’è in fondo l’arte? In ogni sua manifestazione, è la più alta espressione umana di creatività e di fantasia, ed è l’unico momento che permette all’uomo di esteriorizzare la propria interiorità. Se in origine l’arte visiva servì a conoscere la realtà attraverso la rappresentazione, in seguito è diventata un linguaggio per comunicare con gli altri. L’arte può aiutare l’uomo a fermarsi per osservare, riflettere e contemplare, per immobilizzare la vita e guardarla. E al contempo è il riflesso di modi di pensare, di sentire, di crescere. L’arte fa l’uomo più uomo. Perché il suo linguaggio universale parla con il cuore e si rivolge al cuore. E allora sarà l’arte che prima o poi ci racconterà la paura del mondo che stiamo distruggendo. Non chi la imbratta anche per il più valido dei messaggi.

Pierangelo Sapegno

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