La Fondation Louis Vuitton di Parigi pone a confronto due artisti solo all’apparenza lontani: Joan Mitchell e Claude Monet. Dal 5 ottobre 2022 al 27 febbraio 2023.
Quando pensiamo all’espressionismo astratto, alcuni nomi saltano subito alla mente: Jackson Pollock, Mark Rothko e Willem de Kooning. Pittori iconici, visionari, talentuosi. E, pure, maschi. Elemento che non guasta alla luce di una storiografia artistica (ma non solo, ovviamente) che nei decenni, se non secoli, ha guardato principalmente al lato maschile della creatività. Eppure, rimanendo nei confini del movimento americano, ci sono artiste altrettante valide e meno considerate. Come Lee Krasner ed Elaine de Kooning. Tanto che negli ultimi anni diverse mostre hanno provato a riabilitare le loro figure, dando loro l’attenzione che meritano. Su tutte a grande indagine del Guggenheim Bilbao Women in Abstraction.
Oggi è la Fondation Louis Vuitton di Parigi a impegnarsi in tal senso, dedicando un’esposizione a Joan Mitchell. Nell’ottica di esaltarne il ruolo di prim’ordine non solo nel campo dell’astrattismo ma dell’intero discorso artistico, la pittrice è posta in dialogo con un gigante della pittura: Claude Monet.
La mostra, intitolata Monet – Mitchell e curata da Suzanne Pagé, ripercorre la carriera di Mitchell in ordine cronologico, a partire dai primi lavori astratti degli anni ’50. Nata a Chicago nel 1925, Mitchell si è presto avvicinata all’arte e ha frequentato l’Art Institute. Qui guardò con particolare interesse a movimenti come il Cubismo e l’Impressionismo. Quando nel 1947 si trasferì a New York, il suo lavoro aveva già intrapreso una svolta astratta, tanto che fu spontaneo avvicinarsi alla Scuola di New York. In questo ambiente strinse un rapporto particolare con i de Kooning e il poeta Frank O’Hara, che andava spesso allo studio di Mitchell per scrivere.
Pochi anni dopo (1951) prende parte alla mostra Ninth Street Show. Un’esposizione a cui partecipano Jackson Pollock, Franz Kline, entrambi i de Koonings, Krasner e altri artisti che detteranno gli stigmi del movimento. Una fase in cui gli scambi e la contaminazione erano all’ordine del giorno. É interessante notare, per esempio, rimandi e connessioni tra Mitchell e de Kooning. Gli Untitled di Mitchell del ’52 e gli Excavation di de Kooning condividono infatti alcuni elementi. Su tutti i tagli di nero su tele chiare, prevalentemente beige. Alcuni di questi lavori li ritroviamo anche in Monet – Mitchell.
E da qui Mitchell costruirà la sua poetica, capace di descrivere pittoricamente i paesaggi emotivi e visivi che si sono fusi nella sua memoria nel corso del tempo. «Porto con me i miei paesaggi», aveva detto in un’intervista. Veri o immaginati che fossero. In Hemlock (1956) Mitchell usa tagli di verde dai toni scuri e chiari per evocare un grazioso albero di cicuta. Più astratto ma altrettanto potente, Mud Time (1960) è una miscela di colori i cui bordi sembrano sfumare l’uno nell’altro. Il dipinto suggerisce un paesaggio urbano primaverile, sporcato dal fango di un’intesa pioggia appena terminata.
Ed è proprio questo approccio al paesaggio, impalpabile e suggestivo, più evocativo che dettagliato, ad avvicinare Mitchell e Monet. Un rapporto che si evidenzia nell’accostamento di opere come Ninfee (1917–19) di Monet e Il fiume (1987) di Mitchell. Il primo raffigura uno stagno, il secondo, appunto, un fiume. Immobilità contro perenne movimento. Eppure il modo in cui i due artisti ne costruiscono le sfumature, miscelando forme e colori, avvicinano i due elementi in modo impressionante.
Una prossimità che si è fatta anche geografica quando Mitchell prese uno studio in Francia, proprio nei pressi dalla residenza di Monet a Giverny. Ma che rimane soprattutto artistica, con i tributi che Mitchell dedica al pittore impressionista. Come in Edrita Fried (1981), un trittico dove l’artista astratta usa gli stessi blu e viola che Monet impiegava per rappresentare le profondità acquose delle sue ninfee.
La mostra si conclude con la presentazione di 10 opere da La Grand Vallée di Mitchell. Un ciclo di 21 dipinti che Mitchell ha realizzato tra il 1983 e il 1984. È la prima volta, dopo l’esposizione inaugurale del 1984, che un numero così consistente di opere viene radunato insieme.