Hopper e New York: un’analisi senza precedenti della vita e del lavoro del maestro americano (1882-1967) nella città che per quasi sei decenni (1908-67) è stata la sua casa. Fino al prossimo 5 marzo al Whitney Museum va in scena Edward Hopper’s New York.
Hopper, originario di Nyack, New York, visita per la prima volta Manhattan durante una gita con la famiglia. Nel 1908 si trasferisce in città, dove trascorre la maggior parte della sua vita, dal 1913 fino alla morte nel 1967, vivendo e lavorando in un appartamento all’ultimo piano del 3 Washington Square North nel Greenwich Village. “Hopper ha vissuto la maggior parte della sua vita proprio qui, a pochi isolati da dove oggi sorge il Whitney”, spiega Kim Conaty, curatrice di uno dei dipartimenti di disegni e stampe. “Ha vissuto le stesse strade ed è stato testimone degli incessanti cicli di demolizione e costruzione che continuano ancora oggi, mentre New York si reinventa ancora e ancora. Eppure, come pochi altri hanno fatto in modo così toccante, Hopper ha catturato una città che stava cambiando e allo stesso tempo non cambiava, un luogo particolare nel tempo e uno distintamente modellato dalla sua immaginazione. Vedere il suo lavoro attraverso questa lente apre nuove strade per esplorare anche le opere più iconiche di Hopper”.
La carriera e le opere di Edward Hopper sono state una pietra miliare per il Whitney fin da prima della fondazione del museo. Nel 1920, all’età di trentasette anni, Hopper tenne la sua prima mostra personale al Whitney Studio Club.Il Whitney è statotra i primi musei ad acquistare un dipinto di Hopper per la propria collezione. Dopo la morte dell’artista, la moglie ha generosamente lasciato in eredità al museo gran parte del patrimonio artistico di Hopper Oggi la collezione del Whitney contiene oltre 3.100 opere di Hopper.
Al quinto piano del museo dalle grandi parenti in vetro con vista sulla città, la mostra si apre con l’opera Approaching a city, 1946, rappresenta uno dei più importanti punti di ingresso a Manhattan: il tunnel della ferrovia che passa sotto Park Avenue per raggiungere il Grand Central Terminal. Il sottopasso ha anche un forte significato simbolico, un momento buio che rappresenta la paura e l’ansia che spesso si hanno prima di affrontare una grande realtà, come quella della città di New York.
Le opere esposte, circa 200 tra dipinti, acquerelli, stampe e disegni, sono suddivise in otto sezioni. Quattro ampi spazi della galleria espongono molti dei dipinti più iconici dell’artista, come Automat (1927), Early Sunday Morning (1930), Room in New York (1932), New York Movie (1939), and Morning Sun (1952). Chiari esempi dell’importanza che Hopper conferisce alla luce, come raggio che illumina l’interno di una abitazione, come luce diffusa e di sospensione.
Gli altri quattro padiglioni espongono sei raggruppamenti dinamici di dipinti, concentrandosi su argomenti chiave della produzione artistica di Hopper. Il primo di questi “The city in print,” non tutti sanno che i primi successi del grande pittore avvennero con la stampa, attraverso le sue illustrazioni e incisioni. Le sue illustrazioni presentavano spesso motivi urbani ispirati a New York – teatri, ristoranti, uffici e abitanti della città – che sarebbero diventati fondamentali per la sua arte.
La mostra presenta, per la prima volta insieme, i paesaggi urbani panoramici dell’artista, installati come gruppo in una sezione intitolata “The Horizontal City”. Segue poi “The Window,” il famosissimo tema della finestra, usato da Hopper per rappresentare l’esterno e l’interno delle città, una città in cui tutti gli aspetti della vita quotidiana tendono ad avere confini fluidi tra spazio pubblico e privato.
Non manca ovviamente una raccolta di opere raffiguranti la musa ispiratrice di Hopper la sua casa e il quartiere di “Washington Square”. Altra grande passione dell’artista, il teatro. La galleria di dipinti che esplora la passione di Hopper per il palcoscenico, comprende anche oggetti d’archivio come le matrici dei biglietti e i taccuini di sala.
Il percorso termina con tre dipinti più tardivi Morning in a City (1944), Sunlight on Brownstones (1956) e Sunlight in a Cafeteria (1958),inseriti all’interno della sezione “Reality and Fantasy.”
Il labile confine tra interno ed esterno, pubblico e privato, tra realtà e fantasia viene qui fortemente esplicitato. Tutte le opere, caratterizzate da una geometria radicalmente semplificata e da ambientazioni inquietanti e oniriche, ci rivelano come New York sia servita sempre più come scenografia o sfondo per le suggestive distillazioni dell’esperienza urbana di Hopper.