Tra le quasi 20mila opere della Collezione Wurth, l’Art Forum di Capena presenta le ultime variegatissime acquisizioni namibiane
Dal 2015 – anno in cui Okwui Enwezor è stato il primo curatore africano della Biennale di Venezia – in Italia si è generato un cambiamento significativo nella ricezione artistica del Sud del mondo. In quegli anni di svolta, tra ’14 e il ’16, la collezione Wurth andava arricchendosi delle oltre ottanta opere che fanno la mostra “Namibia. Arte di una giovane generazione”. Presentata prima al Museo Würth di Künzelasau e ora all’Art Forum Wurth Capena, fino ad ottobre 2023.
Trentatré artisti, che vivono e lavorano nella repubblica africana. Alcuni dei quali hanno vissuto il dominio del Sudafrica e dell’apartheid prima dell’indipendenza del ‘90. Carta vincente dell’esposizione è la ricchezza di tecniche e temi. Il trito motivo del colonialismo langue; si parla di tutto il resto: di paesaggio in Barbara Bhölke, che impasta alla pittura terra ed elementi dei luoghi che rappresenta; di tradizione tessile nel quilting di Linda Esbach; di costumi locali nella foto di Othilia Mungoba; e di questioni sociali nelle incisioni su cartone in Lok Kandjengo.
La Namibia, con circa quindici gruppi etnici ed altrettante lingue, è il primo paese che ha scritto della tutela ambientale sulla propria costituzione. Esporta diamanti e importa rifiuti europei, ma non finisce qui. I rifiuti, grazie al riuso dei materiali di scarto, vengono trasformati in opere d’arte. Terra pulsante, viva. Acre, ma anche profumata, come gli azzurri autoritratti in cera di Isabel Katjavivi.