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Dare forma alla fragilità. Le sculture fatte per essere toccate di Maria Bartuszvová in mostra alla Tate Modern

Maria Bartuszova Kladek, 2° Simposio di scultura per bambini ciechi e ipovedenti 1983, stampato nel 2022 ©Gabriel Kladek Maria Bartuszova Kladek, 2° Simposio di scultura per bambini ciechi e ipovedenti 1983, stampato nel 2022 ©Gabriel Kladek
Maria Bartuszová. Untitled (Drop) 1963–1964. © The Archive of Maria Bartuszová, Košice . Tate, purchased with funds provided by the Edward and Agnès Lee Acquisition Fund, 2016

La Tate Modern di Londra fino al 16 aprile 2023 ospita la prima mostra personale a livello internazionale di Maria Bartuszvová (1936-1996), scultrice boema che ha saputo parlare di relazioni, vita e mutamento attraverso la candida delicatezza dei suoi gessi.

Nata a Praga nella Cecoslovacchia sovietica, studia all’Accademia d’Arte, Architettura e Design, per poi spostarsi a Košice, al confine con l’Ucraina e l’Ungheria, insieme al marito e i figli ancora piccoli. Qui riceve commissioni pubbliche e riesce a vivere della sua arte, occupandosi della giovane famiglia. Proprio giocando con un palloncino insieme alla sua bambina trova un’ispirazione che si rivelerà fondamentale per la sua pratica. Si rende conto che colando il gesso nella sfera si può ottenere una sagoma rotonda pura. Sfruttando la forza di gravità in combinazione con la liquidità del materiale, l’artista comincia quindi a impiegare diverse forme di gomma come stampi per ottenere solidi puri e leggeri. Alternando alla lavorazione del gesso quella dei metalli, la Bartuszvová sperimenta con alluminio e bronzo, giocando con la loro intrinseca pesantezza e animandone i volumi.

Maria Bartuszová, Untitled 1985, Tate, Presented by the Estate of Maria Bartuszová and Alison Jacques, London, 2018 © The Archive of Maria Bartuszová, Košice. Courtesy of The Estate of Maria Bartuszová, Košice, and Alison Jacques, London
Maria Bartuszová, Untitled 1985, Tate, Presented by the Estate of Maria Bartuszová and Alison Jacques, London, 2018 © The Archive of Maria Bartuszová, Košice. Courtesy of The Estate of Maria Bartuszová, Košice, and Alison Jacques, London

Le opere esposte nelle cinque sale della mostra coprono più di due decenni d’attività, dalle prime sperimentazioni minimaliste, fino alle più profonde e complesse ricerche di metà anni ’80. La rotondità di queste forme organiche non può che richiamare il biomorfismo di Arp, Brâncuşi e Moore, soprattutto osservando da vicino le scintillanti sculture sui plinti al centro della sala. La Bartuszvová li imita e li sorpassa, intrattenendo un rapporto con la natura che va ben oltre lo stile impiegato dai maestri. I suoi lavori infatti, ispirandosi a semi, uova, gocce e parti del corpo, prendono vita grazie a fenomeni naturali come la gravità o l’aria compressa del suo stesso respiro, spesso interagendo direttamente con materiali organici quali legno e pietra.

Il forte richiamo al tatto di queste forme nasce da una precisa intenzione dell’artista: le sue sculture erano spesso progettate per essere toccate e tenute in mano. Il visitatore scopre questo ruolo attivo dell’opera d’arte tramite una serie di commoventi scatti in cui questi solidi sono stati impiegati dall’artista come ausili e giocattoli in laboratori didattici per bambini non vedenti.

Negli anni Ottanta, la sua ricerca passa dalla purezza vitale ad una più frastagliata caducità: Bartuszvová comincia a deformare, comprimere e legare tra loro questi “organismi viventi”. Ne risultano figure frammentate e complesse, gusci e alveari estremamente resistenti pur nella loro fragilità. “Corde, cavi, cappi, che a volte legano forme rotonde, possono essere un simbolo di relazioni tra persone, o di possibilità limitate […]. Possono rappresentare la malattia, lo stress, le connessioni tra ciò che è vivo e ciò che è già limitato dal tempo della sua esistenza“. La curatrice Juliet Bingham ha saputo mettere in risalto queste trame complesse tramite una parete riadattata a cornice che racchiude le opere sospese e connesse da un filo, come se si librassero a mezz’aria, rendendole ancora più vive ed eteree.

Maria Bartuszova Kladek, 2° Simposio di scultura per bambini ciechi e ipovedenti 1983, stampato nel 2022 ©Gabriel Kladek
Maria Bartuszova
Kladek, 2° Simposio di scultura per bambini ciechi e ipovedenti 1983, stampato nel 2022
©Gabriel Kladek
Una grande tela, Melting Snow I (1985) chiude la rassegna con un ramo d’albero che preme delicatamente sulla candida superficie del gesso/neve per emergere. Qui l’artista supera la purezza dell’astrazione con la concretezza del collage, ma sembra comunque voler esaltare la fragilità della sua materia, il gesso, come se artificio e Natura si sfiorassero con una bianca carezza.

L’arte di Maria Bartuszvová si è già presentata quest’anno al pubblico italiano con alcune opere presenti alla Mostra Internazioanle della Biennale di Venezia (sede Arsenale), curata da Cecilia Alemani. Dopo un’apparizione a documenta nel 2007, i suoi lavori sono stati accolti in collettive prestigiose, si ricordi ad esempio “Untitled, 2020” a Punta della Dogana, e collezioni di rilievo internazionale. Una riscoperta che testimonia la limpida attualità dell’artista.

Gli stati psicologici catturati dalle opere in mostra non possono che riflettere nello spettatore di oggi l’ansia e la fragilità di una società che, come allora, si trova avvolta nell’incertezza. “Il mio respiro è parte dell’universo pulsante”, soleva dire. E forse la rassegna di Londra ha proprio questo di tanto toccante: ci ricorda, in punta di piedi, che c’è un’armonia nel cambiamento.

https://www.tate.org.uk/whats-on/tate-modern/maria-bartuszova

Maria Bartuszová, Melting Snow I, 1985, Tate, Presented by the Estate of Maria Bartuszová and Alison Jacques, London, 2018 © The Archive of Maria Bartuszová, Košice. Courtesy of The Estate of Maria Bartuszová, Košice, and Alison Jacques, London
Maria Bartuszová, Melting Snow I, 1985, Tate, Presented by the Estate of Maria Bartuszová and Alison Jacques, London, 2018 © The Archive of Maria Bartuszová, Košice. Courtesy of The Estate of Maria Bartuszová, Košice, and Alison Jacques, London

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