Ha infuocato il dibattito pubblico l’ultimo saggio Astrazione come Resistenza di Roberto Floreani – maestro veneziano classe 1956 che da sempre coniuga la necessità della ricerca pittorica con la dimensione teorica. Il volume contribuisce in modo significativo alla riflessione sul contemporaneo. In primo luogo, perché Floreani sposta la primogenitura dell’Astrattismo da Vasilij Kandinskij a Giacomo Balla, che nel 1912, con le Compenetrazioni iridescenti, dà quindi inizio a quella Via italiana all’Astrazione che sarà determinante nel corso di tutto il Novecento e vitale fino ai giorni nostri. Secondo perché riporta poi al centro dell’attenzione alcune artiste ingiustamente marginalizzate, quali Hilma af Klint, Hilla Rebay e Marianne von Werefkin, riannodando i legami tra Astrazione, spiritualità, Teosofia e Antroposofia. Il saggio la lancia poi un appello, invocando una resistenza nei confronti del materialismo contemporaneo; inserendosi nella tradizione degli scritti sull’arte realizzati dagli artisti, che da Umberto Boccioni e Kazimir Malevič giunge fino a Josef Albers, Gillo Dorfles, Peter Halley e Anselm Kiefer.
Il tuo ultimo saggio Astrazione come Resistenza (De Piante Editore) è uscito da un anno e Artslife è stata tra i primi ad occuparsene. Da allora sono uscite quasi 200 interviste sulle testate nazionali. Ti aspettavi una simile attenzione?
Non me lo sono chiesto, ho solo sentito l’urgenza di comunicare quanto sentivo, vissuta come una cosa inevitabile. Quanto all’importante diffusione delle tematiche che sono contenute nel saggio, troppo spesso si ritiene che argomenti non scontati, che riguardano la storia dell’arte, la spiritualità, l’attualità più stretta di quella che chiamo Post-Arte o della neuroscienza siano destinati ad una cerchia ristretta. I fatti dimostrano che non è così. Basta dedicarcisi.
Il capitolo più corposo del saggio riguarda le varie declinazioni della spiritualità nella Teosofia, Antroposofia, Teologia e Cabala, poco indagate fino ad oggi: ritieni sia stato un argomento trainante?
Penso sia stato uno degli argomenti. Dai commenti dei lettori e degli appassionati ho visto un interesse più generalizzato: dal ricordo delle grandi donne dimenticate dalla storia dell’arte e risultate decisive, alla mia impostazione personale secondo cui l’opera può essere un veicolo per un messaggio di natura spirituale, dalla citazione di Jean Baudrillard secondo cui l’Astrazione è l’espressione più convincente nel contemporaneo in quanto depositaria di una storia eroica, alla primogenitura stessa dell’Astrazione che consegno, documentandola, a Giacomo Balla, sfilandola a Kandinskij.
Rispetto a questa novità storiografica, si tratta solo di una precisazione cronologica?
Non solo, con Balla capostipite, ribadisco l’esistenza storica di una via italiana all’Astrazione del tutto autonoma, che, dalla primogenitura, si propaga in molti artisti negli anni ’10 e ‘20, attraversa il Gruppo di Como e de Il Milione nei ‘30 e ‘40, approda al MAC e all’Astrattismo Classico nei ’50, sostenuta poi da Dorazio e con larghissimo seguito per oltre un trentennio e così via, fino ai giorni nostri.
Ribadisci così anche l’esistenza della figura dell’artista-teorico, già delineata dal tuo saggio precedente Umberto Boccioni. Arte-Vita (Mondadori) del 2017?
Nel saggio riprendo l’argomento ampliandolo e citando, oltre a Boccioni, anche altre figure seminali del Novecento: da Fontana a Manzoni, che con i soli due numeri della sua rivista Azimuth, nel ’59, segnerà la via al ventennio successivo, ma anche ad altri meno noti ed essenziali come Ettore Colla con la sua rivista Origine, o alla figura trasversale e decisiva di Emilio Villa.
Riviste che, vale ricordarlo, prevedevano anche i rispettivi spazi espositivi autogestiti dagli artisti stessi.
Tendenza di grande attualità oggi, dove gli artisti, soprattutto all’estero, si occupano stabilmente di curatele e di rassegne internazionali.
Secondo una tua attitudine multidisciplinare mutuata dalle Avanguardie, ma soprattutto dal Futurismo, di cui ti occupi da oltre 40 anni, Astrazione come resistenza è diventata un progetto più articolato. Artslife se n’è già occupata per la tua mostra, pure titolata come il saggio, realizzata nelle ex-Carceri Imperali Asburgiche di San Vito (Pn), che ha destato grande attenzione per la ri-proposizione di un ambiente detentivo, metafora della chiusura forzata nel lock-down.
Il progetto specifico nelle ex-Carceri, individuate tra molte dopo una lunga ricognizione, ha previsto anche l’azione teatrale, nell’Antico Teatro Arrigoni, accompagnata dall’esecuzione delle musiche che animavano le inaugurazioni dagli anni ’20 ai ’70: dal jazz alla musica contemporanea di Ligeti, Berio, Nono e molti altri.
La scorsa estate hai partecipato anche alla rassegna annuale da Gian Enzo Sperone a Sent, con Kounellis, Boetti, Merz, Schnabel, Cucchi, Clemente: hai proposto il progetto anche in quella sede?
Non esattamente, ma la mia presenza era organica ad una selezione di astrattisti che Sperone ha già proposto a New York e a Londra nel 2014, con il mio saggio ben visibile in galleria.
Il progetto continua?
Dopo la conclusione a San Vito, sta proseguendo a Trento, alla galleria Buonanno, con un “Fuori galleria” nello flagship store di Arclinea. Ho voluto questo allargamento per poter estendere il raggio anche all’architettura e al design, pure trattati nel saggio, organizzando un confronto su Architettura e Astrazione, basandomi soprattutto sulle esperienze razionaliste degli anni ’30. Incontro che sarà replicato il 10 novembre in galleria con la tematica Astrazione e Spiritualità, centrato sul medesimo capitolo del libro.
Pensi che il progetto possa esaurirsi entro quest’anno?
Percepisco che le molte tematiche sviluppate nel saggio, che si estendono operativamente nelle mie nuove serie pittoriche dei Ritmati, dei Prima Materia e dei Candidi, hanno ancora molta spinta.
Indispensabile quindi l’approdo anche alla Galleria Russo di Roma, che mi tratta dal 2012, per la fine di quest’anno.