Pietro Tacca, scultore tra i più innovativi e spettacolari del periodo barocco, è uno dei protagonisti di “Cuprum. Bronzetti dal XIV al XIX Secolo”, l’asta di bronzetti antichi che Bertolami Fine Art ospiterà nella sua sede romana di Palazzo Caetani Lovatelli il prossimo 14 dicembre. Ne parliamo con il curatore, Antonello Andreacchio
La presenza nel catalogo dell’asta che ha curato per Bertolami Fine Art di un piccolo bronzo di Pietro Tacca non passa inosservata e ci ricorda che il geniale inventore di quella miracolosa sfida alle leggi della statica che è il colossale monumento equestre a Filippo IV di Spagna – uno dei monumenti che maggiormente caratterizzano l’arredo urbano madrileno – era anche un fine creatore di bronzi di minuscolo formato.
Sì, Tacca ha affrontato con maestria sia la grande che la piccola misura. La scultura a cui si riferisce, una potente rappresentazione di divinità fluviale alta 40 centimetri, è stata studiata e attribuita al grande carrarese naturalizzato fiorentino da Charles Avery, uno dei più accreditati esperti internazionali di Giambologna e della sua scuola.
Il soggetto ripete un bozzetto in terracotta oggi custodito al Museo Nazionale del Bargello di Firenze, un’opera tradizionalmente assegnata al Tribolo, ma che Avery pensa essere di mano del Giambologna.
Pietro Tacca, in quanto continuatore ed erede della fonderia granducale di Giambologna, ne avrebbe ereditato tutti i bozzetti, divinità fluviale del Bargello compresa. Secondo Avery tra le numerose fusioni tratte dai bozzetti c’è anche quella proposta in asta da Bertolami.
Se ne conoscono altre versioni?
Poche in verità. Avery annota quella del Conte Stroganoff (1911), quella di Maurice de Rothschild e quella di Yves Saint Laurent, venduta in asta Christie’s nel 2009.
Parlando del Dio Fiume di Tacca ci siamo inoltrati in uno dei temi sensibili del raffinato collezionismo di bronzetti, quello, appunto, delle attribuzioni.
A riguardo va ricordato che le botteghe dei grandi artisti funzionavano come vere e proprie aziende. In esse varie figure professionali collaboravano alla realizzazione dell’opera e non deve stupire che l’intervento del maestro spesso si limitasse alla elaborazione del modello in cera o in creta. Tutto il resto lo faceva la bottega, qualcuno fondeva le sculture e altri le rinettavano e cesellavano.
A fronte di tali modalità esecutive parlare di autografia risulta un mero esercizio retorico.
Oltre a quello di Tacca, in asta compaiono i nomi di altri importanti allievi di Giambologna, Antonio Susini, tanto per citarne uno.
Giambologna fu un caposcuola e nella sua bottega si formarono artisti di altissimo talento. È appunto il caso di Antonio Susini, braccio destro e continuatore dei modelli del suo eccelso maestro ma con uno stile personale, chiaramente riconoscibile dagli studiosi. Susini nasceva tra l’altro orafo e le sue repliche dei bronzi del Gianbologna appaiono addirittura più rifinite degli originali.
Tra le opere presenti in catalogo l’Ermafrodito di Giovan Francesco Susini, il nipote di Antonio, è una delle più belle.
Il modello del bronzo a cui si riferisce è conservato al Metropolitan Museum di New York. Poggia su uno stupendo cassone bronzeo baccellato con figure grottesche agli angoli.
La riduzione in bronzo fu ispirata dalla scultura romana, copia di un originale greco, rinvenuta nel parco di Santa Maria della Vittoria nel 1608 e acquisita dal Cardinale Scipione Borghese. Su commissione del Cardinale, un giovane Bernini aggiunse il materasso trapuntato che fu molto apprezzato dai contemporanei. Con le spoliazioni napoleoniche il marmo fu venduto ed è attualmente al Louvre.
Ritornando al problema delle attribuzioni, va rilevata una tendenza del caposcuola a lavorare con maggiore spontaneità rispetto al collaboratore-copista, più orientato a insistere sui dettagli, creando meraviglie con i virtuosismi della tecnica.
Nel caso di Giambologna e della sua scuola le dispute attributive non hanno comunque mai fine. Le invenzioni del grande scultore fiammingo, naturalizzato alla corte granducale dei Medici, vennero replicate molte e molte volte in bottega e dai suoi successori, perché la richiesta del mercato era fortissima e, quando il maestro era ancora in vita, a fronte di un tale successo commerciale, aveva giusto il tempo di occuparsi delle fusioni più importanti.
Va anche aggiunto che, in un’epoca in cui quella del copiare non era considerata una pratica disdicevole ma semmai una forma di emulazione, esistevano anche botteghe specializzate nella riproduzione dei modelli dei maggiori artisti.
Anche in area veneta la produzione di bronzetti è fiorente e di qualità notevole.
E anche in area veneta si rileva una cospicua attività di fonderie che un po’ copiavano e un po’ inventavano. Inoltre, con il progredire degli studi, figure prima considerate secondarie sono emerse come personalità autonome. Si pensi a questo proposito alla vicenda critica di Severo da Ravenna, artista che, negli ultimi anni, si è visto restituire attribuzioni in precedenza ascritte a Andrea Briosco detto il Riccio.
Alla scuola di Severo da Ravenna in asta è attribuita una deliziosa scultura di satiro che sorregge un. candelabro.
Scorrendo con attenzione le schede dei lotti in catalogo si scopre con stupore che non tutti i bronzetti sono di bronzo.
Ha ragione. In molti casi quelli che chiamiamo per convenzione bronzetti sono di ottone. Sia il bronzo che l’ottone sono leghe a base di rame: il bronzo si ottiene legando il rame allo stagno, l’ottone legando il rame allo zinco. Le patinature artificiali che spesso coprono i cosiddetti bronzetti ostacolano il riconoscimento visivo dei materiali e l’unico valido metodo di riconoscimento è quello dell’analisi scientifica della lega.
Riconoscere la natura del metallo che costituisce queste piccole, raffinate sculture, consente di raccogliere informazioni preziose sulla loro area e epoca di produzione. In Toscana ad esempio si prediligeva l’uso del bronzo, mentre le fonderie francesi e tedesche optavano preferibilmente per l’ottone.
Anche le proporzioni degli elementi che costituiscono le leghe metalliche sono illuminanti. Se la composizione della lega si rivela molto precisa (ad esempio nove parti di rame e una di stagno) e con pochissime impurità saremo con certezza di fronte a una produzione già industriale di lingotti ottocenteschi purificati da tecniche elettrolitiche. Le composizioni delle leghe antiche sono invece più varie e “sporche”.
L’importanza della diagnostica scientifica si rivela insomma fondamentale per sostenere l’indagine del critico. Va però da sé che l’occhio di chi ha visto molto e studiato di più non potrà mai essere sostituito dall’apparato scientifico, si tratta semplicemente di aggiungere all’analisi stilistica e all’esperienza tattile, sempre fondamentali, il supporto delle nuove tecnologie.
Collezionare bronzetti al giorno d’oggi non è una scelta troppo elitaria?
I bronzetti vennero collezionati dai principi del Rinascimento e dagli intellettuali umanisti sulla scia della rinascita dell’arte classica, parliamo quindi di un’area collezionistica di grande raffinatezza che sin dall’inizio ha rappresentato una nicchia un po’ esclusiva. Facciamo però riferimento a una élite del gusto e della cultura, le conquiste della condizione umana alle quali non si dovrebbe mai cessare di protendere.