Con The Passenger, David Bowie è in mostra nelle fotografie di Andrew Kent fino al 29 gennaio 2023 al PAN (Palazzo delle Arti) di Napoli
Nell’industria musicale, il Tour Manager è quella figura che si occupa degli aspetti logistici ed economici relativi alle tournée dei musicisti, i quali, liberi da tali impegni, possono concentrarsi esclusivamente sul lato artistico dei concerti. A questa figura se ne affiancano molte altre che vanno dai tecnici del suono e delle luci, dalla manovalanza alle guardie del corpo e, soprattutto, due figure che seguono l’artista in tutti i suoi spostamenti, l’assistente personale e il fotografo. Proprio quest’ultimo è una delle figure in grado di raccontare visivamente gli aspetti pubblici e privati di un cantante o di un gruppo musicale.
Andrew Kent (1948) è un habitué di questo ambiente. Grazie alla sua passione e alla sua attività come fotografo, è riuscito ad avere accesso ai backstage dei concerti, diventando uno dei più acclamati a partire dagli Settanta del secolo scorso. Lontano dallo stile e dagli eccessi del rock and roll di quegli anni, ha sempre mantenuto un aspetto sobrio, immortalando le grandi star nelle loro esibizioni: da Cat Stevens (1948) a Keith Richards (1943), da Freddie Mercury (1946-1991) a Rod Stewart (1945), da Elton John (1947) a Frank Zappa (1940-1993). I suoi scatti sono apparsi sulle copertine delle più importanti riviste di musica pop e rock, Rolling Stones, Vanity Fair, Playboy, Time, Newsweek, Q e Mojo, sui manifesti di Hollywood e in molte copertine di album. Una delle foto che raffiguravano Iggy Pop (1947), realizzato in maniera casuale negli studi televisivi della BBC, è diventato l’iconica copertina dell’album Lust for Life.
Nell’ottobre del 1975 conobbe il cantante David Bowie (1947-2016), grazie alla sua amicizia con Cameron Crowe, che glielo presentò in uno studio di registrazione ad Hollywood. Proprio su questo incontro e sulla successiva collaborazione verte l’interessante mostra allestita nelle sale del PAN (Palazzo delle Arti), in via dei Mille 60, a Napoli, dal titolo The Passenger, fino al 29 gennaio 2023. Iniziò una sinergia fra Kent e Bowie che li portò a girare il mondo per l’Isolar Tour, da Vancouver a Mosca, nel periodo in cui il cantante stava immergendosi nel suo nuovo alter ego, ovvero The Twin White, il Sottile Duca Bianco. Dopo le innumerevoli date americane giunsero in Europa con il transatlantico italiano Leonardo Da Vinci.
Ad accogliere i visitatori nella prima sala della mostra sono gli scatti legati a questo lungo viaggio in nave (Bowie non amava spostarsi in aereo), che immortalano il cantante, giocoso e sorridente. Diverse furono le persone che affiancarono il Duca Bianco e Andrew Kent nel tour composto da 64 concerti in 12 paesi, tra cui Iggy Pop, ex Stooges, legato da un rapporto professionale e amicale con Bowie, l’assistente personale Coco Schwab e Pat Gibbons, il suo tour manager. Il segmento europeo dei concerti iniziò il 7 aprile del 1976 da Monaco di Baviera e la data finale del tour fu al Pavillion de Paris di Parigi il 18 maggio del 1976. Prima di ogni esibizione veniva proiettato il film surrealista Un Chien Andalou di Luis Bunuel (1900-1983) e Salvador Dalì (1904-1989). La pellicola includeva la famosa scena nella quale una lama di rasoio taglia un bulbo oculare.
Arrivati a Berlino, Bowie è immortalato a braccia conserte mentre osserva di fronte a sé un soldato della DDR di guardia a un monumento. Sono gli anni del Muro che divideva i due mondi, due ideologie, grazie al passaporto britannico, per il cantante non era difficile superare il Checkpoint Charlie, il posto di blocco tra settore sovietico e americano. Giunti in Svizzera per un concerto, ripartirono dalla stazione di Basilea per Mosca. Il ristorante della stazione ferroviaria fu il luogo per festeggiare il compleanno di Iggy Pop, come dimostrano alcuni scatti visibili in mostra che ritraggono quest’ultimo spegnere le candeline e il Duca Bianco, seduto di fronte a lui, in posa austera che partecipa al lieto evento. Emerge da queste fotografie uno status diverso dall’essere icona pop e rock, affiora l’aspetto intimo e privato. I due cantanti pur essendo due personalità agli antipodi fra di loro, cercarono continuamente una certa affinità, era il miglior modo di esistere in questo mondo.
Uno dei protagonisti di questa mostra, oltre a Bowie, è senza dubbio l’amico Iggy Pop, a cui è dedicata una sezione. Nel 1975, anno precedente all’Isolar Tour, Bowie stava recitando nel film L’uomo che cadde sulla Terra, di Nicolas Roeg (1928-2018), e registrando il suo decimo album, Station to Station. Iggy Pop, nel frattempo, si era fatto ricoverare all’Istituto Neuropsichiatrico della UCLA per salvarsi la vita dalla dipendenza dalle droghe. Di quegli anni l’artista affermò: “Nel 1975 ero completamente immerso nelle droghe. La mia forza di volontà si era quasi completamente esaurita. Ma trovai comunque le energie e il buonsenso di farmi ricoverare in un ospedale. Sono sopravvissuto grazie alla mia forza di volontà e grazie all’aiuto di David Bowie. Ma fondamentalmente sono sopravvissuto perché lo volevo”.
Questo legame forte e speciale fra i due è evidente nelle fotografie che lo stesso Bowie scattò all’amico. La copertina dell’album The Idiot di Iggy Pop è stata erroneamente attribuita per lungo tempo a Andrew Kent. Solo di recente, la David Bowie Estate ha confermato che la foto è da attribuire al Duca Bianco.
Riprendendo l’Isolar Tour la tappa successiva fu Mosca, in Russia. Nella capitale sovietica Kent immortalò tutto il gruppo intento a passeggiare nella Piazza Rossa, visitare i magazzini GUM, la tomba di Lenin e l’Hotel Metropol, dove si stabilì la troupe. Ciò che notò il fotografo nel territorio russo è la visione di un “altro mondo” lontano dalla cultura occidentale, non aperto all’esterno. Ne è un esempio, la distribuzione da parte sua di alcuni pacchetti di chewin gum al personale della stazione ferroviaria, attratti dalla novità americana. A testimoniare il viaggio oltre la “cortina di ferro” sono alcuni cimeli presenti nell’exihibit: una tazza da tè russa e una spilla che il cantante prese come regalo alla madre e la rivista L’Union Soviétique, letta da Bowie durante il suo viaggio verso Mosca. Di propaganda staliniana, era in lingua francese e distibuita in diversi paesi, tra cui l’Italia, in maniera abbastanza sommaria.
Partiti da Mosca arrivarono ad Helsinki, poi Stoccolma, Oslo e Copenaghen. Il 2 maggio del 1976, Bowie giunse a Victoria Station a Londra, su un treno proveniente da Copenaghen. Fu il giorno del famoso caso “The Victoria Station Incident”, di cui sono visibili alcune istantanee. Il fotografo Chalkie Davies immortalò il cantante realizzando una serie di fotogrammi. Il giorno seguente mostrò gli scatti alla rivista New Musical Express, e la redazione decise di utilizzare le immagini nella quale Bowie salutava i fan col braccio sinistro teso in aria. La stampa britannica, unendo le foto ad alcune dichiarazioni sul fascismo, dichiarò che Bowie era un simpatizzante nazista. Non ci fu una reazione rabbiosa da parte del cantante, non se la prese con Chalkie, ribadì soltanto di essere stato travisato e mal interpretato.
Il 18 maggio del 1976, Parigi segnò l’ultima tappa del tour. In questa penultima sezione del percorso espositivo sono visibili alcuni scatti a colori che Kent realizzò tra le strade della capitale francese. Bowie è immortalato accanto ad un manifesto pubblicitario dedicato al concerto, nell’atto di coprire il proprio nome. In bianco e nero, invece, sono le istantanee realizzate all’interno della camera d’albergo Relais Bisson Hotel Paris, che lo vedono Bowie rifarsi il trucco, disegnando con calcolata maestria occhi e sopracciglia, dividendosi tra una toletta improvvisata su di un tavolino da caffè e lo specchio del bagno. Altre immagini, ritraggono il cantante nelle sale dello Chateau d’Hérouville, lontano da Parigi, trasferitosi volontariamente a causa dei fan che assediavano l’albergo parigino.
L’ultima sezione della mostra è dedicata alle riproduzioni e alle rivisitazioni di alcuni degli abiti più iconici che hanno caratterizzato la carriera dell’artista. La sua identità musicale sarà sempre legata alla sua immagine: Ziggie Stardust, Aladdin Sane e il Duca Bianco. Negli anni Sessanta le distinzioni tra il confine maschile e femminile, pubblico e privato, e realtà e finzione, si fanno sempre più labili. Bowie interpretò in maniera eccellente lo stile del tempo: intuì come l’ambiguità sessuale, il travestimento e l’immagine intesa come riproduzione del sé, sarebbero stati i leitmotiv di tutta l’industria culturale a venire, tanto da fare del mascheramento il suo cavallo di battaglia.
Da un punto di vista stilistico le sue suggestioni per gli abiti erano le più varie: la cultura camp e gay, la Factory di Andy Warhol (1928-1987), i Velvet Underground, il glam rock di Marc Bolan e T. Rex e l’estetica metallica di Stanley Kubrick (1928-1999) visibile nei due film 2001: Odissea nello spazio e in Arancia Meccanica. Si avvalse della collaborazione dei più importanti e innovativi stilisti, a cominciare da Freddie Burretti (1951-2001) e Natasha Korniloff, passando per Kansai Yamamoto (1944-2020) e Alexander McQueen (1969-2010).
Come diceva Oscar Wilde: “Bisognerebbe essere un’opera d’arte, o altrimenti indossare un’opera d’arte”.