Print Friendly and PDF

“Avere vent’anni”, il MACRO ieri, oggi e domani: intervista a Luca Lo Pinto

Luca Lo Pinto, ph. Delfino Sisto Legnani
Macro, ph. Luigi Filetici
Il museo di arte contemporanea della città di Roma festeggia vent’anni, e lo fa con un week end di dibattiti che coinvolgono ex direttori, critici e curatori. Per immaginare il presente e per guardare ad un futuro che, secondo il direttore Luca Lo Pinto, deve essere «inclusivo, sensuale, inaspettato e analitico».

Il suo Museo per l’Immaginazione Preventiva ha cercato di dare all’identità del museo una forma più dinamica e connaturata al presente. Stiamo parlando di Luca Lo Pinto, direttore del MACRO, il museo romano che questo fine settimana festeggia i suoi primi vent’anni con una serie di incontri (oggi dalle 15 alle 19, e domani dalle 12 alle 19) ripercorrendo la storia del museo, da quando aprì le sue porte nel 2002 con il nome di Museo d’Arte Contemporanea di Roma. A raccontare il MACRO, in questo lungo dibattito che si intitola proprio “Avere vent’anni”, come l’indimenticabile romanzo di Paul Nizan, saranno i suoi ex direttori, da Danilo Eccher a Bartolomeo Pietromarchi, ad artisti, critici e curatori che hanno animato il dibattito culturale nella capitale, e non solo, negli ultimi tempi. Iniziamo la nostra chiacchierata con Lo Pinto con una domanda d’obbligo: come si può immaginare il MACRO di domani?
«Inclusivo, sensuale, inaspettato, analitico», ci risponde il direttore.

Veduta della mostra Says di Cinzia Ruggeri, MACRO 2021

Se dovessimo tracciare lo stato di salute di un museo negli ultimi 20 anni, quale sarebbe la diagnosi? In fin dei conti anche il museo ha vissuto un crollo epocale, una serie di crisi economiche globali, e pure una pandemia. Che metamorfosi ha subito il corpo-museo?

«Queste due giornate nascono per rispondere anche a questa domanda. Cercando prima di tutto di riavvolgere la storia del museo, vedendolo appunto un corpo vivente, e in quanto tale influenzato dai cambiamenti, limiti e condizionamenti del suo contesto, per arrivare al cuore della sua identità. Credo che sia questa consapevolezza l’elemento di partenza per ogni valutazione, oltre che per ogni forma di progettualità. È stata proprio questa storia a portarmi a mettere in atto un progetto sperimentale che fosse al tempo stesso accessibile al pubblico, e lo accompagnasse in un viaggio poetico e analitico, in cui interrogarsi insieme sui formati, i contenuti e i linguaggi che oggi devono appartenere a un museo di arte contemporanea».

Nathalie du Pasquier, Campo di Marte, veduta della mostra al MACRO

Per il MACRO, forse, già dall’inizio non era stato facile progettare il futuro. Oggi come stanno funzionando le cose?

«Oggi viviamo in un momento storico molto diverso, quello che mi da più dà soddisfazione è vedere come in uno dei momenti più complicati degli ultimi decenni si stia ricostruendo una comunità di persone sul territorio e non solo attorno al museo, e come il MACRO abbia l’opportunità, con la sua proposta di una idea inedita di museo d’arte contemporanea, di partecipare in prima linea a un dibattito più ampio e aperto a livello internazionale».

Previsioni per il concetto di museo nei prossimi 20 anni?

«Penso che il museo si presti a diventare sempre di più un software che un hardware. Questo potrebbe significare spostare la priorità dall’esposizione di oggetti d’arte all’attenzione su pratiche e ricerche orientate verso un outcome non oggettuale e da confini sempre più labili».

Commenta con Facebook