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Progetto (s)cultura IV. Scultura e tecnologia, intervista a Filippo Tincolini

Filippo Tincolini, presso il suo laboratorio Torart a Carrara, Ph Richard Barns
Cosa s’intende per scultura oggi? Questa nuova rubrica prova a rispondere attraverso le voci di alcuni tra i più interessanti artisti italiani. A raccontarci la sua, in questa quarta puntata, è Filippo Tincolini

Che ci fa un pinguino in una stanza? E perché indossa un salvagente, anzi un gonfiabile, come recita il titolo dell’opera – Inflatable – di Filippo Tincolini? La plastica non dovrebbe far parte dell’ambiente del pinguino, come il pinguino non dovrebbe far parte del nostro. L’animale stesso sembra, a dire il vero, un po’ stupito. Eppure i due mondi, in tempi di rivoluzione artistica e ambientale, convivono alla perfezione. Natura e cultura, scultura e tecnologia – come quella che Filippo adopera per realizzare i lavori suoi e altrui – non sono entità contrapposte e irriducibili. Nessuno, neppure l’antica tradizione artigianale della scultura italiana, può fare a meno dei ritrovati più moderni della robotica applicata alla scultura. Ne abbiamo appunto parlato con Filippo Tincolini, scultore e direttore di TorArt, il laboratorio toscano da cui si servono gli autori più acclamati dell’arte contemporanea.

Come ti sei avvicinato alla scultura? Hai fatto tutto da solo o qualcuno ti ha scoperto?
il mio bisnonno Ermindo era un formatore lucchese e suo figlio Bruno un figurinista; nei primi del Novecento erano molto attivi a Bagni di Lucca. Bruno, come molti artigiani del tempo, emigrò in Sud America, portando con sé il “saper fare” delle botteghe della formatura lucchesi. Sono cresciuto con le storie che mia nonna mi raccontava delle opere di suo fratello e di suo babbo. Ho iniziato a lavorare presso lo studio di uno scultore a Lucca quando avevo diciassette anni; lui mi ha iniziato alla lavorazione dei materiali della tradizione canonica toscana: marmo, oro e bronzo. Sono stati cinque anni di formazione sotto l’aspetto artigianale della lavorazione dei vari materiali, fino a quando un’estate ho fatto un’esperienza nella Fonderia del Chiaro a Pietrasanta, ed è proprio allora che ho capito che la scultura era quello che volevo fare da grande.

Filippo Tincolini, Black Gold esposta presso la mostra Open End di Ginevra, Ph Laura Veschi

Chi sono i tuoi maestri, gli scultori a cui guardi?
Diciamo che nella primavera della mia formazione guardavo gli artisti scultori che gravitavano su Pietrasanta e i miti della nostra tradizione da Michelangelo a Canova, passando dal Bernini. Una volta apprese le tecniche di lavorazione, durante gli anni dell’Accademia, ho cominciato a guardare anche i grandi artisti contemporanei: Koons, Hirst e Cattelan.

Ti interessa molto, se non sbaglio, anche il design.
All’inizio del mio percorso di ricerca, grazie all’avvento di nuove tecnologie e dei programmi Cad Cam per il disegno 3D, mi sono ispirato a designer e architetti: Zaha Hadid, Amanda Levete. In quel periodo, ho realizzato una serie di oggetti funzionali in marmo che sono stati esposti in diverse fiere importanti come il London Design Week e il Fuori Salone. Ora sono in esposizione permanente presso la Galleria Nilufar di Milano.

Quanto conta il materiale, e la tecnica scultorea, nel tuo approccio creativo?
Per me materiale e tecnica sono fondamentali. Mi piace pensare ad opere che non siano solo frutto dell’idea e del concetto che custodiscono, ma anche figlie della tecnica e della tecnologia che aiuta a realizzarle. La materia e la sua trasformazione sono cardini del mio processo di creazione dell’idea.

Le tue sculture sono sovente sospese tra realtà e finzione. Una tua opera recente rappresenta, ad esempio, un astronauta…fiorito: la natura ha preso il sopravvento sulla tecnologia?
Spaceman – questo il titolo della scultura – vuole creare un contrasto tra la corsa allo spazio e il potere intrinseco della natura, ci propone una natura vincitrice e che si riappropria dei suoi spazi, anche di quelli più inaspettati. Nei miei lavori cerco di cambiare la percezione della scultura classica ispirandomi a diverse culture, a temi attuali e anche alle nuove tecnologie, proponendo una combinazione dinamica di materiali, metodi e concetti.

Filippo Tincolini and Bed Crew1, Petroleum, presso Marble Week, Carrara, Ph Laura Veschi

In un’altra tua scultura, Inflatable, un pinguino di marmo si salva dall’innalzamento dei mari grazie a un gonfiabile di plastica, la cui produzione è, ironicamente, una delle cause dell’aumento delle temperature del pianeta.
Inflatable fa parte della serie degli animali distopici, ispirata alla Fattoria degli animali ed a 1984 di George Orwell, i quali rispecchiano tutta la distopia di un mondo che, piano piano ma inesorabilmente, si sta materializzando oggi. Ho iniziato a pensare che il pinguino, abile nuotatore, iniziasse ad avere paura dell’acqua e dovesse ironicamente utilizzare una ciambella recuperata casualmente nel mare ormai colmo di plastiche galleggianti.

Di recente uno dei tuoi bidoni di petrolio in marmo bianco – la copia fedele di quelli metallici usati nelle cave per alimentare i macchinari – è stato collocato in una piazza di Carrara e i writer di Bad1 crew lo hanno coperto di segni. Qual è il senso di questa operazione?
Petroleum è il titolo dell’opera, la quale ha donato la sua superficie ad un’azione d’arte molto provocatoria, proprio nella patria del marmo a Carrara. Abbiamo volutamente vandalizzato la candida superficie di questo bidone accartocciato di 2 mt durante un flash mob. Avevamo l’obiettivo di provocare nello spettatore quella sensazione di distruzione e decadimento che si ha quando vengono vandalizzati monumenti e architetture. In questo caso i graffiti valorizzano e vestono di nuova vita un bidone esausto.

I bidoni, come le opere precedenti, sono realizzati dalla TorArt, di cui sei contitolare: un laboratorio che fa della robotica il suo cavallo di battaglia. È vostra, ad esempio, la ricostruzione dell’arco di Palmira distrutto dall’isis, sebbene in scala leggermente ribassata, esposta a Firenze (dopo Londra e New York) per il G7 della cultura nel 2017.
Nel 2004, spinto da un forte desiderio di sperimentazione e ricerca, ho fondato il Laboratorio d’Arte Contemporanea TorArt. Uno spazio moderno e innovativo, aperto al design, al restauro e all’uso delle più moderne e sofisticate attrezzature per la lavorazione di marmo, pietre e materiali duri di diversa natura. Come direttore di TorArt contribuisco a trovare soluzioni per progetti avveniristici come il recupero e la ricostruzione dell’arco di Palmira distrutto dai miliziani dello stato islamico cui accennavi. Mi piace pensare che le tecnologie che abbiamo messo a punto in questi anni di ricerca operativa, siano un utensile in più nella cassetta degli attrezzi dello scultore. Come un acheuleano, attrezzo utilizzato nel paleolitico inferiore, aiutava i nostri avi nelle lavorazioni primitive, oggi il robot accompagna l’opera degli scultori.

Quindi è finito una volta per tutte il tempo dei Michelangelo che vanno in giro coperti di polvere bianca come i mugnai.
Da appassionato di tecnologia non posso fare a meno di immaginare un mondo dove le macchine compiono i lavori più usuranti e pericolosi e dove noi, magari davanti allo spettacolo che la natura può offrire, ci limitiamo a goderci la vita, curiosando dal nostro dispositivo mobile quello che avviene dove stanno lavorando le macchine. Creare forme, scolpire pietra, legno e lavorare altri materiali, sono nobili ma faticosi mestieri, alcuni anche molto pericolosi. È proprio qui, in questi frangenti, che riconosco l’importanza e la necessità della robotica in campo artistico.

Le macchine, in ogni caso, hanno bisogno di chi le programmi.
Ho appreso le tecniche di lavorazione di molti materiali e ne elogio la fondamentale importanza per la creazione di oggetti. Conoscere e rielaborare il passato ci permette di definire una traiettoria, di indicare un punto, una tappa o il traguardo di una visione futura. Questo sogno, o semplicemente l’idea che ne scaturisce, è, nel mio caso, fondere una tradizione artigiana che si tramanda da millenni con un concetto contemporaneo: tutti possono imparare a trasformare la materia per plasmare forme mai concepite.

Filippo Tincolini, SpaceMan esposto alla mostra Summerlights di Carrara, Ph Laura Veschi

Persino i robot imparano, giusto?
Un giorno queste macchine potranno parlare e, dandoci il buongiorno, ci domanderanno che tipo di lavoro ci occorre. I robot, in effetti, si autoprogrammano, per poter elaborare ed eseguire con più rapidità ed efficacia i compiti loro assegnati.

Tra le altre cose, avete anche realizzato, rocambolescamente, delle copie di marmi del Partenone, usando immagini scattate con un banale cellulare, in barba ai custodi del British Museum.
Sì è proprio attuale in questo momento. La notizia del nostro coinvolgimento assieme a IDA per la copia dei marmi del Partenone, è su tutti i media del settore. In merito a questo tipo di progetti di restituzione storica, sono molto legato all’esperienza che si è conclusa con una bellissima pubblicazione della Hoepli (Il futuro delle statue di Buddha di Bamiyan. Ricostruzione del patrimonio in teoria e pratica) dove abbiamo dato il nostro contributo in una proposta di ricostruzione, promossa dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, che in sostanza prevedeva il trasferimento degli skils e di alcuni robot per la ricostruzione in loco di un Buddha di marmo afgano.

Tornando al contemporaneo, la tua ditta collabora con il jet set della scultura: Vezzoli, Koons o Cattelan vi trasmettono un modello, voi fate un calco in 3D e il braccio robotico lavora, o siete direttamente coinvolti in fase di progettazione?
È un’enorme soddisfazione aver studiato e ammirato con gli occhi di uno studente in scultura gli artisti che oggi gravitano nel nostro studio d’arte. Il laboratorio è multimateriale e multi disciplinare, possiamo intervenire e assistere dalla concezione dell’idea fino alla messa in opera o al restauro conservativo. Lavoriamo fianco a fianco con gli studi degli artisti per guidarli e supportarli in ogni passo verso la realizzazione dell’opera.

Ma l’arte – vedi l’affaire Cattelan-Druet – è di chi la pensa o di chi la fa?
Per me l’arte è di chi la pensa, ma chi presta la sua manodopera, il suo “saper fare” nella fase di realizzazione è un tassello unico e fondamentale del processo realizzativo.

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Attualmente sto lavorando su diverse opere inedite cercando una sinergia tra materiali e tecnologie nel raccontare temi che mi sono particolarmente cari. Ai primi di dicembre sono stato a Miami Art Fair insieme alla Galleria d’arte Liquid Art System che al momento mi rappresenta e con cui stiamo progettando una grande mostra nel corso del prossimo anno.

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