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Videogame: la decima forma d’arte?

La sala introduttiva della mostra.
La sala introduttiva della mostra

Questo articolo è frutto dell’operato degli studenti del Laboratorio di scrittura, iscritti al Master Post Laurea “Management dell’Arte e dei Beni Culturali, tenuto tra novembre e dicembre 2022 da Luca Zuccala, direttore della nostra testata. La collaborazione tra ArtsLife e Rcs Academy ha dato la possibilità agli studenti partecipanti al Master, dopo le lezioni di introduzione, pianificazione e revisione dei contenuti proposti, di pubblicare il proprio elaborato sulla nostra piattaforma.

A Venaria Reale una grande mostra indaga gli impatti del videogioco nella società contemporanea.

“La mostra nasce per porre domande, più che dare risposte”. Con queste parole, Fabio Viola (game designer, docente, saggista e fondatore del collettivo artistico Internazionale TuoMuseo e co-curatore della mostra insieme a Guido Curto, direttore del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude) introduce la mostra Play – Videogame arte e oltre, visitabile fino al 16 gennaio 2023 nella Sala delle Arti, al secondo piano della Reggia di Venaria Reale, alle porte di Torino.

Dando un primo sguardo alla mostra, la prima cosa che viene spontaneo chiedersi è: cos’è il videogioco? Bisognerebbe porre la stessa domanda ai 3 miliardi di persone in tutto il mondo che quotidianamente ne usufruiscono.

Nato poco più di mezzo secolo fa come attrazione prettamente ludica, oggi si presenta come forma di consumo culturale, quella che potremmo definire la forma d’arte più attuale del nostro tempo. La decima, appunto. Non è un caso che all’interno dello stesso spazio coesistano e si intersechino idee e processi appartenenti a mondi rimasti finora separati: l’architettura, le arti visive (pittura, scultura, fotografia, fumetto, cinema), la musica, la poesia e le arti performative.

Una vista della sala dedicata ai grandi maestri.
Una vista della sala dedicata ai grandi maestri.

Nella sua breve vita, il videogioco ha sdoganato la propria natura di “oggetto di svago”, destinato a una categoria di persone che la società ha profilato e di cui possiamo stilare un preciso identikit: l’adolescente introverso, brufoloso, insofferente ai sentimenti e desideroso di chiudersi nella propria cameretta, troppo impegnato a dialogare con un joystick, un mouse o una tastiera per relazionarsi con il mondo esterno. Per capacità di sintesi li chiamiamo nerd.

Un grande merito del videogioco è stata la sua capacità di evolversi in tempi record, passando dai pixelatissimi mondi degli esordi, agli attuali universi complessi e iperrealisti. È chiaro come stia compiendo una veloce e costante ludicizzazione della nostra società: non più chiuso all’interno delle camerette dei nerd ma esce fuori casa e approda nel mondo della scuola, del lavoro e delle relazioni interpersonali. Oggi giocano anche coloro che non lo avevano mai fatto prima. Una componente interessante, che si radica lì dove il mondo dell’arte si è scontrata con i propri limiti, si identifica con l’interazione profonda tra opera e spettatore. Il giocatore non è più spettatore passivo ma diventa un elemento essenziale per l’esistenza stessa del prodotto. Diventa spettAttore (sempre per dirlo con le parole di Viola): il destino del gioco è – letteralmente – nelle sue mani. Il giocatore è costretto a compiere delle azioni e a prendere delle decisioni, per svolgere la missione. Missione che può essere singola o collettiva. La collettività entra a pieno nel processo creativo di alcuni videogiochi, che vede la collaborazione di diversi artisti altamente specializzati nella realizzazione di una singola opera.

Il rapporto tra Escher e Monument Valley. Le ispirazioni di Monument Valley.

La mostra si apre con una sala dedicata ai grandi maestri dell’arte, fonte di ispirazione per le estetiche di alcuni videogiochi: De Chirico, Hokusai, Calder, Dorè, Savinio, Piranesi, Kandinsky, Warhol dialogano con Ico, Monument Valley, Rez Infinite, Okami, Apotheon. Un’altra sezione mostra come alcuni artisti viventi (per citarne alcuni: Bill Viola, Banksy, Invaders, Cao Fai, Tabor Robak, il collettivo AES+F) abbiano attinto al linguaggio del videogioco per la creazione di alcune delle loro opere. Di nuovo, uno scambio reciproco e un dialogo costante tra due mondi apparentemente così lontani.

La Sala dei Maestri celebra alcuni dei pionieri dei videogiochi: Yoshitaka Amano, storico disegnatore di Final Fantasy; Yu Suzuki, game designer; Christian Cantamessa, sceneggiatore; Andrea Pessino, creatore di God of War, Okami e Dexter; Jesper Kyd, musicista conosciuto per le melodie di Assassin’s Creeed.

Interessante elemento di interazione è la penultima sala: la ricostruzione di quattro stanze che raccontano la cronologia evolutiva dei videogiochi. Si inizia con Pac Man, Street Fighter e Space Invaders, i più anziani, grossi cabinati perfettamente funzionanti; si passa poi alle più recenti produzioni per console come Need for Speed (con tanto di divano o letto da cameretta, per tornare ai nerd di cui sopra) e si termina la visita indossando i visori ed entrando nel mondo della realtà aumentata, di quel Metaverso tanto dibattuto in questo periodo storico.

Pac Man. Need for Speed.

Alla fine della mostra, possiamo quindi affermare che il videogioco è la decima forma d’arte? Difficile da dire con certezza. Ciò di cui siamo sicuri, però, è l’importanza del videogioco come lente per analizzare il contemporaneo, i profondi cambiamenti identitari, sociali e creativi del nostro tempo.

Comprendere profondamente il videogioco (o almeno provarci) significa porsi come beta tester della società del domani. In un mondo sempre più digitale, in cui ogni azione umana si compone – direttamente o indirettamente – di bit, i videogiochi rappresentano il prodotto più riuscito di questo post-modernismo.

https://lavenaria.it/it/mostre/play-videogame-arte-0

Il rapporto tra Escher e Monument Valley. Le ispirazioni di Monument Valley.

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