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Progetto Scultura V: come un teatro di figura, intervista a Filippo Lavaccara

Filippo Lavaccara, Un volto per Dante, 2022 carta dipinta
Cosa s’intende per scultura oggi? Questa rubrica prova a rispondere attraverso le voci di alcuni tra i più interessanti artisti italiani, che ci raccontano la loro pratica. In questa quinta puntata parla Filippo Lavaccara

Il teatro di figura è una particolare forma di arte che utilizza burattini, marionette, pupazzi, ombre, oggetti, come protagonisti della rappresentazione. In questo teatro immaginario che fa riferimento a modi antichi, più che alla virtualità o all’assertività degli effetti speciali, a Filippo La Vaccara (Catania, 1972) tocca ovviamente la parte dell’amorevole Geppetto, dell’artigiano creatore. Quella di Mangiafuoco spetta a noi.

A chi gli chiedeva a quali statue classiche si fosse ispirato, Caravaggio rispondeva che i modelli li prendeva per la strada: tu i tuoi dove li trovi?
Per la strada e dai libri. I modelli che prendo dalla strada si classicizzano nella scultura, tendono a somigliare a modelli presenti nella storia dell’arte, mentre le suggestioni che ricavo dalla Grecia arcaica, dall’arte romana e dalla preistoria, nella scultura si riattualizzano e catapultano nella contemporaneità.

Una volta scelte, le tue “figure” sono ridotte all’essenziale: sembri persuaso che la personalità, il carattere si concentri nella testa.
È alla testa, agli occhi, al volto che si guarda di più nella figura umana: ne è un punto culminante, una parte in grado di coinvolgere chi guarda. Anche altri frammenti saprebbero dire molto, ma nella testa c’è più “rischio comunicativo”, più possibilità di immedesimazione con il soggetto.

Anche i corpi, quando esistono, non sono proporzionati.
L’arte che non segue canoni di proporzione classica è per me liberatoria. Per questo mi sento vicino a forme di rappresentazione a volte sommarie e sintetiche, le stesse che anche l’arte popolare ha adottato come mezzo per arrivare dritti alla comunicazione.

foto di scena con sculture indossate, 2022, foto di Danilo Torre

Alcune teste sono senza occhi: per quale ragione?
Quando sopraggiunge un’idea per una scultura, a volte è piuttosto definita, con dei dettagli che posso riconoscere e riproporre nel modellato e nel colore. In altre occasioni nell’idea mancano dei pezzi, la forma è senza alcuni dettagli. Così realizzo dei lavori completi, che erano incompleti all’origine. Rispetto all’idea originaria, non invento altro, non aggiungo altro alla scultura.

Quasi sempre i volti ostentano un sorriso che non ha nulla di emozionale: rappresenta una sorta di nirvana, di imperturbabilità dell’uomo di fronte al destino?
La scultura per nascere ha affrontato un viaggio. Ha attraversato un processo. Questo già è molto, per me. Quando una scultura si è conquistata uno spazio nel mondo, fisicamente, una volta che è nata, non ho trovato indispensabile o utile conferire ai volti espressioni particolari. Per questo, forse, i ritratti hanno una compostezza meditativa.

Filippo Lavaccara, interrogatorio, 2021, terracotta

La stessa “gioia imperturbata”, per citare Dostoevskij, si ritrova negli animali. Che mi ricordano tanto le mucche di Chagall.
Gli animali si inseriscono nella popolazione delle figure umane con la stessa importanza, sono fatti della stessa materia e hanno la stressa consistenza. La vicinanza tra le creature, se vogliamo, vuole essere per me un messaggio.

Ti dividi tra la scultura e la pittura: i tuoi paesaggi, con le loro stranianti prospettive, sono insieme metafisici e hopperiani.
Mi piace molto dividermi tra pittura e scultura. La pittura metafisica e quella hopperiana hanno influenzato il mio modo di rappresentare, che però cambia e che, grazie a ulteriori spunti, prosegue nella sua evoluzione.

Come nascono i tuoi lavori dall’idea, al primo abbozzo alla realizzazione finale?
Questi tre passaggi: idea, abbozzo e realizzazione finale, sono punti fondamentali. Infatti dall’idea, che è una forma di intuizione, di abbaglio, nasce uno schizzo su carta, un appunto, un primo passaggio dal mondo immaginario a quello visibile e tangibile. Questi schizzi mi guidano poi alla realizzazione finale, momento che nulla ha a che fare con l’ispirazione o l’intuizione, bensì con il mestiere, le prove, il laboratorio. A volte i lavori crollano durante la realizzazione e mi tocca decidere se ricominciare tutto da capo o abbandonare. Ci sono i tempi tecnici dell’argilla, dell’asciugatura, i viaggi alla fornace, la consulenza dei maestri terracottai. A volte trovo necessaria una seconda cottura per la smaltatura ceramica. L’attesa. Tempistiche che mi costringono ad avere pazienza, che dovrebbero insegnarmi a saper aspettare. Una grande sfida, per me che amo la velocità.

Filippo Lavaccara, performance, 2019 terracotta

Quanto sono importanti i materiali che usi?
I materiali costituiscono il corpo dell’opera, quindi sono fondamentali. Dopo l’idea, è grazie ai materiali che l’opera può manifestarsi.

Come si relazionano le tue opere tra loro e con lo spazio in cui vengono esposte?
La relazione tra opere e spazio varia in continuazione, al variare delle caratteristiche del luogo, della luce, della scelta di allestimento. Con lo stesso gruppo di sculture è possibile ipotizzare molteplici diversi allestimenti. Bello quando un curatore ha delle idee per un allestimento diverse dalle mie, che possono diventare ripetitive.

Che cosa pensi della scultura italiana contemporanea?
Credo che ci siano ricerche di qualità, che vanno scoperte, approfondite, valorizzate. Si, credo ci sia molta qualità.

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Alla ceramica, alla terracotta, alla scultura in carta dipinta, oltre alla pittura e al disegno. Inoltre, con l’aiuto e il supporto di amici registi, mi dedico alla realizzazione di brevi film in cui le sculture prendono vita, con delle teste modellate che gli attori indossano, come in un teatro di figura.

a cura di Andrea Guastella

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