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Palermo, Capri, Pompei, Tiepolo e Raffaello: Renoir e il suo dolce amore per l’Italia

Pierre-Auguste Renoir, Portrait d’Adèle Besson, 1918, olio su tela, 41 x 37 cm, Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie di Besançon
Pierre-Auguste Renoir, Portrait d’Adèle Besson, 1918, olio su tela, 41 x 37 cm, Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie di Besançon

“Renoir e l’Italia”, curata da Paolo Bolpagni, ripercorre quel pellegrinaggio italiano di Renoir e soprattutto ne indaga le rivoluzionarie conseguenze.

L’Impressionismo, che pur lo aveva affascinato, comincia a non convincerlo più. E per trovare nuove strade, l’allora quarantenne Pierre Auguste Renoir decide di guardare indietro, alla grande arte italiana. Nel 1881 inizia un suo personale Grand Tour, per studiare – così come aveva da poco fatto il collega Ingres – i maestri del Rinascimento. E per la sua pittura fu una rivoluzione. Verso la fine degli anni Settanta del XIX secolo, Renoir è scosso da una profonda inquietudine creativa, che lo induce a intraprendere, nel 1881, un viaggio in Italia: un tour che ebbe inizio a Venezia, dove l’artista fu colpito da Carpaccio e Tiepolo (mentre già conosceva bene Tiziano, Veronese, ammirati e studiati al Louvre), e che proseguì per brevi tappe a Padova e a Firenze, per trovare una meta fondamentale a Roma. Qui fu travolto dalla forza della luce mediterranea e sviluppò un’ammirazione per i maestri rinascimentali, in primis per Raffaello, di cui apprezzò, per la loro mirabile “semplicità e grandezza”, gli affreschi della Villa Farnesina.

Pierre-Auguste Renoir, Tête d’enfant, 1907, olio su tela, 22,1 x 16 cm, Musée Mainssieux di Voiron

Un’ulteriore tappa del viaggio fu il golfo di Napoli: qui Renoir scoprì le pitture pompeiane, fu rapito dalla bellezza dell’isola di Capri, e quasi soggiogato dai capolavori antichi esposti al museo archeologico. Infine andò a Palermo, dove incontrò Richard Wagner e lo ritrasse in un’opera divenuta famosa (ma non si può dire che fra i due scoccò la scintilla: anzi, il compositore gli concedette soltanto quarantacinque minuti di posa e non rimase molto soddisfatto del dipinto).

Anche attraverso il fil rouge del racconto biografico del figlio Jean, celebre regista, la mostra si focalizza su questa fase della produzione di Renoir: dal viaggio in Italia sino alle opere della vecchiaia. Ponendo in risalto l’originalità di un’arte che non fu affatto attardata, ma che costituì uno dei primi esempi di quella “moderna classicità” che sarebbe poi stata perseguita da molti pittori degli anni Venti e Trenta, in particolare in Italia, come sarà evidenziato dai confronti – alcuni dei quali insospettabili – che saranno istituiti nelle sale di Palazzo Roverella.

Pierre-Auguste Renoir, Studio per “Le Moulin de la Galette”, 1875-1876, olio su tela, 65 x 85 cm, Ordrupgaard di Charlottenlund
Pierre-Auguste Renoir, Studio per “Le Moulin de la Galette”, 1875-1876, olio su tela, 65 x 85 cm, Ordrupgaard di Charlottenlund

Fu la musica, più che la pittura, a segnare l’infanzia di Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 25 febbraio 1841 – Cagnes-sur-Mer, 3 dicembre 1919). Entrato nel coro della chiesa di Saint-Sulpice, cantò sotto la direzione del grande compositore Charles Gounod, che credeva fermamente nelle possibilità vocali del ragazzo. Solo più tardi giunse alla scoperta della pittura en plein air che lo condusse all’approdo impressionista. È questa la fase di Renoir più nota al grande pubblico. In realtà, a ben vedere, si trattò di una fase piuttosto breve, caratterizzata anche da una certa disparità di vedute con Monet, Pissarro e Degas. A superare ogni crisi giunse il viaggio in Italia. Dopo il quale nulla sarà come prima.

Info: www.palazzoroverella.com tel 0425460093.

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