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I soldi possono fare un artista? Storia di Biagio Conte

Biagio Conte ha usato i suoi soldi per aiutare il prossimo (foto Missione di speranza e carità) Biagio Conte, il pittore mancato che ha usato i suoi soldi per aiutare il prossimo (foto Missione di speranza e carità)
Biagio Conte ha usato i suoi soldi per aiutare il prossimo (foto Missione di speranza e carità)
Biagio Conte, il pittore mancato che ha usato i suoi soldi per aiutare il prossimo (foto Missione di speranza e carità)

Soldi, auto di lusso, belle ragazze, Biagio Conte voleva essere pittore. Ma poi si è dedicato ai poveri, come San Francesco

Storie di artisti che hanno chiuso la loro vita nella disperazione e nella povertà ce ne sono, senza dubbio. Anche famosi, basta pensare a Van Gogh o a Ligabue, e pure a Caravaggio. Ma fino a che punto la grandezza dell’arte è conciliabile con una condizione esistenziale di indigenza? Fino a dove arriva l’idea romantica del genio incompreso, che lavora per la gloria e non per i soldi? La realtà ci ha sempre descritto un’altra storia. Tiziano era così ricco, famoso e rispettato, che persino l’imperatore Carlo V si sentiva in dovere di ossequiarlo. Andrea Mantegna possedeva case e terreni di gran valore. E Michelangelo aveva accumulato enormi ricchezze, come ci ha dimostrato lo studioso Rab Hatfield. Così come è una falsa leggenda quella che vuole gli impressionisti poveri, incompresi e morti in miseria, visto che invece, a parte Van Gogh, sono diventati tutti ricchi e famosi grazie alla loro pittura.

La verità è che fare l’artista è un mestiere come un altro. Nel Rinascimento esistevano tabelle di prezzi che indicavano quanto avrebbe dovuto essere ricompensato un lavoro: più figure comparivano nel dipinto, più aumentava il prezzo. Gli artisti non producevano spinti dall’ispirazione: tutte le opere che ancora oggi non smettiamo di ammirare erano commissionate da qualcuno e dovevano seguire determinati canoni. Solo chi aveva già avuto successo poteva permettersi di creare capolavori seguendo il proprio istinto. Ma in ogni caso quello che raffiguravano questi artisti non si discostava mai troppo dai gusti e dalle idee di chi allora comandava il mondo, fosse la Chiesa o qualche potente Signore.

Gli scartati della società

Papa Francesco ha confessato la sua passione per le Opere di misericordia di un piccolo maestro del primo Quattrocento marchigiano, Olivuccio di Ciccarello. Perchè “gli scartati della società si sono affermati in quelle opere come attori principali della rappresentazione”. Uno sguardo evangelico che i contemporanei non avrebbero potuto condividere, concentrati com’erano sul ruolo non dei bisognosi, ma dei benefattori. Preferendo piuttosto al protagonismo dei miserabili e alla loro dignità dolente raffigurata con muta eloquenza, i ritratti enfatici che narravano la virtù dei santi. Come in ogni lavoro, il più delle volte non conta quello che vuoi fare tu, ma quello che ti viene chiesto. Allora gli artisti producevano un’opera per essere retribuiti, non per esclusivo piacere personale.

 

Antonio Ligabue, Autoritratto con cavalletto, s.d. (1954-55), olio su tavola di faesite, 199x130 cm, Collezione BPER Banca
Antonio Ligabue, Autoritratto con cavalletto, 1954-55, olio su tavola, Collezione BPER Banca

Oggi è uguale. Gi artisti esprimono se stessi, ma non potrebbero farlo senza essere pagati. L’economia ha vinto su tutto, e forse è inutile chiedersi se sia giusto o sbagliato che alcuni artisti siano disposti a tutto per inseguire i soldi e il successo. Ma se è vero che il denaro ha accompagnato da sempre il destino degli artisti, quelli che ne sono rimasti fuori forse hanno avuto proprio solo nel destino la loro condanna. Antonio Ligabue ha avuto una vita segnata dal tormento e da continui ricoveri in ospedali psichiatrici. E anche se critici, studiosi e mercanti d’arte apprezzarono moltissimo i suoi lavori, morì in miseria dopo essere stato colpito da una grave forma di paresi.

Edgar Allan Poe vide sparire il padre alcolizzato e perse la giovanissima madre, attrice in una compagnia di teatranti girovaghi, uccisa dalla tubercolosi. E quando anche il suo grande amore, la cuginetta Virginia, che era diventata sua moglie, morì di tisi, se ne andò pure lui. Dopo essere stato trovato semicosciente in un canale di scolo di Richmond, chiudendo gli occhi, povero, disperato e solo, in ospedale. L’arte non era riuscita a salvarli.

Il nuovo san Francesco

Non sempre sono i soldi che determinano il valore di un artista. E la povertà è una condizione, mai una scelta. Però c’è anche chi quella condizione l’ha voluta. Biagio Conte, il nuovo san Francesco, celebrato dopo la sua morte dal Papa e dal presidente Mattarella, è morto in povertà perché ha scelto di morire così. Era nato in una famiglia ricca, aveva studiato in un collegio svizzero, si stordiva “con auto di lusso e belle ragazze”, come raccontava lui stesso. E a vent’anni aveva scelto di fare il pittore, trasferendosi a Firenze.

 

Biagio Conte predicatore a Palermo
Biagio Conte predicatore a Palermo

Per sette anni ha cercato di esprimere se stesso nei suoi quadri, prima di maturare una scelta drastica e forse inattesa. Si spogliò di tutti i suoi averi per affrontare una vita da eremita nell’entroterra siciliano. Nel 1991 partì in pellegrinaggio a piedi fino al convento di Assisi, senza dire niente a nessuno. I familiari contattarono “Chi l’ha visto?” perché temevano che gli fosse successo qualcosa. Lui li tranquillizzò dalla tv: quella era la sua nuova vita. Voleva partire missionario per l’Africa, ma rimase colpito dallo stato di povertà in cui vivevano migliaia di suoi concittadini a Palermo. E decise di fermarsi lì, fondando la “Missione di speranza e carità”, per assistere migliaia di persone, tutti gli ultimi, ex tossici, emarginati, prostitute, migranti.

I miei fratelli”, come li chiamava lui. Era ridotto su una sedia a rotelle, andò a Lourdes e si rimise in piedi a camminare, senza che nessun medico riuscisse a spiegare quello che era successo. Attorno a lui procedeva questo popolo eterogeneo, come in un quadro di Pellizza da Volpedo, maschere e grugni su cui scivolavano senza requie le intemperie della vita. E lì in mezzo in quel ristagno di mestizia lui era come lo squarcio di una radura illuminata, con una logora veste poggiata sulle spalle striminzite, che rideva e parlava. L’arte l’aveva messa nella sua vita, come la povertà che aveva scelto, dentro a quella nuvola rumorosa che avvolgeva il suo cammino.

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