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Una galleria contemporanea “d’altri tempi”. Parola a Glauco Cavaciuti

Glauco Cavaciuti
Glauco Cavaciuti

Al civico 27 di via Vincenzo Monti, in quella parte di Milano in cui si avvicendano eleganti palazzi dal gusto eclettico, la Galleria d’arte Cavaciuti si distingue in modo garbato. Fra le vetrine un po’ bohemien e i portoni dal fascino borghese, questo spazio spicca per il suo carattere sofisticato e attraente. Aperto nel 2006 da Glauco Cavaciuti, lo spazio si pone l’obiettivo di rendere l’arte contemporanea più vicina alla nostra quotidianità cercando di attirare un pubblico sempre più ampio e giovane. In effetti, la galleria colpisce per la sensazione di accoglienza che trasmette ai visitatori; i locali dal sapore ottocentesco e i modi garbati del suo proprietario si fondono perfettamente con la natura astratta delle opere esposte senza alcuna difficoltà. La proposta di Cavaciuti, infatti, non è mai di rottura ma sempre costruttiva incentrata sul dialogo in ogni sua forma; in questo senso, la proposta artistica si amplia, includendo pittura, scultura e fotografia, in modo da poter dare una visione personale ma al tempo stesso completa degli ultimi sviluppi dell’arte contemporanea.

Il 9 febbraio la galleria ospiterà la mostra di Pietro Terzini, uno dei talenti più promettenti del panorama contemporaneo italiano, noto al grande pubblico grazie all’installazione sulla Torre Velasca “What Do you really want?”.

Seduto su uno dei divanetti di velluto sparsi per la galleria, Glauco Cavaciuti ci racconta il suo percorso e i suoi progetti.

Glauco Cavaciuti, lei si è specializzato in storia della pittura ottocentesca per poi approdare all’arte contemporanea, un passaggio che sembra essere avvenuto senza “lacerazioni”, ci racconti il suo percorso…

Sono figlio di restauratori, in particolare di dipinti, per cui sono cresciuto in questo mondo. Quando ho iniziato a voler lavorare, a 18 anni, l’arte moderna mi spaventava ancora. Ho iniziato con la pittura dell’Ottocento che era quella che andava più di moda all’epoca. Con il tempo mi sono reso conto che il mio cliente più giovane aveva 65 anni e io ne avevo 30. Dunque, ho iniziato a interessarmi all’arte contemporanea con mia moglie, acquistando come privato. Da lì ho capito che il mondo si sarebbe spostato verso questo tipo di arte, ma soprattutto sentivo che nell’acquistarla mi emozionava sempre di più.

Interni galleria

La sua galleria intende valorizzare le proposte artistiche delle nuove generazioni, ma chi sono questi nuovi talenti? Qual è lo scenario artistico di oggi?

Purtroppo oggi si sta involvendo, perché purtroppo sempre più giovani artisti si propongono al mercato sono con un’idea di guadagno, oppure perché non sanno cosa fare nella loro vita. Una volta gli artisti erano artisti. Pochi sono quelli che si possono considerare veramente artisti. Dunque, sono molto emozionato perché il 9 febbraio inaugurerò una mostra di Pietro Terzini, un ragazzo molto giovane che è già diventato un fenomeno. Dopo aver fatto la scritta sulla Torre la mostra sarà un sicuramente un bel successo soprattutto una “bella energia”, perché quando incontro un artista giovane che mi piace assorbo da lui l’energia per andare avanti nel lavoro.

In un mondo sempre più globalizzato, lei si propone di avere un occhio di riguardo per gli artisti italiani. Secondo lei oggi ha ancora senso parlare di arte italiana?

Dovrebbe avere più senso perché l’arte è italiana, noi siamo la culla dell’arte. Noi collezionisti italiani siamo purtroppo esterofili, valorizziamo poco il nostro e invece molto quello che è estero. Un vero peccato perché noi abbiamo grandi talenti che non riescono ad entrare nel sistema e vengono poco valorizzati.

Pietro Terzini (foto Corriere)

La sua galleria sembra fuggire quel senso di snobismo che caratterizza molti ambienti artistici, soprattutto quelli contemporanei. Lei d’altronde ha sempre amato costruire ponti piuttosto che erigere trincee intellettuali, vuole fare un invito a qualche curioso?

Innanzitutto invito tutti a venire nella mia galleria e confrontarsi con me. Io detesto l’arte spiegata, preferisco l’arte che si possa godere. C’è a chi può piacere oppure no, ma anche ciò che non ci piace può essere arte. Ma voglio dire soprattutto che l’arte non può e non deve essere il gioco di pochi.

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