La recensione de La tragica storia del dottor Faust, andato in scena al Teatro alla Tosse di Genova. Lo spettacolo si sposta dal 16 febbraio al Teatro Fontana a Milano
Appena ci si siede in sala ci si rende subito conto che non si assisterà ad un allestimento tradizionale del Faust. Lo spettacolo La tragica storia del dottor Faust che dal 19 al 21 gennaio è tornato in scena nella sala Agorà del Teatro alla Tosse infatti non prevede sipario e neanche un palcoscenico. Quello che il pubblico ha di fronte è un teatro dei burattini davanti al quale c’è uno spazio risicatissimo, dove è chiaro potranno agire in non più di due persone. Saranno così Francesca Mazza, attrice due volte Premio UBU, ed Edoardo Sorgente, giovane attore di talento, a condurre il gioco, burattini umani (nei movimenti e nel gesto) a cui il regista trentunenne Giovanni Ortoleva affida il testo di Marlowe riducendolo a due personaggi che lo tramutano più in commedia che tragedia.
Lo spettacolo che dopo Pordenone, Firenze, Reggio Emilia e Genova proseguirà la tournée a Milano dal 16 febbraio al Teatro Fontana, appare troppo scarnificato e vede scontrare la morality play medievale con la complessità della tragedia arrivando ad una sintesi parodistica senza alcun timore reverenziale nei confronti del testo del 1590, ritenuto per altro la prima rappresentazione teatrale delle leggenda di Faust.
Ortoleva attraverso questa messa in scena dà un valore politico alla “tragica storia di Faust” facendo incontrare Marlowe con il nostro tempo. Faust parla di libertà di scelta e di pensiero, di quanto si sia padroni delle nostre azioni. Faust è vittima di un inganno, convinto di poter diventare padrone degli elementi, e la sua vera colpa non è tanto vendere l’anima quanto non riuscire a pentirsi del suo tragico errore. In fondo chi altro è il diavolo, se non noi stessi? Ortoleva fa apparire Faust poco saggio, un uomo, qui per altro interpretato da una donna (perchè?), che non pensa altro che ad accrescere i suoi investimenti, diventare sempre più ricco, tralasciando il fatto che la vera conoscenza non sta lì. Per 24 anni girerà il mondo guardandolo dall’alto come se fosse in una navicella spaziale da dove osserva il futuro che sarebbe il nostro tempo, gli anni 2000, dove non esistono più valori, gli emigrati muoiono in mare, la guerra non c’è ma è alle soglie e la religione, in mano a vescovi pedofili e al papa, è una beffa. Insomma un mondo assai brutto che gli sembra un inferno ancor prima di finirci veramente. La sua bulimia di tutto lo rende un personaggio tanto paradossale da sconfinare nella macchietta e quindi nel comico. Wagner, il suo fido servitore, è la figura migliore, quella più vera che fatica un po’ a stare dietro alle manie del suo padrone, ma che fuori dal teatrino si muove come un essere umano. Solo vicino a Faust si adatta al ruolo e si burattinizza.
La messa in scena passa da un registro aulico-seicentesco ad una forma colloquiale contemporanea, dalle tinte satiriche. Vengono toccate le solite tematiche che portano all’ilarità più che alla riflessione con attacchi gratuiti come nel caso di Papa Francesco, che non sembrano piaciuti a tutti. In questa carrellata di vizi, incongruenze, ingiustizie forse si sorride, ma dov’è rappresentata l’idea di Hybris di Marlowe che indica l’impossibilità per l’uomo di conoscere tutto? Benché Faustus non agisca mai nella direzione “giusta” della redenzione, Marlowe sottolinea come la scelta di tornare indietro sui propri passi sia sempre disponibile per lui. Dov’è quella storia paragonabile, e paragonata all’interno della stessa opera, al mito greco di Icaro? Anche lui come Faust era stato avvertito del pericolo in cui poteva incorrere qualora fosse andato oltre i limiti imposti, ma la voglia di libertà e l’illusione della propria invincibilità ebbero la meglio sul suo giudizio, e di fatto lo condannarono alla morte. Ma la lettura di Ortoleva sembra sorvolare, privilegiando scelte diverse. Se qualche volta riscontriamo dell’acume negli scambi tra i due attori, prevale il gusto per la battuta cabarettistica, salace sì, ma che percorre sentieri già battuti.