L’altro giorno mia moglie ha sommessamente borbottato, a proposito del Giorno della Memoria, che a volte bisognerebbe imparare a dimenticare. In realtà citava suo padre, un uomo che a suo modo ha combattuto in silenzio, con dignità e forse con sana incoscienza. Una volta era stato invitato in una scuola a parlare del suo vissuto durante la guerra. Lasciò i ragazzi stupefatti per l’arguzia sorridente che improntava la sua narrazione, e la sua personale memoria degli eventi terribili che pure aveva vissuto in prima persona.
Il padre di mia moglie Nicoletta si chiamava Franco Laudi. In cuor suo, sotto sotto, non mi amava, in quanto gli avevo portato via la figlia preferita, anima della sua anima. Il fatto è che sapeva e ricordava tutto, eccome, ma che aveva voluto esorcizzare la memoria con la consapevolezza del qui e ora, e con la felicità immensa dell’immediato dopoguerra, quando era tutto finito. Soprattutto con la consapevolezza senza sensi di colpa di essere riuscito a sopravvivere e a salvare la moglie e le due figlie.
Torinese, ebreo laico, liberale convinto, non fu mai fascista, come invece lo furono molti suoi correligionari prima delle leggi razziali. Quando Nicoletta gliene chiese le ragioni, rispose facendo spallucce: “Ho sempre odiato le divise, sono così ineleganti!” Per tutta la guerra usò una carta d’identità del tutto autentica con la dicitura “Franco Landi – razza ariana”. Con un’incredibile faccia di bronzo – coincidenza fortunata era che il suo cognome scritto in corsivo appariva facilmente come Landi – andò, non so bene quando, dai carabinieri a denunciare la perdita della carta d’identità e a farsene dare una nuova.
Nicoletta sostiene che non era particolarmente coraggioso, ma che semplicemente non aveva mai paura. Un bel sangue freddo insomma e, non a caso, un appassionato giocatore di carte. Fra 1940 e il 1943 viveva con sua moglie e la prima figlia a Bologna. Una volta attraversò la città sotto una pioggia di bombe. Non volle scendere nel rifugio più vicino. Voleva tornare a casa, da sua moglie e sua figlia. Ci arrivò illeso. Quel rifugio invece fu colpito in pieno.
Dopo l’8 settembre, e quasi senza un soldo, si nascose nella vicina Marzabotto dove, grazie ai suoi eleganti pantaloni che usava come moneta di scambio, non fece mai fare la fame alla sua famiglia. E proprio lì a Marzabotto, il mattino del 28 dicembre 1943, nacque la mia futura moglie, in condizioni del tutto precarie, e fece lui da improvvisata levatrice alla sua consorte, non fidandosi troppo di una donna del paese.
Lo raccontava così, ricorda Nicoletta: “Ti ho vista uscire veloce come una palla, e ti ho presa al volo!” Evidentemente l’incoscienza per amore è premiante, dato che poi tutti e quattro riuscirono a tornare a Bologna, evitando per un pelo il rastrellamento tedesco del 29 settembre 1944, quando i 1830 abitanti di Marzabotto furono trucidati – chiusi e bruciati vivi nella chiesa del paese – dalle SS di Albert Kesserling. Venne poi conferita la Medaglia d’oro della Resistenza a Marzabotto, e un pochino quindi anche a Nicoletta – papà Franco glielo diceva spesso con amore orgoglioso – che fu anche fintamente battezzata in chiesa con la complicità, credo, del parroco; oppure davvero da qualche pia donna del paese che pensava non sarebbe mai sopravvissuta, piccola e magrolina com’era, e con gli occhi azzurri chiarissimi, quasi bianchi.
Sul fatto – anche se solo presunto – pare che i miei suoceri abbiano sempre commentato: “Male non ha fatto, e magari è anche servito a proteggerci!”. Franco Laudi non amava il Giorno della Memoria, perché amava la Vita. È morto sereno a 89 anni, è stato seppellito il giorno del suo compleanno. Mia moglie, dopo il funerale, ha voluto stappare lo champagne che doveva festeggiarlo e brindare alla Sua Memoria.