A dieci anni dalla fondazione del suo brand lo stilista e designer Sylvio Giardina dialoga con il capolavoro dell’architettura rinascimentale cinquecentesca
“Attraversamento” è forse la parola chiave per definire l’evento one shot dello stilista e designer Sylvio Giardina a dieci anni dalla fondazione del suo brand. Un evento che si è tenuto nei giorni scorsi all’Ambasciata di Francia, con il supporto di Archeometra, società tesa alla valorizzazione dell’arte e del patrimonio culturale italiano. Tre gli ambienti coinvolti al piano nobile di Palazzo Farnese per /gal-le-rì-a/, una serata esclusiva di presentazione della collezione haute couture SS23. Accompagnata da due performances ispirate agli abiti dello stilista dell’etereo. Con allieve dell’Accademia Koefia, eccellenza nella formazione dei mestieri dell’Alta Moda a Roma.
La Sala Ercole Farnese, con il suo michelangiolesco soffitto ligneo a cassettoni, ha ospitato “un grande telaio sospeso come una ragnatela”, ha commentato il curatore Alessio de’Navasques. Due pazienti tessitrici, infatti, alle prese con ago e filo, cucivano cristalli e decori su un vasto lembo di tulle teso, sotto al quale era possibile camminare per una fruizione stellata e visionaria. Solo attraversando un corridoio nel quale confluivano suoni terracquei e oniricheggianti si poteva raggiungere la Galleria di Murano. Ospitante sei abiti simbolo della collezione, in un tourbillon di gazar, duchesse, mikado, tulle, pizzo francese. Lavorati tutti con tecniche sartoriali ispirate all’indefinitezza e alla sottile stratificazione.
Cromie rarefatte
I grandi lampadari muranesi della Galleria, le cui ombre disegnavano decori ulteriori alle pareti, incorniciavano i modelli di Giardina, dalle cromie rarefatte, tra gonne d’alba e tubini di rugiada, nei colori del verde salvia e verde acqua, argilla ed avorio, rosa quarzo e cipria. Sino all’ultima veste contrastiva, in bianco e nero. Sei sogni fioriti da indossare, tra volute e tagli vivi, pieghe, ricami e plissettature.
Molta curiosità hanno destato gli accessori, vistosi e tuttavia leggiadri, d’ispirazione botanica, che Giardina ci racconta così: “gli orecchini di cristallo rappresentano dei microcosmi. Le piante che vi sono contenute sono state fatte crescere all’interno delle capsule, dalle quali poi cominceranno ad uscire. È un modo di raccontare la natura che entra dentro Palazzo Farnese attraverso delle velature, delle atmosfere… Tutto è stato trattato in maniera estremamente impalpabile. La natura vi entra e piano piano si definisce un’idea che arriva fino al bianco e nero dell’abito infondo, che rappresenta la cessione della luce”.
Ago e filo
Superata l’esposizione degli abiti, attorno ai quali era lecito girare infinite volte a cogliere dettagli, strascichi e geometrie, si poteva accedere alla Galleria dei Carracci, dove, sotto la volta con il Trionfo di Bacco ed Arianna, otto ricamatrici lavoravano ad un telaio speculare all’affresco. Oltre a perline di vetro, le instancabili intessevano anice stellato ed altre spezie profumate, richiamandosi anche al Carme 64 di Catullo, che descrive il telo nuziale di Peleo e Teti.
Senza mai sollevare lo sguardo, coinvolte totalmente nel lavoro, concentrate a tal punto da dare l’idea di voler ricamare con la propria arte “i segreti di solidi platonici e le proporzioni auree”, nelle parole del curatore, il quale ha messo in luce qualcosa di autentico e sfuggente: “dalle tracce di fili trovate nella grotta di Lascaux al glorioso dramma guerresco della conquista normanna dell’Inghilterra nell’arazzo di Bayeux, la storia è stata scritta anche con ago e filo”.
Made in Rome
I telai delle performances site specific ai quali hanno lavorato le ricamatrici sono stati realizzati dalla falegnameria sociale K_Alma, un progetto di formazione e inclusione per migranti, richiedenti asilo e persone con fragilità economica. Giardina ha tenuto a specificare che: “tutto il lavoro è stato fatto, progettato e ricamato a Roma. Quindi questo è più che un Made in Italy, è un Made in Rome. Abbiamo qui una forza lavorativa importante che va mantenuta e sostenuta”.
Sylvio Giardina, nato a Parigi, ma di origini siciliane, è uno stilista in linea con i tempi. Gli abbiamo chiesto cosa ne pensi della voga crescente per il cross-collecting, per le arti performative, per il trans-artistico e il multidisciplinare che ancora oggi molti artisti vedono come qualcosa da tenere a distanza, sollevando muri tra un’arte e l’altra: “io credo che un creativo debba lavorare su fronti diversi, mescolare, miscelare le arti, i linguaggi, le tecniche: lo faccio da anni. Non bisogna avere limiti, questo è importante e io l’ho sempre messo in pratica nella curiosità del mio esprimermi. Non sono d’accordo con chi mette dei paletti, la creatività non può e non deve avere limiti e chi li impone sbaglia e va punito”.