C’è chi sostiene che anche nell’arte solo l’intelligenza artificiale è capace oggi di produrre novità rivoluzionarie
Alla fine di agosto dell’anno scorso, l’artista Jason Allen ha vinto un concorso della Colorado State Fair con “Theatre d’Opera Spatial”. Che è in realtà un prodotto di “fotografia manipolata digitalmente”, attraverso l’uso di un algoritmo di sintetizzazione delle immagini generato dal software di intelligenza artificiale Midjourney. Allen ha detto che “l’intelligenza artificiale è una tecnologia distruttiva, non ci sono dubbi. Essendo una creatura pericolosa, bisogna rispettarla e forse persino tenerla a bada, ma questo non vuol dire che non possiamo apprezzarla”. E comunque può già essere un affare.
Il 23 ottobre 2018, nella casa d’aste Christie’s, era stata venduta per 432.500 dollari un’opera intitolata Edmond de Bélamy, che ritrae un gentiluomo francese ottocentesco, dall’aria melanconica, tutto vestito di nero. La firma dell’autore è molto lunga e alfanumerica, perché è la formula algebrica dell’algoritmo con cui è stato realizzato questo lavoro, un volto dai tratti indefiniti, in uno stile dai richiami surreali, onirici, quasi lisergico, allucinato.
Generative Adversarial Network
Dietro l’algoritmo però ci sono degli esseri umani, in questo caso i tre componenti del collettivo francese Obvious, che poi alla fine sono dei tecnici che posseggono conoscenze non solo tecnologiche. Per arrivare al quadro finale sono stati inseriti nel sistema 15mila ritratti dipinti tra il XIV e il XX secolo, che le due reti del Generative Adversarial Network hanno selezionato in competizione fra di loro. Non è l’unico modo in cui lavora l’intelligenza artificiale nel campo dell’arte, ma è in ogni caso uno dei più sofisticati. Il problema comunque non è questo. La rapidità con cui le nuove tecnologie rivoluzionano il mondo non ci lascia il tempo di capire cosa sia giusto e cosa sbagliato. La verità è che quando lo capiremo sarà troppo tardi.
L’intelligenza artificiale sta già entrando nella scuola, e nelle abitudini di vita comune. Addirittura il ChatGpt, un nuovo modello di Generative Pretrained Transformer di OpenAl, permette di ottimizzare l’interazione con l’utente umano, attraverso tecniche di apprendimento automatico. E ha suscitato grande interesse per le risposte dettagliate e articolate che fornisce. Questa macchina è in grado di darti qualsiasi forma di aiuto, può scrivere un tema o un articolo su qualsiasi argomento (a che serviranno più i giornalisti?). Il Dipartimento per l’Educazione di New York ne ha immediatamente vietato l’uso “a causa dei timori per l’impatto negativo sull’apprendimento degli studenti”. Dopo la Grande Mela anche Los Angeles ha preso la stessa decisione. E in Italia molti insegnanti hanno esternato la medesima preoccupazione.
Fu vera arte?
Giampiero Nicoletti sulla Stampa ha espresso invece tutta la sua contrarietà a questi divieti: “La scuola deve accettare che il mondo sta cambiando. Gli studenti hanno scoperto Chatgpy infischiandosene del merito e forse anche di essere istruiti. La soluzione non potrà certo essere quella di bloccare, impedire, inibire”. Il futuro ha sempre ragione, il senso del commento è un po’ quello. Midjourney, Gan e affini ci dovrebbero far riflettere sul ruolo, e sul loro avvenire, che i mestieri di concetto hanno nella nostra società. Quali sono destinati a estinguersi e quali invece potranno sopravvivere grazie a un giusto uso delle nuove tecnologie. Esiste comunque un futuro prossimo e un altro più lontano. Nella Storia a volte si torna indietro, anche nel futuro. Ma l’arte l’ha mai fatto?
Ci sarebbe da chiedersi a questo punto se l’arte creata dall’intelligenza artificiale sia vera arte. Il critico Mike Pepi sosteneva che i notevoli risultati raggiunti da alcuni sistemi di intelligenza artificiale sarebbero traguardi tecnologici più che creativi. E non fanno assolutamente di un’immagine generata da una rete neurale un’opera d’arte. Mario Klingemann, artista tedesco tra i pionieri e i sostenitori del movimento artistico dell’intelligenza artificiale, in un’intervista al Guardian ha spiegato in pratica che il cervello umano rielabora qualcosa che già esiste. “Noi possiamo soltanto reinventare, facciamo connessioni attraverso cose che abbiamo già visto”. La macchina no, lei può creare da zero.
Capire il futuro
Le macchine hanno il vantaggio sull’uomo di poter aver accesso in un attimo all’intera enciclopedia della cultura digitale e poterla esplorare senza limiti temporali, linguistici o mentali. E siccome inventano dal nulla, solo loro possono produrre novità rivoluzionarie. Se gli algoritmi dell’AI hanno ridefinito il concetto di intelligenza, rendendolo capace addirittura di superare il limite umano, perché non potrebbe succedere la stessa cosa con la creatività?
“Qualsiasi cosa può essere arte”, disse il critico Thomas McEvilley al New York Times. E anche William Ruby, ex direttore della sezione pittura e scultura del MoMa disse più o meno la stessa cosa: “Non esiste una singola definizione di arte”. La verità forse è che non si può definirla perché l’arte stessa è una invenzione umana. E mentre cerchiamo di identificarla con una parola che la rappresenti in maniera condivisa e non ambigua, essa è già cambiata, si è come rinnovata adeguandosi ai tempi. L’impressione è che non possiamo far niente contro il futuro. Potremmo solo cercare di capirlo prima. Se ci riusciamo. Ma fino a che punto saremmo in grado di convivere con un mondo che non ci appartiene? In questo secolo la nostra vita è cambiata così rapidamente che molti di noi rischiano di restarne esclusi. Appartiene ai nostri figli, al loro futuro.