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Troppi tagli a Spettri di Ibsen nella versione del regista lituano Rimas Tuminas

Gli Spettri di Ibsen. La rilettura Tuminas/Paravidino è in scena fino a domenica 5 febbraio al Teatro Ivo Chiesa di Genova

Scritto nel 1881 fra Roma e Sorrento, Spettri incontrò all’epoca l’opposizione della società norvegese, tanto che la prima rappresentazione avvenne a Chicago l’anno dopo e la Svezia lo mise in scena solo nel 1883, perché il lavoro di Ibsen era considerato troppo critico nei confronti della borghesia di quel Paese.

Il testo, organizzato su tre atti, classificato come dramma borghese, si inserisce nella seconda fase della drammaturgia di Ibsen, dove l’individuo è schiacciato dagli obblighi borghesi e non sembra avere alcuna possibilità di uscita.
Lo spettacolo in questi giorni al Teatro Ivo Chiesa di Genova, una produzione firmata Teatro Stabile del Veneto e diretta dal regista lituano Rimas Tuminas, ha ridotto i tre atti in un atto unico (adattamento ad opera di Fausto Paravidino) proponendone una versione troppo scarnificata che tralascia punti salienti del dramma ibseniano. Uno di questi, assolutamente fondamentale, l’incendio dell’orfanotrofio.

Possiamo dedurre che il fumo che davasta il palcoscenico dall’inizio alla fine, provocando anche qualche colpo di tosse agli spettatori delle prime file, abbia il significato di un’evocazione di quell’incendio, ma potrebbe invece semplicemente rispecchiare il tempo nebbioso che sovrasta i luoghi dove si svolge la vicenda. Chissà…Fatto sta che il tutto si svolge all’interno di casa Alving, dove predomina il colore nero. Solo sulla parete di fondo vi è un grande specchio ancorato a tiranti che si muove in alcuni momenti danzanti.

Regna il mondo delle ombre, quegli spettri menzionati dalla protagonista, qui l’attrice Andrea Jonasson, che non vanno via perchè è impossibile che le verità nascoste non incombano come un temporale, in una sorta di resa dei conti. La rilettura Tuminas / Paravidino mette un po’ troppo da parte i personaggi della giovane Regine e del vecchio Jacob Engstrand, privilegiando quelli di Helene Alving, il figlio Osvald e il pastore Manders. E così all’interno di quel salotto arredato con una mobilia alto borghese, finalmente, in “una notte buia e tempestosa”, escono fuori tutte le storie di tradimento, la malattia, ma soprattutto tanto perbenismo e malanimo.


I dialoghi del testo vengono asciugati, viene soprattutto ridotta la ricca parte di racconto che Ibsen destina a Helene. I tempi teatrali invece appaiono lunghissimi, il che ci riporta ad alcuni film di Ingmar Bergman. Senza dubbio una scelta registica che potrebbe anche considerarsi efficace se non penalizzasse eccessivamente alcuni importanti passaggi. Accennato appena il tema dell’incesto, scegliendo un figlio che vuole fare di sua madre una Madonna. Nella scena finale infatti Osvald le fa indossare un velo inequivocabile. Sarà questa donna ricca di pietas a cui il ragazzo, oramai saturo di una vita infelice divenuta insopportabile anche a cuasa dalla malattia mentale ricevuta in eredità dal padre, chiederà un estremo atto di bontà: una fiala di morfina.

L’allestimento firmato da Adomas Jacovskis rispecchia l’esito totalmente negativo del testo di Ibsen a differenza di quanto accade nei Pilastri della società e in Casa di bambola in cui lo svelamento porta invece ad esiti positivi. Lo stesso Ibsen in una lettera del gennaio 1882, scrive: «Spettri non si cura di proclamare un bel niente. Segnala solo che il nichilismo fermenta sotto la superficie» . E questo è ciò che accade quando il nichilismo, nella prospettiva moraleggiante del drammaturgo norvegese, erompe alla luce del sole. Non c’è via di scampo.

Colonna sonora dello spettacolo le bellissime musiche del Valzer Triste di Sibelius, breve composizione (circa sei minuti), che descrive meravigliosamente la grandiosità del paesaggio scandinavo. Misteriosa e allo stesso tempo generosa, la musica si concede lentamente, poi quando entrano i due fiati, flauto e oboe, in un raddoppio quasi mozartiano, è come se l’avessimo da sempre nella nostra vita. E’ dentro queste note che i due ragazzi, Osvald e Regine, danzano la loro gioia di vivere. Ma purtroppo resta un sogno: non potranno sposarsi mai in quanto fratello e sorella.

Per quanto riguarda la prestazione attoriale possiamo dire bene di tutti, da Andrea Jonasson a Fabio Sartor (il pastore Manders), da Eleonora Panizzo, che interpreta una fresca Regine, a Giancarlo Previati che è un bieco Jacob Engstrand. Convincente anche Gianluca Merolli, interprete di Osvald, un ruolo certo non facile.  Aggiunge anche con bella voce tenorile il celebre brano “Ridi, Pagliaccio” dalla famosa opera di Leoncavallo. Peccato però che spesso cada nella cocina romanesca dimenticando la rigorosità della dizione richiesta ad un attore teatrale.
Lo spettacolo rimarrà in scena a Genova fino a domenica 5 febbraio.

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