Quattro autori per il riuscitissimo spettacolo di danza alla Scala in scena dal 3 al 9 febbraio, a Milano. Dawson/Duato/Kratz/Kylián è infatti articolato in quattro titoli nuovi per l’attuale Compagnia, di cui uno è anche una prima assoluta
Ad aprire è Anima Animus di David Dawson in debutto nazionale. Il lavoro di Dawson lo avavamo già apprezzato in A Sweet Spell of Oblivion, che gli artisti scaligeri hanno presentato all’interno della Serata Contemporanea nell’estate 2021, ed ora “Anima Animus”, novità per l’Italia, creato nel 2018 per il San Francisco Ballet sul Concerto per violino n.1 di Ezio Bosso. Un titolo che è un diretto riferimento a Carl Gustav Jung e al lato femminile che sta in ogni maschio e viceversa, e che contiene «il bianco, il nero e tutte le sfumature in mezzo». Il brano sin dall’assolo iniziale, eseguito della splendida e leggiadra Nicoletta Manni, si concentra sulla fluidità fra estremi e opposti. Un assolo che rivela molti dei movimenti distintivi che ricorreranno nel corso del balletto. Bellissime le linee delle arabesques delle danzatrici spesso sollevate da terra dai partners, una danza che segue un movimento continuo, sinuoso evidenziato anche da body e calzamaglia bianchi. La musica di Ezio Bosso sembra nata apposta per questo pezzo arduo dal punto di vista tecnico ma che l’ensemble (per la replica del 4 febbraio) composta oltre alla citata Manni, anche da Maria Celeste Losa, Gioacchino Starace, Rinaldo Venuti, Mattia Semperboni, Christian Fagetti, Alessandra Vassallo, letizia Masini, Linda Giubelli e Marta Gerani, esegue perfettamente. Un balletto che mette in luce l’abilità dei danzatori offrendo al pubblico la piacevolezza delle armonie. Le note di Bosso sono tramutate in movimenti o potremmo dire il contrario: corpi che traducono le note. Quello che resta è pura bellezza di linee e suoni per la gioia di occhi ed orecchie.
A seguire Remanso di Nacho Duato, sui Valses poéticos di Enrique Granados, unico brano la cui musica è eseguita dal vivo dall’abilissimo pianista giapponese Takahiro Yoshikawa. Un brano creato nel 1997 per l’American Ballet Theatre, per Vladimir Malakhov, e qui ripreso da Roberto Bolle insieme a Domenico di Cristo e Darius Gramada. Una successione leggera di assoli, duetti, e terzetti, una conversazione complice fra tre danzatori, tanto fragili, quanto atletici, ma anche teneri e giocosi. Una coreografia che gioca sulla geometria delle linee, dinamica nello spazio e nelle forme che entra nel repertorio del Balletto della Scala a pieno titolo. Tanti gli applausi per Bolle, ma non erano da meno di lui i colleghi Di Cristo e Gramada.
Il terzo brano prevede la creazione di Philippe Kratz Solitude Sometimes, in prima assoluta. Il balletto scaligero ha già avuto l’occasione di interpretare il genio di Kratz nel trio da SENTieri. In questa nuova creazione leggiamo il ciclo della vita, la forza di rinascere dell’uomo evidenziata dalle sonorità elettroniche di Thom Yorke e dei Radiohead. Qui Philippe Kratz si immerge nella mitologia egiziana per una risalita verso la luce. Ne nascono assoli, duetti, piccoli gruppi, file nati da sottili rimandi sottotraccia e figure dell’Amduat, che per Kratz diventa l’occasione per lavorare sulla ciclicità collettiva di un rito di passaggio. 14 i danzatori scelti tra cui rivediamo con piacere Nicoletta Manni assieme a Camilla Cerulli, Alessandra Vassallo, Stefania Ballone, Linda Giubelli, Timofej Andrijashenko, Domenico Di Cristo, Saïd Ramos Ponce, Frank Aduca, Andrea Crescenzi, Gioacchino Starace, Rinaldo Venuti , tra cui spiccano Navrin Turnbull e Andrea Risso.
A chiudere Bella Figura di Jiří Kylián, creazione del 1995 per il ventennale della sua direzione al Nederlands Dans Theater che rinnova il suo rapporto con la compagnia scaligera. In Bella Figura Kylián esplora la zona di crepuscolo tra arte e artificio, tra realtà della vita e fantasia e che ha a che fare con l’idea di ben comparire, mostrare il volto migliore, cosa che vale per ognuno di noi e, a maggior ragione, per chi è sul palco come i danzatori. Bellezza come necessità di contrasto al dolore e alla bruttezza della realtà in cui il più delle volte ci troviamo immersi. Le suggestioni musicali del Sei e Settecento, da Giovanni Battista Pergolesi ad Alessandro Marcello, Antonio Vivaldi, Giuseppe Torelli, fino a Lukas Foss toccano nell’intimo mentre la danza di Kylián vola e nuota dentro queste note. Bravissimi tutti i danzatori scelti dal coreografo: Stefania Ballone, Chiara Borgia, Chiara Fiandra, Giulia Schembri, Benedetta Montefiore, Emanuele Cazzato, Andrea Crescenzi, Matteo Gavazzi e ancora una volta Andrea Risso. Ognuno di loro segue abilmente la concatenazione dei vari passaggi coreografici come in una dissolvenza tra una fase e l’altra. Purezza e sensualità si alternano nella scioltezza delle membra, uomini e donne uniti nella diverstità . La seminidità diventa un costume, bello ed elegante come lo sono i corpi dei danzatori.
Spettacolo di grande pregio per cui bisogna senz’altro fare un plauso al Direttore Manuel Legris che sempre di più sa cogliere nel giusto sia per quanto riguarda i ruoli dei ballerini del corpo di ballo che dirige che nei gusti del pubblico oramai avvezzo a vedere in Scala prodotti di assoluta qualità.