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Intervista a Zachari Logan: tra natura, queerness e autoritratti

“Wildman N. 3”, pastello blu su mylar, 2013. Collezione Saskatchewan Arts Board. Courtesy dell’artista
“Wildman N. 3”, pastello blu su mylar, 2013. Collezione Saskatchewan Arts Board. Courtesy dell’artista

L’autoritratto più essere considerato un po’ il fil rouge della tua produzione sin dagli esordi. Quello rappresentato è il reale Zachari o una proiezione ideale? 

Lo Zachari dei primi lavori è la controfigura di un ideale, personifica la mia indagine sulle rappresentazioni di mascolinità e queerness nell’arte contemporanea, e di come il valore storico di tali rappresentazioni influisca sull’ideale del corpo maschile. In alcuni lavori ho raffigurato figure maschili le cui pose fanno chiaro riferimento ai canoni storici, mettendone però in discussione la sessualità. I miei primi lavori non sono autoritratti convenzionali nel senso che non sono riproduzioni di me e della mia vita,  piuttosto sono proiezioni di nozioni di carattere filosofico in cui mi rivedo e che ho poi riflesso su di me, sulla carta. Spesso guardo i protagonisti delle opere di propaganda di Jean-Louis David, uomini combattenti e morenti, ma sempre incredibilmente belli e affascinanti. Mi interessa la carica erotica concentrata nelle sue figure maschili e di come tale carica conviva sulla tela insieme a violenza, morte e sofferenza. 

Negli Zachari più recenti entra in gioco la natura. La mia è una presenza–non presenza, alle volte nascosta nel paesaggio, o più surrealisticamente immersa nello spettacolo che è la natura stessa. L’indagine si sposta sulla psiche come rappresentazione più realistica della persona rispetto al corpo. 

“Invincibili”, grafite su carta, 2008. Courtesy dell’artista.

Come si è evoluta la tua arte nel tempo? Prendiamo i soggetti, per esempio: sono rimasti per lo più invariati? E se sono cambiati, sono cambiati insieme a te? Come sviluppi la tua ricerca e le tue idee?

Il catalizzatore delle mie idee è sempre il mio corpo. Al centro del mio lavoro c’è sempre stata in parte una ricerca a mia immagine-somiglianza, e in qualche modo lo è ancora, ma ci sono anche grandi cambiamenti in termini di immagine e contesto. Recentemente mi sono interessato a questioni di ecologia e psiche umana, e vedo il corpo come un’estensione ineludibile del paesaggio. Lavoro soprattutto sul mio corpo: reinserirlo nella natura selvaggia e incontaminata, riportarlo quindi a uno stato primario e naturale, come espressione di queerness vuol dire sovvertire le nozioni di identità sessuale e della sua rappresentazione convenzionale nell’arte, ribaltando l’influenza che tale rappresentazione continua ad avere sull’idea di sé e di bellezza. È molto importante approfondire la mia ricerca studiando e citando artisti e collezioni d’arte storiche.

“Arazzo Eunuco N. 5” (dettaglio), pastelli su carta nera, 2013. Collezione della Galleria Nazionale del Canada, courtesy dell’artista.

Da un certo punto in poi la natura è diventata effettivamente predominante. Qual è il tuo interesse e la tua relazione con essa?

Il corpo è terra, la terra è persona, la persona è politica. Per me l’uomo non è altro che l’estensione del paesaggio, per nulla diverso da qualunque altro essere sul pianeta.  Mi interessa mettere in discussione le gerarchie sociali all’interno delle quali mi trovo. Gerarchia e ideologia sono due concetti per me strettamente legati, che portano l’uomo a minacciare continuamente gli equilibri naturali e, di conseguenza, la qualità della nostra vita.

Hai menzionato il termine gerarchia sociale. Se l’uomo è parte stessa della natura, credi ci siano delle gerarchie alle quali l’uomo è sottoposto e a cui la natura sfugge, o viceversa?

È curioso come le gerarchie legate alla società umana crollino nel momento stesso in cui si guarda a quella animale, a come gli animali vivono le relazioni tra simili e con i propri corpi. Osservare ed esplorare il mondo naturale, in tutte le sue componenti di omosessualità e queerness, le sue abitudini e comportamenti sessuali è per me una fonte di ispirazione.  Omosessualità, bisessualità, eterosessualità (e tutto il bagaglio che ciascuno di questi termini porta con sé), appartengano alla natura nella sua interezza e, quindi, anche all’essere umano. Per ragioni religiose e convenzioni sociali, ad un certo punto l’uomo ha arbitrariamente etichettato l’omosessualità come devianza innaturale e l’eterosessualità come unica possibilità naturale. Tuttavia, se osserviamo le diverse società della natura, ci rendiamo presto conto di quanto irragionevoli siano queste etichette.

“Eiaculazione”, dalla serie “Enigmi”, ceramica e acrilici, 2019. Courtesy dell’artista.

Ti esprimi principalmente con il disegno e la ceramica, cosa ti lega a questi media? 

Sono sempre stato un disegnatore. Ciò che mi attrae maggiormente credo sia l’immediatezza del mezzo, la sua semplicità e la sua versatilità, la sua capacità di essere tante cose. Il disegno è incredibilmente poliedrico ed è anche un processo che ha implicazioni sul corpo. Vedi, quando disegno strofino continuamente le dita sulla carta, iniziano a scottare e a volte anche a sanguinare: è un processo intrinsecamente fisico, che impegna il mio corpo e la mia mente in egual misura. Il mio uso della ceramica è simile, la considero un’estensione del mio disegno, lavoro sull’immagine, sulla memoria e sull’intuizione con le mani e la mente, a prescindere dal materiale e dal supporto con cui sto creando. Mi piace pensare ai miei disegni come a delle sculture e alle mie opere in ceramica come a dei disegni che superano la bidimensionalità. 

Zachari Logan con dettaglio di “Esta selva selvaggia”, courtesy dell’artista.

Zachari Logan (Saskatoon, 1980), attraverso disegno, ceramica e installazioni su larga scala, sviluppa un linguaggio visivo che esplora le intersezioni tra mascolinità, identità, memoria e luogo. Espone in mostre collettive e personali in tutto il Nord America, Europa e Asia, e le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in tutto il mondo, tra cui la National Gallery of Canada e il Leslie-Lohman Museum (NYC).

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