Ispirato dal misticismo cristiano, dallo spiritualità orientale, affascinato dalla storia dell’arte e dai comportamenti umani, trasferiti su schermo dilatando il tempo e la percezione, facendosi pittura: ecco Bill Viola, che torna in Italia con l’antologica a Palazzo Reale di Milano
A Milano la videoarte torna a Palazzo Reale con la mostra antologica di Bill Viola (New York, 1951, di origini italo-americane), promossa dal Comune di Milano-Cultura, prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia con la collaborazione di Bill Viola Studio. È la prima esposizione milanese di un maestro indiscusso del rallentamento, incentrata su 15 opere più significative della sua produzione dagli anni ’70 a oggi, a cura di Kira Perov, moglie e manager dell’artista, direttrice esecutiva dello Studio, con la collaborazione di Valentino Catricalà per il catalogo pubblicato da Skira.
Il legame di Viola con l’Italia si percepisce nelle sue opere, oltre al fatto che poco dopo la laurea, a Firenze, l’artista lavorò per diciotto mesi presso art/tapes/22, uno dei primi centri italiani di produzione di video arte.
Viola, musicista, attratto dall’elettronica, nel video trova la poesia delle immagini di luce in movimento in relazione allo spazio e il tempo. Eloquente questa descrizione della dimensione pittorica nel lavoro dell’artista, di Salvatore Settis: “Quello che forse è il più importante, il più immaginativo videoartista oggi attivo, Bill Viola, è –io credo- a ogni effetto un pittore; ha fatto e fa i conti con l’arte (con la tradizione), e nelle sue opere intavola con l’osservatore un dialogo che presuppone il riferimento a formati, temi, forme compositive, gestualità, movimenti e artifici espressivi o narrativi che hanno radici salde e remote nella storia pittorica che lo ha (che ci ha) preceduto”.
La mostra è un omaggio alla pittura del passato e documenta le potenzialità espressiva del video, che nello sguardo umanistico di Viola diventa flusso, movimento costante dell’immagine in cui il suono, la luce, il tempo e lo spazio sono simultanei, quali simbolo di energia vitale.
I suoi ambienti emozionali “violentano” il nostro modo di fruire il tempo all’insegna del mordi e fuggi, dominato dalla fretta di consumare esperienze senza conoscere il valore di ogni istante del nostro vissuto. Sappiate che ciascuna videoinstallazione esposta richiede da un minimo di 10 a un massimo di 30 minuti di fruizione; tempi lenti necessari per immergerci in viaggio interiore meditativo- emozionale, da vivere e non da raccontare.
Dunque prendetevi tempo, abbiate il coraggio di perdervi in un viatico di illuminazione e di conoscenza del significato filosofico –mistico delle sue opere, che in questo oscuro presente sono una consolazione per l’anima. Farete un salto nel buio, e non sottraetevi all’invito di riflettere sulla la morte nella vita, rinascita e ricerca di elevazione spirituale.
Accadrà che, passeggiando per le sale di Palazzo Reale, fagocitati dal buio, vi liberete da un fastidioso presentismo, resterete fermi e in silenzio di fronte ai suoi video-dipinti per entrare dentro, metaforicamente, nell’umanità fragile, compresa tra la vita e morte nella consapevolezza che su questa Terra siamo solo di passaggio.
Ci vuole tempo per abituarci all’estenuante lentezza, al linguaggio espressivo dello slow motion, tecnica di montaggio che comprende il corpo, i gesti in relazione allo spazio, il cambio di percezione del tempo.
Bill Viola, appartiene a una generazione leggermente successiva ai “pionieri” della videoarte, ovvero Nam June Paik, Peter Campus, Frank Gilette e Bruce Nauman, concentrarti più sulla sperimentazione del nuovo mezzo tecnologico. Viola, invece riesce a superare il tecnicismo del video e si concentra sull’aspetto poetico, emozionale e pittorico.
Nella prima sala i cinque pannelli di Chaterine’s Room (2001), mostrano in 18 minuti cinque gesti della giornata di una donna ripresa nella sua stanza, da mattina a sera, evocando una versione laica dell’Annunciazione immersa in una luce mistica, tra Vermeer e le predelle del Quattrocento. È un omaggio alla pittura rinascimentale The Greeting (1995), un incontro casuale di tre donne di età diversa, che inizialmente durava 45 secondi, esteso a 10 minuti, ispirata alla Visitazione di Pontormo (1528-29ca).
L’illuminazione dei trittici o predelle e di singoli schermi, a cura del light designer Francesco Murano, dotato di grande sensibilità luministica-spaziale e di casa a Palazzo Reale, valorizza le immagini in movimento di luce, quasi plasmate dal buio. Incanta Emergence (2002) ispirata al Quattrocento, vista a Palazzo Strozzi a Firenze nel 2017, che richiama il Cristo in pietà di Masolino da Panicale del 1424, dipinto per la Chiesa di San Gallo Giovanni Battista a Empoli, che nella composizione richiama anche la Morte di Marat di Jacques-Louis David, la Pietà Rondanini di Michelengelo, e la Pala Baglioni di Raffaello.
Nel flusso delle immagini Bill Viola svela il suo amore per la grande pittura e scultura del passato, soprattutto medioevale e rinascimentale scoperta sempre a Firenze, dove Viola visse e assimilò composizione, prospettiva, formalismo e cromatismo della pittura italiana. I misteri della nascita e della morte, come i quattro elementi acqua, aria, terra e fuoco, diventano ricorrenti nei suoi video dal 1980 in poi, quando dopo un viaggio in Giappone studia il buddismo zen e scopre il maestro Chung Tzu, che unito alla sua fascinazione per l’arte sacra occidentale, lo portano negli anni successivi a maturare una poetica intimista-umanista che esplora le nostre emozioni, dalla gioia al dolore, all’accettazione del tempo che passa al passaggio dalla morte alla resurrezione, in cui l’acqua diventa elemento simbolico più efficace di tante parole e si vedano i video Ocean Whithout e Shore, già esposti a Venezia nella Chiesa di San Gallo nel 2007, dove Bill Viola aveva dialogato con l’architettura, incastonando i video-dipinti nelle pareti della chiesa sconsacrata, proprio come se fossero grandi pale d’altare.
L’effetto sconvolgente dell’acqua è ancora più immediato davanti a uno schermo largo quattro metri e mezzo e alto due e mezzo: siamo di fronte a The Raff (2004), un clip di oltre 10 minuti e 33 secondi che mostra un multietnico gruppo di 19 persone tra uomini e donne, in attesa forse a una fermata, dove c’è chi legge il giornale, chi parla con il vicino, quando improvvisamente tutti i personaggi vengono travolti da un violento gettito di acqua ad alta pressione che nel complesso non sconvolge la composizione dell’immagine ma genera caos, disordine e spavento. Questa umanità fradicia e fragile, dopo l’onda d’urto dell’inatteso diluvio, accasciata a terra, lentamente si rialza, incapace di arrendersi e trova nelle braccia tese gli uni verso gli altri la forza per resistere alle avversità della vita.
Bill Viola dagli anni ’60 sedotto dall’elettronica come strumento di esplorazione di evoluzione della pittura per una costante esplorazione fenomenologica, attraverso forme di percezione sensoriale quale viatico dell’autocoscienza, ci mostra “architetture delle emozioni”, le cui radici affondano nella spiritualità orientale, nel sufismo islamico e nel misticismo cristiano. Viola concepisce le sue videonstallazioni come se fossero grandi affreschi rinascimentali, cercando di espandere gli orizzonti sia in termini tecnologici che di contenuto, inscenati come ambienti globali. A noi, indolenti argonauti della velocità, naufraghi nelle cultura digitale, con questa mostra (che fa parte di Milano Art Week -11/16 aprile 2023- per Miart) la videoarte -dopo le personali di Bob Wilson, Peter Greenewey, Shirin Neschat e Studio Azzurro- torna a sedurci, capace di includere ricerca e progettazione tecnologica ad alta risoluzione, approcci analitici, riflessivi, contemplativi ed estetici, mediate nuovi strumenti da interpretare come evoluzioni della pittura e scultura.