Visitando lo studio di Andrea Tonellotto ho avuto la stessa sensazione che provo quando guardo le sue polaroid, sia singole che disposte in composizione, e ho respirato quella dolce malinconia che trasporta l’anima in una dimensione sospesa, tranquilla, dove l’artista può permettersi di isolarsi, entrare in connessione con sé stesso e i luoghi che ha visitato e in cui torna più volte negli anni, particolare questo da non dimenticare, perché dietro l’arte di Tonellotto, sono connesse due dimensioni, due modi di procedere , da un lato troviamo l’immediatezza dello scatto, subitaneo, da cui nasce una raccolta di immagini raggruppate durante il tempo, su cui c’è poi un lungo processo di ragionamento, quasi una interiorizzazione dell’esperienza, un lavoro molto complesso ma compiuto senza fretta perché, come dice l’artista “C’è un tempo per tutto”.
Nasce così una narrazione atmosferica, intensa, dove fotografia e pittura si fondono in rimembranze metafisiche. Ritornare nel tempo negli stessi posti per ritrovare le stesse suggestioni, quella continuità che indica che “Questo è il posto” pur nel passare gli anni. Con i lavori di Tonellotto entriamo in una dimensione intima, raccolta, in cui il tempo si dilata e si connette al tessuto emotivo, infatti le fotografie dell’artista sono storie da leggere. E questo grazie anche alla conoscenza e alla gestione di pellicole come quelle delle polaroid, estremamente sensibili alle condizioni atmosferiche, soggette a diverse emulsioni, per cui ci si aspetterebbe di vedere una significativa differenza tra scatti realizzati a distanza di anni, eppure incredibilmente sembrerebbero tutte fotografie scattate nello stesso momento. Nelle diverse serie realizzate, da “London”, a “Tresigallo” passando per “Silent movie” fino a “Nobody”, Tonellottocoglie rimandi cromatici, giochi di luce, forme, geometrie restituendo un racconto dove, a una perfetta armonia compositiva si accompagnano quelle suggestioni in grado di toccare le corde delle emozioni più intime.
La mostra che hai presentato da Glenda Cinquegrana, “This must be the place” (visitabile fino al 25/03/23)è stata un’occasione per poter ammirare alcuni dei tuoi lavori più noti, un viaggio tra i luoghi che/ hai esplorato. Nel tuo peregrinare in questi contesti urbani, durante gli anni, hai percepito come il passare del tempo abbia influenzato non solo i luoghi ma il tuo stesso sentire?
Sicuramente tornare più volte nello stesso luogo mi consente di esplorare alcuni lati che ad una prima impressione, non avevo analizzato…diciamo che entro in confidenza col luogo per cui mi permetto di osare un po’ di più. E’ come quando una persona da conoscente diventa un amico col quale ti permetti di scherzare anche sulle sue peculiarità. Contemporaneamente il luogo stesso si abitua alla tua presenza che diventa una consuetudine, come a Tresigallo dove le persone ti aprono la porta, oppure ti guidano a conoscere angoli o aspetti che solo chi vive tutti i giorni quella realtà può conoscere.
Come mai la scelta di esprimersi con la polaroid, con la quale coniughi l’immediatezza dello scatto con una successiva riflessione? Come si svolge il tuo processo creativo?
Il motivo per cui ho scelto la polaroid è che io sono una persona impaziente…devo avere tutto subito. In realtà, poi, il processo è molto più complesso e si articola in tre fasi principali, tutte molto importanti. La prima fase è quando studio a tavolino il lavoro e la zona in cui andrò a lavorare. La seconda fase è quella più istintiva e divertente, durante la quale vado sul campo e lascio libera la mia fantasia, tanto che quasi mai rispetto il piano che avevo preparato. La terza fase, altrettanto divertente, è quando metto tutte le foto sul tavolo e analizzo il lavoro svolto, vedo le composizioni o le foto singole e decido il volto definitivo del lavoro. Tra la seconda e la terza fase possono passare anche mesi o anni (come nel caso di alcune composizioni in mostra), perchè mi piace guardare le foto quando la fase emotiva dello scatto è ormai dimenticata.
Non possiamo non parlare della serie su Tresigallo, l’architettura razionalista, a te molto cara, vuoi parlarci di questo progetto? Mi hai detto che lo stai portando avanti anche su altre città…
Adoro l’architettura razionalista e sto portando avanti da anni un lavoro su alcune città in cui l’impronta razionalista è molto importante. Tresigallo, la capitale del razionalismo italiano, è stato il primo capitolo di un lavoro che sta diventando molto più complesso di quello che avevo prospettato. Altre città in cui sono già stato sono, ad esempio, Como, Schio, la zona del polesine e del padovano, in cui Quirino de Giorgio ha realizzato molti capolavori. Cercare costruzioni razionaliste mi sta facendo conoscere zone e vicende molto importanti e magari sconosciute della nostra storia e della nostra cultura…è un lavoro che potrebbe non finire mai, ma mi sta dando molte emozioni.
Le atmosfere delle tue fotografie rivelano un interesse per la pittura metafisica, e questo mi fa pensare che i luoghi fisici sono anche spazi della mente, visti attraverso te, trasportati in una dimensione sospesa. Rivedi te stesso dunque?
Bella domanda…Sicuramente, volutamente o anche inconsciamente, tutti gli artisti mettono qualcosa di sè stessi in ogni opera. Quando guardo molte delle mie foto, in particolar modo quelle in cui, come dici tu, si viene trasportati in una dimensione sospesa, provo sempre una sensazione di inquietudine, e io sono molto inquieto…quindi si, rivedo me stesso.
Molti hanno parlato di solitudini urbane riguardo il tuo lavoro, perché non c’è traccia di soggetti umani nelle foto,come mai questa scelta? Che poi a ben pensarci sono luoghi dove fisicamente non c’è l’uomo, ma sono vivi,la presenza umana è comunque percepibile…
Escludo le persone dalle mie foto per scelta. Mi piace quello che le persone riescono a realizzare, ma allo stesso tempo, non mi piace il disordine con il quale rovinano tutto. E’ una piccola protesta contro il disordine “comportamentale” (soprattutto) della gente che mi mette a disagio per cui mi prendo la libertà di escluderlo dalle mie foto.
La serie ”Silent movie” invece è realizzata con semplici oggetti con cui narri una storia.
Talvolta i muri mi fanno mancare l’aria, quindi fuggo nel mio studio nel quale costruisco, solitamente coi cartoncini colorati, dei set nei quali metto in scena quello che la mia fantasia mi suggerisce in quel momento. Di solito i colori sono i grandi protagonisti di questi film silenziosi, e il solo accostamento con luci e ombre, in diverse ore del giorno, sono il punto focale del lavoro. Che poi ognuno guardando il lavoro finito, dia una interpretazione piuttosto che un’altra, mi fa piacere ed è alla base della realizzazione di queste serie, ovvero fornire a chi guarda gli stimoli affinchè la propria mente voli e si senta libera di andare dove crede e dove vorrebbe fosse stata indirizzata…possiamo chiamarlo anche sognare, volendo.
Come vedi l’attuale panorama della fotografia in Italia?
La fotografia in Italia credo stia acquisendo sempre più spazio e si stia affrancando dalla sudditanza nei confronti della pittura. Questa cosa non è scontata in un paese come il nostro in cui il patrimonio nell’ambito della pittura ha pochi eguali nel mondo. La dimostrazione di questo è data sia dalla proposta sempre più ampia a livello di fiere che presentano anche la fotografia tra l’offerta di arte contemporanea (quando non siano addirittura esclusivamente di fotografia), sia il crescente numero di collezionisti che chiedono e acquistano fotografia presso le gallerie, che di conseguenza, cominciano ad annoverare fotografi in maniera sistematica all’interno della loro proposta artistica.
Progetti futuri?
Ho sempre un sacco di idee che metto in cantiere nell’attesa che venga il loro momento. Attualmente i due progetti ai quali sto dedicando più tempo, sono un lavoro con il grande formato e le meravigliose (e ostili) Polaroid 8×10 e un lavoro su Marrakech nato da una residenza artistica presso la Galerie 127 di Marrakech, appena conclusa. In entrambi i casi sono alle prese con qualcosa di nuovo per il mio modo di lavorare, ovvero il formato 8×10 nel primo caso e la cultura nordafricana nel secondo caso. Le novità e il muoversi al di fuori della propria comfort zone, sono uno stimolo eccezionale per il mio processo creativo e credo che ne uscirà qualcosa davvero interessante.
Glenda Cinquegrana Art Consulting
Via Luigi Settembrini 17
20124 Milano
Italia