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Tragedia e cabaret si uniscono ne ‘Il Fenomeno Laplante’ in prima nazionale alla Tosse

foto © Donato Aquaro

IL FENOMENO LAPLANTE, lo strano caso del Capo Indiano Fascista è un racconto a più voci in cui i tre attori si scambiano le parti in un cabaret futurista elettronico in scena al Teatro della Tosse di Genova fino al 2 aprile

«Circa tre anni fa mi capitò tra le mani il libro “Marcia su Roma e dintorni” di Emilio Lussu. L’autore – socialista, pluridecorato della Grande Guerra, deputato – raccontava i giorni che portarono il fascismo al potere. In particolare, ciò che accadde nella “sua” Sardegna.  Quasi a smorzare la tragicità del momento, Lussu accennava a margine dello sbarco di un grande quanto bizzarro capo pellerossa, Cervo Bianco, al porto di Cagliari. Il bagno di folla, l’accoglienza in pompa magna, gli entusiasmi. A quanto pareva Cervo Bianco voleva stipulare una sacra alleanza tra italiani e pellerossa. Negli stessi mesi dell’ascesa di Mussolini appariva così sulla scena un altro “uomo forte”» Con queste parole Maurizio Patella in conferenza stampa raccontò come gli è venuta l’idea del testo che in questi giorni è stato in scena dal Teatro della Tosse con la regia di Emanuele Conte. 

IL FENOMENO LAPLANTE, lo strano caso del Capo Indiano Fascista, questo il titolo della piece, ci descrive questo strambo personaggio che abilmente è riuscito a raccontarla a tutti fingendo quello che non era, truffando tutti, ma anche un generoso benefattore (coi soldi degli altri naturalmente!). A far sì che questa storia bizzara, nell’ambito però di un periodo tragico, diventi divertente e simpatica sono tre abili attori: Luca Mammoli, Graziano Sirressi ed Enrico Pittaluga, che con la loro verve entrano nei vari personaggi della vicenda con arguzia ed ironia. Il Fenomeno Laplante diventa così un racconto a più voci, in cui i tre attori si scambiano le parti in un cabaret “futurista elettronico”, come lo definisce il regista. 

Mentre nell’estate del 1924 l’Italia sta vivendo uno dei momenti peggiori della sua storia, il delitto Matteotti, giunge inaspettata la visita di un capo tribù dei nativi americani: Cervo Bianco (White Elk) della Nazione Irochese, venuto in Europa per portare le rivendicazioni del suo popolo presso la Società delle Nazioni. Ciò che risulta interessante del testo di Patella e conseguentemente della regia di Conte è l’aver saputo giocare bene con questa duplice faccia degli accadimenti.

foto © Donato Aquaro

“Il 10 giugno del ’24 Matteotti era uscito di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio. Mentre percorreva il lungotevere Arnaldo da Brescia, secondo le testimonianze raccolte, un’auto si era ferma ad aspettarlo. A bordo i suoi aggressori identificati, in seguito, come i membri della polizia politica: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Due dei cinque agressori scesero dall’auto e si gettarono addosso al deputato che riuscì a divincolarsi, per questo motivo intervenne un terzo uomo che lo colpì stordendolo. I tre lo caricarono poi in auto, ripartendo a tutta velocità” così racconta come una voce alla radio uno degli attori seguendo pedissequamente i testi di storia. E nel contempo, in un rimbalzo di accuse e scandali, che vedono coinvolte le più alte gerarchie fasciste, il capo indiano aiutato dalla contessa fa la sua trionfale tournèe lungo lo stivale, acclamato dalle folle, adorato dalle donne, accolto come il Salvatore della Patria.

I paradossi del fascismo vengono fuori lampanti nella messa in scena che abilmente congiunge il ridicolo al tragico. E non era forse ridicolo e tragico il fascismo? White Elk è un personaggio carismatico, pirotecnico, non a caso paragonato a D’annunzio. Come il grande vate, anche Cervo bianco le vuole provare tutte nella vita, ma come il poeta immaginifico, anche lui sarà disconosciuto dal fascismo che riconoscendone l’indole e attività truffaldina lo farà rinchiudere in un manicomio. E così White Elk non solo dovrà rinunciare al suo splendido copricapo di piume, ma anche a tutta quella gloria che si era costruito. Del resto “anche la gloria di Mussolini avrebbe dovuto durare non più di tre mesi” (come dice una battuta del testo, più volte ironicamente ripetuta)  eppure sappiamo tutti che non fu così.

Il ritrovamento del corpo di Matteotti avvenne dopo due mesi e fu del tutto casuale: lo annusò il cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza nei pressi delle campagne di Riano. Il cadavere era ormai in fase di decomposizione, quindi per il riconoscimento fu necessaria una perizia odontoiatrica. Una tragedia che sconvolse l’Italia solo paragonabile a quella -di cinquantaquattro anni dopo- del delitto Moro.

IL FENOMENO LAPLANTE gioca bene sui due piani: cabaret e tragedia come aveva fatto il film di Bob Fosse del 1972. Ci riporta la verità della contraddittorietà della storia, un affresco irriverente di un’Italia immersa in un nazionalismo da operetta incoerente e crudele. 

Bravissimi i tre attori che in una prosa incalzante rapiscono il pubblico non solo nelle parti recitate ma anche in quelle ballate, curate da un ottimo coreografo come Gianni di Cicco.

Lo spettacolo che ha debuttatto alla Sala Campana del Teatro alla Tosse ieri, 23 marzo, sarà in scena fino al 2 aprile.

foto © Donato Aquaro

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