Atto primo è il nuovo progetto di Agostino Bergamaschi presentato presso gli spazi di Rehearsal Project a Milano e realizzato in collaborazione con t-space.
L’artista ha lavorato sull’installazione come elemento scultoreo, utilizzando materiali tradizionali come il bronzo e il marmo per creare la scena in cui l’opera compie la sua azione.
Ideato come fase di un processo che porterà Bergamaschi verso nuove pratiche e possibilità espressive, Atto primo è un dispositivo aurorale che ci permette di entrare in dialogo con l’artista e la sua ricerca estetica.
Come nasce Atto primo e perché lo hai presentato per la prima volta negli spazi di Rehearsal Project?
La mostra nasce dall’esigenza di voler dar forma a un progetto al quale lavoro da molto tempo. Penso a questa installazione quasi come a uno sfogo, un tentativo, l’inizio di una risposta pratica a un’ossessione.
Ci sono essenzialmente due motivi per i quali ho deciso di presentarlo a Rehearsal; il primo è legato a una necessità pratico/logistica. Sapevo che lì mi sarei potuto prendere il tempo che mi serviva per poter completare il lavoro al meglio. Avendolo immaginato e ripercorso più volte in tutte le sue sfaccettature, sapevo che non lo avrei risolto in modo facile. Questa volta ero deciso a non lasciare indietro pezzi per colpa del pensiero di render conto a una logica al di fuori della mia. È stato fondamentale non avere altri pensieri se non quello di dedicare la giusta attenzione al lavoro. Mi sono dato dei tempi e, con i dovuti imprevisti, li ho rispettati.
Il secondo motivo è perché penso che Rehearsal sia veramente uno spazio di lavoro senza regole, libero, appassionato, e il progetto aveva proprio bisogno di questo.
C’è stata una grande spensieratezza di sperimentazione e ricerca, una leggerezza che ha dato forma a tante cose nel divenire del lavoro. Penso alla collaborazione con Caterina Paganini, al coinvolgimento di Paolo Pretolani, alla traccia di musica elettronica suonata durante l’inaugurazione, tutte cose avvenute con totale spontaneità creativa. In questo senso posso dire che non avrei di certo potuto presentare questo lavoro in un luogo “logico”.
Come la tua opera dialoga con lo spazio espositivo e come è nata la collaborazione con t-space?
Ho pensato al progetto appositamente per gli spazi di Rehearsal. Il fatto che sia diviso in due stanze distinte, che allo stesso tempo comunicano, è stato fondamentale per modulare il lavoro ai fini delle mie esigenze installative, narrative e immaginifiche. L’opera si modula tra le due stanze e scandisce un tempo tra giorno (la prima stanza ) e notte (la seconda stanza). Mi interessava creare una sensazione temporale, nella quale un paesaggio dall’aspetto indefinito rivelasse un luogo precedentemente abitato, pronto ad accogliere la scrittura di una storia.
Sono sincero dicendo che mi viene difficile spiegare come sia nata la collaborazione con t-space perché da parte mia è stata quasi una cosa scontata. Con Rui e Giulia ci siamo conosciuti tempo fa ancora quando t-space proponeva mostre nei suoi spazi di via Bolama, ricordo che già in quel periodo era nato subito un bel rapporto e ci fu una spontanea affinità. Negli anni successivi è successo quello che spesso capita: vedersi a eventi, tentare di fare qualcosa insieme. Quando ho pensato alla realizzazione di Atto primo mi è venuto naturale pensare a loro e coinvolgerli, perché sapevo che avrebbero lavorato, oltre che da professionisti, da artisti. Era quello che cercavo. Quello che mi interessava era una collaborazione che potesse arricchire e contaminare il mio lavoro e, sicuramente, è stato così. Ho trovato due persone che lavorano in maniera impeccabile e con una genuina passione.
Atto primo può essere considerato il primo gesto configurante attraverso cui un’idea di larga prospettiva prende forma. Come evolverà questo progetto?
L’idea primordiale di questo progetto, tutt’ora in continua evoluzione e del quale Atto primo è stata una nuova e “imprevedibile” parentesi, considera un cortometraggio cinematografico e la realizzazione di vari interventi installativi e scultorei dedicati esclusivamente alle zone dove il film verrà girato.
Questa mostra è nata inizialmente come dispositivo per raccontare pubblicamente ciò che dovrebbe essere il progetto più ampio.
Sono continuamente alla ricerca delle giuste condizioni per realizzarlo. Richiede non poche risorse e fatiche, ma è un progetto nel quale credo fermamente e in un modo o nell’altro sento che prenderà forma.
Atto primo è sicuramente un esempio di come il progetto iniziale si sia già arricchito di nuove idee e suggestioni, e mi piacerebbe poter lavorare a un secondo atto primo. Sono rimasto stupito di come la mostra abbia risposto alle mie esigenze in maniera del tutto inaspettata, vivendo di una vita propria pur rimanendo legata alla struttura che l’ha generata. Spero di poter sfruttare questo potenziale ancora, aggiungendo, togliendo, modificando, esplorando più a fondo ognuna di queste nuove intuizioni. Non escludo la possibilità di addentrarmi in una parte ancora più performativa e teatrale.
Il pavimento rialzato è un collegamento, un dispositivo che genera relazione e unità all’interno dell’opera. Come hai ideato questo elemento?
Il pavimento è sicuramente una di quelle intuizioni alle quali ho accennato. Avevo bisogno di trovare qualcosa che rendesse la dimensione di uno spazio scenico.
Il modulo, con il suo rigore geometrico, mi ha aiutato a escludere la tentazione di descrivere qualcosa in modo puramente formale, restituendo al lavoro più fluidità ed evitando di creare la didascalia di un paesaggio. Penso che all’interno della mostra quello che si percepiva di più fosse un’atmosfera.
Una parte importante nella realizzazione dell’installazione è stata l’idea di far emergere il processo di creazione dell’opera, con le due stanze che dovevano servire da strumento per creare la visione di questo concetto. Non volevo che rimanesse una semplice descrizione, il pavimento ha risolto il problema facendo da collante tra idea e poetica. Una grossa pozza d’acqua che trasporta tutto ciò che contiene, sassi, alghe, grotte sotterranee, si è mossa rimodellando lo spazio, aiutando lo svilupparsi di una trama narrativa.
Nel tuo progetto è messo in mostra l’atto stesso del creare, in che modo?
Solitamente non mi capita mai di avere in testa l’idea e l’immagine di un lavoro e nello stesso momento la trasposizione scritta nel suo titolo. Tendenzialmente per una mostra il titolo non è una cosa irrilevante.
Nel caso di questa mostra ho avuto molti ripensamenti su come intitolarla, ma più penso al titolo che ho scelto, più ne sono soddisfatto. Penso che, in qualche modo, Atto primo racchiuda in sé la risposta alla tua domanda.
Con questo titolo viene evocata una dimensione teatrale, è qualcosa che prepara all’attesa di un’azione, alla sua conseguente visione e al rilascio di un’esperienza. Credo che l’essere all’interno di un processo creativo restituisca tre dimensioni temporali – passato, presente e futuro – concentrate nello stesso istante, e la cognizione di averle vissute senza quasi accorgersene ti costringe a dividerle, quindi a lavorare su qualcosa che hai intuito, ma che non hai la capacità di possedere.
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.
https://www.instagram.com/agostinobergamaschi/
https://www.instagram.com/___rehearsal___/