Il conflitto tra amor paterno e amor di patria, una giustizia ingiusta, ne I due Foscari di Giuseppe Verdi, in scena al Carlo Felice di Genova fino a sabato 8 aprile
Assolutamente riuscita l’azzardata scelta da parte del Carlo Felice di Genova di portare sul palco I due foscari di Verdi. Opera indubbiamente bellissima ma che, non facendo parte della famosa trilogia, poteva essere un fiasco a livello di biglietteria. Eppure la splendida opera che appartiene a quella ricerca a tutto campo che Verdi proseguì nella stagione che occupa il decennio tra Nabucco (1842) e Rigoletto(1851), è piaciuta al pubblico genovese che non ne prendeva visione dalla fine dell’Ottocento.
Una ripresa che ha visto il debutto venerdì 31 marzo rendendo giustizia a un lavoro che presenta non pochi motivi di interesse. Composta su libretto di Francesco Maria Piave tratto dall’omonima tragedia di Byron, “I due Foscari” costituisce una tappa importante nello stile verdiano in quanto rappresenta il contraltare intimistico, un lavoro dall’ispirazione squisitamente crepuscolare, intonata al clima cupo instaurato dall’oligarchia senatoriale veneziana e ai sentimenti che entrano in gioco. Un lavoro ancora più essenziale rispetto ad Ernani, presentato da Verdi solo alcuni mesi prima dello stesso 1844, con appena tre personaggi principali. Un prototipo del melodramma romantico italiano, con un essenzialità di ruoli che mettono in risalto il “soggetto delicato e assai patetico” come lo definiva lo stesso Piave.
Un’opera in cui, rispetto alle altre di Verdi, non succede nulla di saliente, ma la cui partitura è ricchissima di elementi raffinati, di slanci appassionati, nonchè di oscuri presagi. L’opera appartiene al periodo dei cosiddetti ”anni di galera”: un Verdi infido da dirigere, come spiega il direttore Renato Palumbo (sul podio in questa produzione), poichè alterna pagine di notevole spessore drammatico e raffinatezza musicale ad altre più grevi, necessariamentre lontane rispetto ai prodigi degli anni della maturità. Ma malgrado le difficoltà evidenziate, proprio grazie alla lettura del Maestro Palumbo, le note di Verdi emergono con chiarezza ed eleganza sin dalle prime battute.
Il racconto e lo sviluppo dei personaggi è in mano di grandi professionisti come Franco Vassallo, nel ruolo del Doge e Fabio Sartori e Angela Meade, rispettivamente Jacopo e Lucrezia. Cantantifuori dal comune. Vassallo, al momento uno dei baritoni italiani più richiesti, che nelle ultime stagioni ha debuttato all’Opéra di Parigi con una nuova produzione di Rigoletto e come Ford in Falstaff, qui ha dimostrato forte tempra e ammirevole duttilità. Sartori , la cui carriera comincia nel coro della Fenice e prosegue con la finale al concorso Pavarotti e contemporaneamente con la vittoria al concorso per la Bohème dei giovani, ha una voce tanto bella quanto potente. Il suo Jacopo Foscari appassiona da subito. Lo stesso vale per il soprano americano Angela Meade vincitrice sia del Beverly Sills Artist Award del Metropolitan Opera 2012 sia del Richard Tucker Award 2011.
La regia e le scene che portano la firma di Alvis Hernanis sono straordinariamente belle ed eleganti e questo perchè sobrie. Nessuna intenzione di sovrastare voci e musica, ma semplicemente il compito di creare un’atmosfera, ispirata ai colori decadenti della Venezia romantica. Hernanis, al primo confronto con Verdi , sceglie una direzione che si sostanzia in una drammaturgia metaforica influenzata senza dubbio dal teatro contemporaneo. Ne esce un prodotto di gusto che si rifà esplicitamente ai pittori veneziani del Seicento che vediamo rappresentati sullo scenario in fondo al palco, ma soprattutto nei tableau vivant creati col coro e i solisti. Le famose tele seicentesce in cui capeggiano quelle di Giacomo Torielli hanno ispirato anche i costumi (di Kristine Juriane) : la toga patrizia, l’abito dei senatori, i velluti neri dei 16 scudieri del Doge, le sottane dei membri del clero e via dicendo. L’acqua di Venezia che ritroviamo neggli effetti acquarellati dei decori dipinti e nelle proiezioni video, evocano scene illusorie che riportano ad un mondo di sogno che si materializza nel risveglio di Jacopo Foscari in prigione, quando in stato di semi incoscienza si trova accerchiato dai leoni alati, rappresentazione simbolica dell’evangelista Marco.
Spettacolo che vale la pena di vedere e che resterà sulla scena della Carlo Felice fino a sabato 8 aprile.