La mostra a Palazzo Cipolla esplora il concetto di Metaverso come arte immersiva, da Piranes al turco-americano Refik Anadol
Nel 1999 a Roma Emmanuele Emanuele trasformò un istituto bancario in uno spazio espositivo privato e no-profit dedicato all’arte. Da allora a Palazzo Cipolla si sono susseguite 59 esposizioni. Dopo la personale dedicata all’artista digitale Quayola, in questi giorni è stata inaugurata – fino al 23 luglio – una mostra dal curioso titolo Ipotesi Metaverso, a cura di Gabriele Simongini e Serena Tabacchi. Il tema è esplorato in una gamma molto ampia di interpretazioni e implicazioni filosofiche. E parte dall’intuizione che il concetto di Metaverso come arte immersiva sia nato in epoca barocca.
Ecco allora a sorpresa iniziare il percorso espositivo nel dedalo delle Carceri d’Invenzione di Giovanbattista Piranesi (versione 3D), dondolare nello spazio distopico generato dall’AI del duo Fabio Giampietro e Paolo Di Giacomo, perdersi come Alice nella tana del Bianconiglio nel metafisico Onda lunga di Pier Augusto Breccia di fronte a un dittico audace tra il Planetoide tetraedrico di Escher e il bozzetto per la finta cupola della Chiesa di Sant’ignazio di Andrea Pozzo.
Dopo aver diviso la sauna con grandi personaggi della storia con l’immersive experience di Federico Solmi e aver viaggiato nei multiversi ricostruiti da fuse*, il viaggio circolare si chiude con un tuffo nel muro magmatico dell’algoritmo del turco-americano Refik Anadol, attualmente ospite anche del Moma di New York. Nel servizio di ArtsLife Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro, e i curatori spiegano meglio gli intenti del progetto e il processo di allestimento…