Dopo due decenni di lavoro, il 26 marzo 2023 l’Hammer Museum di Los Angeles ha svelato in anteprima la parte finale dell’ambizioso progetto di rinnovamento e ampliamento architettonico che ha investito l’intero edificio.
La nuova area, ideata dallo studio americano Michael Maltzan Architecture, include: un’ampia galleria nell’ex sede del City National Bank, l’apertura di un ingresso tra Wilshire Boulevard e Glendon Avenue e una terrazza esterna per le sculture. Per l’inaugurazione di quest’ultima, l’istituzione culturale ha invitato l’artista multimediale afroamericano Sanford Biggers (1970, Los Angeles) a esporre la sua monumentale scultura Oracle (2021).
Alta circa 7 metri ed eseguita in bronzo, si tratta dell’installazione più grande mai realizzata della serie scultorea Chimera, cominciata dall’artista durante una residenza all’Accademia Americana di Roma nel 2017, dove si era recato per esplorare il linguaggio figurativo classico e la storia dei grandi imperi. Adoperando un processo analogo a quello della “chimerizzazione”, Biggers ha creato un campionario di figure ibride la cui forma oscilla tra il classico e il primitivo, tra il mitologico e il tribale.
Nell’elaborare il suo immaginario personale, l’artista rivendica per sé quel diritto che nel passato aveva illecitamente autorizzato gli artisti europei moderni ad appropriarsi della cultura africana, manipolandola e distorcendola affinché si adeguasse al gusto estetico occidentale. In egual maniera Biggers si è appropriato del linguaggio figurativo classico greco-romano contaminandolo con riferimenti simbolici, come maschere e oggetti del XIV e XX secolo provenienti dalle culture africane.
Tale processo di assimilazione e di riconfigurazione è riconducibile a un fenomeno particolarmente diffuso tra gli artisti afrodiscendenti e diasporici, i quali utilizzano l’eredità storico-artistica e letteraria europea e americana per costruire delle narrazioni più inclusive e alternative a quelle proposte dalle istituzioni culturali. Il risultato è un contenuto interculturale che trascende lo spazio e il tempo invitando lo spettatore a riconsiderare quelle certezze storiche che costituiscono la memoria collettiva.
Come le altre sculture della serie, Oracle rappresenta un mito greco, il dio Zeus, assiso in trono con il volto deformato da una maschera africana che fonde insieme elementi della tribù dei Luba Hemba e dei guerrieri Maasai. Il trono è decorato con un fiore di loto di cui ciascun petalo rappresenta la sezione trasversale di una nave per il commercio di schiavi. Attraverso questa ibridazione iconografica e iconologica Biggers affronta criticamente le problematiche relative all’autenticità e al revisionismo accademico delle sculture classiche, la cui monocromia ha influenzato per secoli i canoni estetici figurativi occidentali istituzionali. Nel fare ciò l’artista traccia un parallelismo tra questo fenomeno, cosiddetto “white washing”, e quello conosciuto come “black washing” di inizio Novecento, che ha spogliato gli oggetti di origine africana del loro simbolismo e ritualismo.
Se da una parte Oracle si presenta come un significativo esempio di traduzione culturale, dall’altra consente di affrontare la spinosa questione relativa alla decontestualizzazione delle opere pubbliche. Difatti, la scultura era stata originariamente commissionata dall’Art Production Fund per il Rockefeller Center di New York, in collaborazione con Marianne Boesky Gallery. Posizionata all’ingresso del complesso architettonico, in Channel Garden, l’opera era stata pensata come la quarta parte di un gruppo scultoreo composto da Widsom (1933), Atlas (1937) entrambe di Lee Lawrie e Prometheus (1934) di Paul Manship.
Oracle avrebbe dunque completato la storia che quei miti raccontavano. Con il suo trasferimento all’esterno dell’Hammer Museum e l’allontanamento dai suoi “compagni”, la statua ha perso la sua originale funzione narrativa. Nonostante ciò, l’artista si è mostrato entusiasta per la nuova sede della statua la cui posizione, in una delle strade nodali della città, conferma l’ascesa degli artisti afrodiscendenti nel campo dell’arte pubblica.