La fotografia è uno strumento potente per raccontare la società e la realtà della nostra epoca e con la sua trilogia dedicata alle popolazioni dell’estremo Nord, Valentina Tamborra ci porta ai confini del mondo per conoscerne a fondo la storia
Milanese, 40 anni, l’autrice di reportage e di ritratti, esposti in diverse mostre, docente di fotografia presso l’IIF, (Istituto Italiano di Fotografia) a Milano e attiva al Naba e allo IED attraverso workshop e speech, nei prossimi giorni presenta nello spazio di Milano Malpensa il terzo capitolo di questo progetto, dedicato alla via dei Sami che abitano nella parte più settentrionale della Norvegia: il Finmark. Il titolo è Ahkat – Terra Madre.
“La passione per l’Artico è nata perché per me rappresenta il confine ultimo e io, come artista, lavoro da sempre sul concetto di bordo, di confine, in tutti i sensi che questo termine può significare e l’Artico mi sembrava quasi l’utopia, la rappresentazione di questa visione”.
L’esposizione raccoglie una serie di una ventina di immagini che narrano la terza parte del vasto lavoro dove protagonista è il popolo Sami, gli unici nativi d’Europa divisi tra quattro stati dell’estremo nord e cioè Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia.
“È il capitolo che mi ha visto impegnata più a lungo, sono quattro anni di lavoro, quattro anni di diversi viaggi ai confini del nostro mondo, sulla strada che si percorreva normalmente per arrivare a Capo Nord, una strada che nasconde la cultura nativa dei Sami che vengono più comunemente definiti come Lapponi, dove Lappone però è una parola che ha origini dispregiative. Ciò che mi ha portato a sentirmi così vicina a questo popolo è proprio la consapevolezza che questo popolo rischia di perdersi, sia da un punto di vista di tradizioni, sia da un punto di vista vero e proprio di sopravvivenza. Le politiche universalistiche e la Green economy non sempre tengono conto dello stile di vita dei popoli nativi e si rischia di andare a impedire a questa popolazione di portare avanti la propria realtà, le proprie tradizioni e la loro vita così come l’hanno sempre conosciuta. Io ho sempre a cuore il destino dei più fragili in generale – ho lavorato in Iraq, dal Medio Oriente all’Africa e in Italia nei posti più poveri – ma sempre cercando di dare voce a quelle realtà che non hanno voce oppure sono sotto gli occhi di tutti ma non si conoscono in modo approfondito. I Sami ne sono un esempio perché non tanti sanno della loro esistenza e quando si pensa all’estremo Nord si pensa ai Vichinghi ma in realtà i Sami sono un popolo antico che conta circa 75 mila persone, anche se non c’è un censimento e quindi i dati non sono certi, sono persone che hanno un rapporto trascendente con la natura e che da essa dipendono e cercano di preservarla nel modo migliore perché ne conoscono i ritmi, ne hanno un grande rispetto e sulla base di quei ritmi dipende la loro vita”.
Ma per loro è fondamentale anche il dialogo con la modernità e lo stare al passo con il presente. “Nei tempi si sono aperti ai cambiamenti, utilizzano i Gps, le motoslitte per seguire le renne. Hanno anche una loro casa di produzione cinematografica e nel 2022 per la prima volta hanno portato la loro arte alla Biennale di Venezia e quindi è un popolo che strizza l’occhio anche al futuro, ma nel farlo non si dimentica le proprie origini”.
Il rischio di scomparire per i Sami è comunque una triste realtà. “Due sono le cause. La prima è il cambiamento climatico molto grave ed è indotto da tutti noi. Il cambiamento climatico non è solo lo scioglimento dei ghiacciai e gli animali che perderemo ma anche le identità e le culture che vanno a scomparire perché se la natura cambia, i popoli devono migrare, devono spostarsi. E poi c’ è anche la Green economy che nell’intenzione è assolutamente buona, ma è necessario che trovi un equilibrio. Un’economia che non tiene in gran conto lo stile di vita di alcuni popoli, non è totalmente positiva. Si deve aprire un dialogo più profondo e i Sami chiedono di essere ascoltati”.
La religione presso questa gente si basa sulle forze della natura ed è di tipo sciamanico e Ahkat significa Le Madri. “Vuol dire Madre Terra certo ma più in generale si riferisce a figure femminili che vivono intorno e dentro al lavvo, la tenda tipica che si legava alla slitta e diventava l’abitazione dei pastori nomadi durante la transumanza e adesso si trovano nella tundra ma servono per affumicare la carne o per stare al coperto e al caldo a bere una tazza di caffè nelle notti artiche. Queste madri-divinità si prendono cura della casa, delle persone, sono divinità invisibili che vivono a tutti gli effetti a contatto con l’uomo e la religione sciamanica prevede in realtà una grande vicinanza tra cielo e terra, tra materiale e immateriale, come se ci fosse un punto aperto, un ponte. Quando ho chiesto a uno degli sciamani come potessero stare insieme con altri sciamani di tutte le religioni, visto che avevano divinità diverse, mi ha risposto: Non capisco la tua domanda, noi tutti preghiamo per il bene perciò che problema c’è se il tuo Dio ha un nome diverso?“.
L’esposizione di Valentina Tamborra nello spazio di Malpensa rafforza il significato di punto di incontro tra terre e paesi del mondo. “L’aeroporto è un luogo di passaggio, di transito costante, ma un posto così denso di vite e di mondi che si incrociano, una terra neutra, terra di tutti e di nessuno, in questo luogo si possono incrociare tante vite e per il progetto sui Sami è quello che ci voleva”.
AHKAT -TERRA MADRE
DI VALENTINA TAMBORRA
Dal 18 aprile al 30 giugno 2023
Spazio Mostre Photosquare -Aeroporto Milano Malpensa-Terminal 1-Atrio Stazione/Sheraton
A cura di Claudio Argentiero/Afi