La retrospettiva Helmut Newton Legacy, inaugurata il 23 marzo (fino la 25 luglio) a Milano nelle sale di Palazzo Reale è curata da Matthias Harder (Helmut Newton Foundation Berlino) e Denis Curti.
Il ricco percorso espositivo, presentato in capitoli cronologici, racconta l’eredità artistica del fotografo tedesco-australiano offrendo l’occasione non solo di osservare dal vivo una parte dell’importante repertorio fotografico (250 immagini), ma anche di esplorare le copertine delle riviste dell’epoca, gli articoli a lui dedicati, documenti creativi e un unico video “Helmut by June”, realizzato dalla moglie.
Come è noto, Helmut Newton era spesso affiancato a lavoro dalla moglie, colonna della sua vita e figura complice e stimolante, della quale sono presenti diversi ritratti in mostra e della quale aleggia l’importanza anche dove non la si ritrova esplicitamente. Era probabilmente la persona che lo conosceva meglio e la più indicata a raccontarlo “all’opera”. Con la videocamera ha girato alcune scene che colpiscono.
Tra le tante che lo riguardano mentre è in azione, ce n’è una dove apparentemente non succede nulla, ma che più sembra dischiudere la leggerezza concentrata della sua gestazione creativa: il fotografo di moda Helmut Newton è sdraiato in pieno giorno con gli occhi apparentemente a riposo sotto l’impalpabile peso di una mascherina da notte, nelle orecchie le cuffie per la musica. Pare suggerire che così, ad occhi chiusi, nel buio e giocoso, brillante e concentrato spazio della sua mente avvenisse il sogno delle future fotografie. Memore di quelle passate, sempre più audaci, la personale fantasia trae ispirazione dalle atmosfere della vita.
Celati gli occhi, ma aleggiante un’atmosfera d’evocazione di un calderone di pellicce, guanti di pelle che offrono allo sguardo il loro lato conturbante e tattile, frustini eternamente pronti a scattare, donne dal fisico desiderabilissimo e intimidatorio. E ancora, sembrano sfilare dentro i suoi occhi uomini in divisa, boiserie, lustro e blasoni borghesi, macchine dalle linee iconiche distrutte, palme geometricamente piegate dal vento, incidenti, documenti d’identità, raffinate clutches, gioielli scintillanti da istigare la più furba delle gazze ladre, nette mani affusolate dalle unghie laccate che impugnano coltelli specchianti nell’atto di sventramento culinario delegato alle donne, e non da ultimi i segreti parapetti che si intermezzano tra la vertiginosa lunghezza delle gambe delle modelle e quella dell’altezza dei grattacieli così vicini.
Newton, il quale aveva cominciato a sedici anni la sua avventura con il mezzo fotografico al fianco di una delle più conosciute fotografe della Repubblica di Weimar, Else Ernestine Neuländer-Simon nota come: Yva, si ritrovò presto costretto ad abbandonare Berlino e a viaggiare-scappando dalla persecuzione ebraica. Lavorando come fotoreporter nella piccola parentesi rappresentata dallo Straits Times apre poco dopo un proprio piccolo studio a Melbourne, ma il momento dorato delle opportunità si manifesta dal 1956 soprattutto con il trasferimento assieme alla moglie in Europa. A Londra, infatti, inizia a collaborare dapprima con British Vogue, e poi nel 1961 si stabilisce a Parigi dove le apparizioni pubblicitarie sulle riviste non le si contano più: Vogue France, Elle France, Vogue Australia, Queen, Vogue Italia, fino ai rapporti diretti – emancipati dal solito contesto dei giornali – con i personaggi che la moda proprio la stavano facendo: Chanel, Mugler, Saint-Laurent. Impossibile anche pensare a Newton senza respirare l’allure della Costa Azzurra, teatro ideale di vita e di molte delle sue fotografie.
Attraversando i capitoli cronologici (dagli anni Sessanta agli anni Duemila)presentati in mostra ben si ravvisa la grammatica visiva di Newton che, costellata da riferimenti riconoscibili è ancorata ad un fortissimo talento che intercetta il proprio tempo, in particolare la rivoluzione sessuale e si specializza nel ritratto, nel genere di moda e nel nudo che spesso mostra i fasti dell’erotismo e rappresenta donne e non ragazzine, e che non sono completamente femminili, ma come diceva lui “intermedie”.
Una frase di Newton scritta in una delle sale tra tutte signoreggia “sono un voyeur professionista” e noi il suo pubblico.