Ha cominciato Giorgia Meloni, ancora in campagna elettorale, a Catania: «E’ possibile che un partito come il nostro non abbia nemmeno un sostenitore nel mondo dello spettacolo?». Poi ha continuato il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, inserendo Dante Alighieri nel mare magnum della Destra, anzi rivendicandone addirittura un ruolo determinante, come padre fondatore di quel pensiero. In verità, destra e sinistra sono concetti e classificazioni ottocentesche che prima non esistevano e alla fine appare un po’ complicato definire così il Sommo Poeta.
Però, è altrettanto vero che un grande storico come Jacques Le Goff ha descritto l’autore della Divina Commedia come «il grande reazionario che riassume in sé tutto il medioevo», e dopo di lui anche il filologo Erich Auerbach l’ha citato come un «politico reazionario», e, senza contare tutti gli altri che l’hanno detto, sicuramente dev’essere vero. Ma se si volta indietro, la Destra non ha problemi. Come scrisse Giovanni Raboni sul Corriere della Sera in un articolo dal titolo inequivocabile, “I grandi scrittori? Tutti di destra”, i protagonisti di maggior rilievo del Novecento letterario mondiale sono stati spesso legati «a una delle diverse culture di destra – dalla più illuminata alla più retriva, dalla più conservatrice alla più eversiva, dalla più perbenistica alla più canagliesca -», da Barrés a Borges, Celine, Hamsun, D’Annunzio, Eliot, Hesse, Ionesco, Thomas Mann, Marinetti, Mauriac, Montale, Gadda, Landolfi, Nabokov, Pound, Palazzeschi, Papini, Pirandello, Prezzolini, Tomasi di Lampedusa. E’ un elenco quasi infinito che potrebbe continuare con quelli dimenticati, Ennio Flaiano, Giovanni Guareschi, Indro Montanelli.
E allora come è possibile che la Destra abbia così pochi sostenitori fra gli artisti? Anche Rino Gaetano, inopinatamente diventato la colonna sonora dei comizi meloniani, in realtà non è così facilmente collocabile in questo Pantheon, essendo stato ai suoi tempi più un radicale pannelliano, uno di quegli eroi controcorrente senza segnacoli in vessillo per sfidare tutti, di cui sentiremo sempre l’irrimediabile mancanza, paragonabile oggi, per fare un nome, a un altro emerito di questa stirpe, Giuseppe Cruciani, il conduttore della Zanzara. Invece, a dispetto di tutte le apparenze, nomi non ne mancano. A cominciare da Morgan, l’eclettico cantautore e musicista che sta diventando una icona del nuovo corso, dopo che il vulcanico sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi l’ha chiamato a cooperare attivamente pure alla stesura di qualche progetto di legge. Per continuare con Beatrice Venezi, giovane e già celebre direttrice d’orchestra con simpatie meloniane e ascendenze certificate (il padre è un dirigente di Forza Nuova). Ma nel mondo dello spettacolo ce ne sono tanti altri, al punto che potremmo quasi dire che la presidente del consiglio ha peccato di vittimismo in campagna elettorale: Povia, Albano, Gigi d’Alessio, Anna Tatangelo, Iva Zanicchi. Enrico Ruggeri, Alberto Fortis, Fausto Leali, Marco Masini, Max Pezzali. Tra quelli un po’ più in là con gli anni, Amedeo Minghi, Peppino di Capri, Don Backy. E Rita Pavone, figlia di un operaio della Fiat, quando tutti gli operai erano comunisti, e ora molto apprezzata da Salvini, un po’ il simbolo di questa trasmigrazione di correnti e di masse elettorali. Poi ci sono quelli che non t’aspetti, come Laura Pasini, ultimo ingresso dopo il rifiuto di cantare «Bella ciao». Ma anche Elvis Presley stupì tutti quando nel 1970 offrì spontaneamente il suo appoggio a Richard Nixon per partecipare alla campagna contro l’abuso di droga tra i giovani: era di destra, e chi l’avrebbe mai detto che sarebbe addirittura finito immortalato alla Casa Bianca per quello storico incontro. Fra gli attori il più meritevole è Pino Insegno. Poi Pier Francesco Pingitore. Ci sono anche, più o meno nella categoria, Flavia Vento, Serena Grandi, Jerry Calà e Massimo Boldi. I registi Luca Barbareschi e Renzo Martinelli.
L’arte merita un discorso a parte. Al di là di Adolfo Wildt, morto nel 1931, autore fra l’altro di un busto di Mussolini e seguace negli ultimi anni del novecentismo nordico, così lontano dal classicismo di regime, ma rivalutato solamente negli Anni 80, c’è la corrente del futurismo che appartiene quasi interamente al fascismo. Oggi, alcuni tra i più importanti critici d’arte sono di Destra, da Vittorio Sgarbi, attuale sottosegretario alla Cultura, a Luca Beatrice, al centro di diverse polemiche per le sue affermazioni in contrasto con il comune pensiero della Sinistra: «Una catena umana ben protetta dalla propria torre d’avorio che va da Gad Lerner a Saviano, dice di amare il popolo (un certo popolo) ma non ne sopporta l’odore e ora assolda Marina Abramovic il cui illuminato parere sulla questione migranti e barconi non conoscevamo». Un ruolo importante nella cultura della destra c’è l’ha l’architettura, che ha lasciato grandi esempi del suo passato. I Palazzi delle Poste costruiti nel ventennio in perfetto stile razionalista sono ormai monumenti che appartengono alla nostra storia. Molte città italiane, poi, conservano vestigie importanti di questo trascorso, basti a pensare a via Roma a Torino o all’Eur, e soprattutto a Tresigallo, la città metafisica che pare disegnata da De Chirico, voluta dall’allora ministro dell’agricoltura Edmondo Rossoni, uno dei pochi esempi di luogo di rifondazione progettato a tavolino, seguendo una logica urbanistica e simbolico formale che punta ad esaltare la funzione eliminando gli elementi ritenuti superflui e decorativi.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. La Destra è diventata un mare magnum che comprende tante correnti. Che cos’è la Destra oggi? Furio Jesi, studioso e militante di sinistra, nel 1979 pubblicò “Cultura di destra”, sostenendo che la «maggior parte del patrimonio culturale è residuo culturale di destra», anche per chi non pensa di esserlo. Idealizza il passato come legittimazione del futuro, mostra un accentuato carattere mitico e appare radicata nel patrimonio di valori della cultura europea moderna. E’ già qualcosa, ma è solo questo? In realtà, c’è molto di più, perché ricerca il filone sommerso della tradizione, ripropone il pensiero reazionario e cattolico antiprogressista, conservatore e nazionale, includendo persino certa ribellione anarchica di destra. Non esiste una visione univoca, ma il problema è proprio qui: la sua definizione è troppo vasta, le radici sono tante e anche diverse fra loro, a volte in contrasto. Camillo Langone, scrittore e giornalista ultracattolico e tradizionalista, ha tenuto a precisare che la sua idea di destra, «e ancora più di conservatorismo, non contempla il fascismo, movimento socialista e sinistrorso». Siamo abbastanza d’accordo con lui, se all’aggettivo sinistrorso si sostituisce populista. Non è evidentemente solo un’affermazione provocatoria, e però nella classificazione ufficiale di queste carcasse della Storia, Destra e Sinistra, il fascismo è inserito a tutti gli effetti in quella casella. Marcello Veneziani ha scritto che «la cultura di destra vive a disagio nell’epoca dell’individualismo di massa; non ha una vocazione politica, anzi è tendenzialmente impolitica, e i suoi temi spirituali, le sue opere, hanno poca udienza nel tempo del primato globale della tecnica e della finanza».
Resta il fatto che tra gli intellettuali di destra, non mancano nomi importanti, dallo storico Giordano Bruno Guerri al già citato Veneziani, per arrivare a Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore dallo stile unico e inconfondibile, abbastanza barocco ma anche accattivante nella sua sapienza. Alla fine, l’impressione è che la Meloni e il suo governo hanno in realtà di che scegliere. Che è un bene. Se fossero pochi, sarebbero costretti a prendere quelli che ci sono. Così, potrebbero anche fare una opportuna cernita, affidandosi a una sana e giusta meritocrazia, che fino a prova contraria è stata da sempre una bandiera della Destra.