Sei personaggi in cerca di autore di Valerio Binasco è in scena al teatro Ivo Chiesa di Genova fino al 14 maggio
Sei personaggi in cerca d’autore è considerata la massima espressione del metateatro pirandelliano nonché la manifestazione più propria del contrasto vita-forma teorizzato dallo stesso autore nel saggio L’umorismo. Messa in scena per la prima volta al Teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921, è la prima della trilogia detta del “teatro nel teatro” (seguiranno Ciascuno a suo modo, 1924, e Questa sera si recita a soggetto, 1930). Dopo aver decostruito il dramma borghese, Pirandello decide di superare anche la realtà transitoria della dimensione presente, per dare vita alle sue creature artistiche. Ma, come lui stesso afferma, i personaggi da lui creati sono soliti infamarlo poiché, insoddisfatti di essere soltanto ombre e abbozzi incompiuti, lo reputano un autore «crudelissimo e spietato», che li ha relegati in una condizione ridicola e vana.
Nella prima edizione l’ingresso in scena dei sei personaggi è stato frutto di una scelta registica che dimostrava un progressivo sviluppo tecnologico da parte del drammaturgo. Pirandello scelse una soluzione di tipo illuministico, presentando i personaggi irradiati da una luce tenue e diffusa, mentre nell’edizione definitiva sceglie di far apparire i personaggi non più come fantasmi, ma realtà create che, arrivate dal fondo della platea, indossano delle maschere per essere maggiormente tipizzate. L’edizione del 1925 dimostra marcatamente l’intenzione dell’autore di voler separare i personaggi dagli attori, scelta che si può riscontrare sin dalla loro entrata in scena: essa, a differenza dell’edizione del ’21, che vede i personaggi già presenti sul palco, prevede la loro ascesa teatrale come frutto di un percorso graduale. I personaggi, uno ad uno, salgono sulle due scalette che sono poste a lato del palcoscenico e raggiungono gli attori.
Come si comporta Valerio Binasco, indubbiamente uno dei più validi registi contemporanei, confrontandosi con questo imponente testo? La sua lettura si dirige verso la semplificazione e l’avvicinamento. Come scenografia dello spettacolo sceglie uno spazio consunto, forse la palestra di una scuola dove a destra posiziona un grammofono, poi un tavolo con vecchie sedie, sempre sulla destra una porta che dà su un’uscita, più in aggiunta un’altra porta a vetri che verrà spostata al bisogno. Una marea di giovani invade la scena, sono gli allievi della Scuola di recitazione dello Stabile di Torino. Jurij Ferrini è il direttore di questa compagnia, forse una compagnia teatrale scolastica, o la compagnia di un’accademia (come in effetti è). Ferrini, come nel testo, viene chiamato “direttore”, i ragazzi si esercitano al piano, parlano tra di loro, bisticciano, si rincorrono, si baciano…insomma c’è poco del polveroso ambiente anni ’20 immaginato da Pirandello.
Una semplificazione che interviene anche sulla lingua, sentiremo parolacce dei giorni d’oggi da parte del direttore – Ferrini e anche la famosa busta “cilestrina” lascia il posto all’immediato “celeste”. Un’idea generale che avrebbe avuto il suo perchè se fosse stata più coerentemente studiata. E’ interessante vedere contrapporsi i due mondi, quello degli attori studenti di oggi e quello dei personaggi, e infatti Binasco gioca su questo lasciando i sei personaggi (qui quattro in realtà perchè i bambini non ci sono) nei costumi degli anni Venti, come fossero usciti dal primo allestimento al Valle, ma ne cambia il linguaggio. Perchè?…
I ragazzi e le ragazze dello Stabile di Torino sono una sorta di coro e contraltare, chiedono spiegazioni e chiarimenti giocando dunque con la difficoltà della filosofia pirandelliana, con la trama intricata e spezzettata del dramma. La riscrittura di Binasco mette in risalto il personaggio della Madre (Sara Bertelà) dando voce così ad un altro punto di vista rispetto a quello predominante del Padre. Senza freni, accanita nel suo odio verso il patrigno è la Figliastra di Giordana Faggiano (brava, ma che abbonda di una risata sguaiata un po’ troppo). Tutta il contrario del fratellastro interpretato da Giovanni Drago, che rispetta la spigolosità del personaggio. E poi c’è lui Binasco, che questa volta non sta solo dietro alle quinte nel suo ruolo di regista, ma vuole per sè la parte del Padre e lo fa da grande attore. Il suo Padre è un uomo distrutto , dolorante che pur non apparendo pentito dell’accaduto, ne porta i segni pesanti. In fondo Binasco ci restituisce un uomo fragile, che non può fare altro che chiedere di essere rappresentato.
Ma la sua richiesta, assieme a quella degli altri componenti della famiglia, non può essere esaudita a causa dell’inadeguatezza degli attori, che non corrispondono per nulla con i personaggi e non sono quindi in grado di rappresentarli appieno, così come è inadeguato il teatro, il cui palco ospita una scena fittizia che non corrisponde alla realtà. Il ragazzo, il “figlio legittimo”, cercherà una via d’uscita contravvenendo al copione originale, ma non si muore, non si può morire se qualcuno non ha scritto quella morte. E così al dolore del dramma si somma l’incalcolabile sofferenza di un tempo circolare. Ma quel suicidio voluto dalla penna di Pirandello era un atto estremo, che mostra simbolicamente, ma anche materialmente, l’impossibilità di conciliare due dimensioni differenti.
Lo spettacolo è attualmente al teatro Ivo Chiesa di Genova fino al 14 maggio.